La “buona” scuola fra autoritarismo, acriticità e noia

12 Settembre 2015
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Lucio Garofalo

Più vedo all’opera i nuovi presidi, più mi rendo conto che le persone si adattano alla perfezione al loro nuovo ruolo. Sembra che la riforma della figura dirigenziale sia stata varata su misura per loro. Dalle scelte dei collaboratori e dei membri degli “staff” si desume come i nuovi DS preferiscano circondarsi di elementi a loro congeniali, che non arrechino disturbo, degli automi zelanti ed efficienti, meglio ancora se teste poco pensanti, meri esecutori di direttive calate dall’alto. Del resto, ai nuovi presidi la legge chiede di agire come dirigenti d’azienda. Essi devono organizzare e dirigere le scuole come fossero “aziende”. Ormai la scuola è vista e descritta come una “azienduola”. Altro che “laboratori di saperi” o “fucine di cultura”. In base al modo in cui i nuovi presidi esplicano simili mansioni manageriali (anche se trovo assurdo tutto ciò) alla fine del ciclo triennale verranno valutati. Come, del resto, noi docenti verremo valutati in virtù delle prestazioni di supporto e collaborazione al DS. Non a caso, i presidi tengono a farlo presente e ribadirlo in occasione dei collegi docenti. Dunque, mi chiedo: ma un insegnante che intende limitarsi ad espletare il proprio dovere in classe, vale a dire interagendo in modo brillante e proficuo con i propri allievi, facendoli diventare autonomi, menti critiche e via discorrendo, non è da considerarsi un professionista valido o “produttivo”, per cui forse conviene che cambi mestiere? Me lo domando ormai da tempo con insistenza.
Sgombriamo il terreno da ogni eventuale equivoco. Lungi da me l’intenzione di giudicare le persone, bensì valuto il ruolo. Purtroppo, la funzione sociale di un individuo è alienante, nel senso che rischia di trasfigurarlo in un’altra persona. Lo si è visto con i nuovi presidi, che fino ad ieri erano insegnanti come noi, ma si sono presto calati nel nuovo ruolo, assai remunerativo, quanto alienante. Ma l’aspetto che non riesco ad accettare è che si pretenda di valutare e premiare la “produttività” di un docente in base al novero degli incarichi aggiuntivi e delle prestazioni di supporto alla dirigenza che egli riuscirà ad eseguire. Non che sia contrario in termini pregiudiziali. In passato, ho svolto pure la funzione strumentale ed ho persino ricoperto l’incarico di collaboratore vicario, quando questa era una funzione elettiva e non retribuita. Dunque, in tempi non sospetti. Sono favorevole ai progetti didattici-formativi di tipo extra-curricolare, a maggior ragione se effettivamente validi e stimolanti sul versante socioculturale. Ma sono fermamente contrario ai “progettifici scolastici”, alla proliferazione aziendalista di tali attività aggiuntive, premiate e privilegiate a discapito delle finalità curricolari, che dovrebbero essere prioritarie, cioè anteposte al resto. Poi ci si lamenta che i ragazzi arrivano alle scuole medie e non sanno scrivere sotto dettatura, non sanno redigere un riassunto, non sanno rielaborare un paragrafo di storia, non conoscono a memoria le tabelline, ecc.
Alla luce della mia esperienza professionale, ho avuto modo di riscontrare come i libri scolastici siano in genere (non sempre) di un tedio mortale, in quanto aridi, se non addirittura vuoti, spesso banali, convenzionali o stereotipati, per cui non agevolano affatto l’opera dell’insegnante, ma al massimo servono quali noiosi eserciziari e testi di verifica. Ne consegue che la passione per i libri e la cultura non si potrà mai accendere in seguito ad uno studio acritico, cioè meccanico e mnemonico, condotto sui testi adottati a scuola, che rischiano di sortire l’effetto esattamente contrario, ossia il disamore e la disaffezione verso lo studio, i libri e la scuola. La ripetitività e la prevedibilità sono le più acerrime ed antitetiche avversarie della passione e dell’immaginazione creativa. Le prime provocano la morte spirituale, la cessazione del “viaggio intellettuale” che un buon libro riesce a stimolare. Viaggio inteso e vissuto come incessante avventura dello spirito e dell’immaginazione. Le seconde suscitano quegli input utili e necessari all’opera della ricerca e della scoperta del sapere, da vivere come un piacere ludico, un divertimento. Voce che, non a caso, discende dall’etimo latino “di-vertere”, che sta per variare, deviare, cambiare e diversificare. Vale a dire l’esatto contrario della ripetitività, della prevedibilità e della monotonia, che generano noia ed uccidono il desiderio della conoscenza, spegnendo la fiamma che spinge ad impossessarsi del sapere e della cultura. È questo il fine primario della scuola: accompagnare i ragazzi nel viaggio “avventuroso” che li conduce alla vera mèta, ossia il piacere della scoperta e del sapere, non certo il voto scritto sulla pagella.
Gli alunni (ed i loro genitori) dovrebbero comprendere che lo studio e l’istruzione scolastica servono alla loro maturazione culturale ed al loro avvenire, e non a conseguire buoni voti, come invece accade nella stragrande maggioranza dei casi e nella migliore delle ipotesi, ben sapendo che numerosi allievi non amano affatto lo studio. In tal senso, il compito precipuo dell’insegnante meritevole, è proprio quello di saper motivare ed incentivare gli allievi allo studio, non tanto fine a se stesso, bensì per imparare a godere il piacere di apprendere, per nutrire la passione verso la cultura, intesa e vissuta come una “avventura interminabile”, una ricerca incessante ed una scoperta interiore, non certo per ottenere dei voti positivi e la promozione. Il maestro meritevole, capace e brillante, dunque da premiare e valorizzare, è colui che sa “contagiare” i propri allievi attraverso il “virus” dell’amore per i libri, lo studio e la conoscenza, la vita ed il mondo.

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