Politica, pianificazione paesaggistica e … Funtanazza

3 Settembre 2015
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Tonino Dessì

Si è sollevato scandalo, in questi giorni - come sempre sull’onda di una sguaiata polemica politica e più ancora giornalistica, more solito strumentalmente collaterale, innescata dal centrodestra sardo - in ordine al “via libera” regionale sul progetto della società immobiliare della famiglia Soru relativo all’ex colonia Marina di Funtanazza, sulla costa di Arbus. In realtà l’unico elemento di curiosità (lo ammetto, anche mia), e’ la riformulazione in positivo di rilievi negativi precedentemente espressi dal CFVA, sui quali finora si era basato un rigetto, da parte del TAR, di un’istanza della stessa società, finalizzata a superare alcuni ostacoli al progetto.
Credo che sul merito l’unica posizione condivisibile, allo stato attuale, sia quella esaustivamente assunta dal Gruppo di Intervento Giuridico (Stefano Deliperi).
http://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2015/08/31/ignoranza-o-malafede-sulle-coste-sarde/

Si tratterebbe comunque di ordinarie dinamiche amministrative, se non vi fosse coinvolto un imprenditore ex Presidente della Regione e attualmente segretario regionale del maggior partito di governo a Cagliari come a Roma.
È quindi per questo che sorge giustificatamente nell’opinione pubblica un problema di coerenza politica e culturale, rispetto ai propositi e alle motivazioni espresse undici anni fa dalla stessa persona.
http://youtu.be/lINkJzVZ9Ww.

Il punto è che, a oltre vent’anni dall’inizio dell’epoca berlusconiana, resta sul tappeto una questione ben più grande di un vecchio blocco di calcestruzzo.
Sarebbe saggio se le forze politiche si convincessero che chi ha forti interessi economici, finanziari, immobiliari, non dovrebbe esser chiamato a ricoprire cariche politiche e istituzionali. Nessuna legge, certo, può impedirglielo. Io non sarei neppure favorevole a una forzatura giuridica sull’elettorato passivo. Ma niente garantisce queste persone e soprattutto le persone che esse potrebbero amministrare o rappresentare dai sospetti di condizionamenti insiti in un nemmeno troppo latente conflitto di interessi. Quindi su certe scelte bisogna pensarci prima. E onestamente infastidisce la posizione intempestivamente “sovietizzante” di qualche amica e di qualche amico piddino, per i quali, sul tema, “il nostro partito e il suo segretario regionale hanno correttamente chiarito la giusta posizione”. Ma quando mai basterà, alle persone normali, una cretinata simile, con l’aria che tira su partiti e segretari in generale?

Detto questo sulla politica, resta qualcosa da dire sui problemi di merito. Nessun piano paesaggistico ha mai previsto la demolizione di Funtanazza. Il problema della riqualificazione di questa preesistenza storica significativa e’ stato anzi evocato da sempre, in vario modo. Oggi un imprenditore ci prova, sfidando il fatto che, come località di turismo balneare nel nostro non affidabilissimo mare sud-occidentale, e’ a prima vista poco promettente. Non a caso per i piccoli ospiti della colonia la balneazione era stabilita esclusivamente nella grande piscina quasi olimpionica. Se ce la fa, l’impresa, auguri, ne saremmo contenti in molti: basta che rischi, appunto, solo soldi suoi. Et de hoc satis.

Torno però, infine, al fatto che, nella realtà, il PPR da noi approvato fra tante polemiche e scontando una mia personale diffidenza, di demolizioni non ne ha previsto alcuna, rispetto a quanto in precedenza legalmente costruito. E quando dico “in precedenza”, non parlo di Funtanazza, ma di quanto materialmente realizzato fino al 1989, anno dell’epocale approvazione della prima e unica, ancora oggi (sia pure modificata nel tempo), legge urbanistica regionale, di quanto realizzabile legittimamente tra il 1993, anno dell’approvazione dei primi Piani territoriali paesaggistici regionali e il 1998, anno di annullamento dei medesimi e persino di quanto realizzato tra il 1998 e il 2004, lungo periodo di far west intercorso prima che la questione fosse ripresa dalla nostra Giunta.

Un po’ di memoria storica non farebbe male, su questa lunga e tutt’ora cruciale vicenda.
La legge regionale n. 45 del 1989 nacque come tentativo di introdurre in Sardegna una pianificazione urbanistica guidata dalla Regione. Il primo schema di d.d.l. fu presentato da Luigi Cogodi in Giunta come prodotto della collaborazione con gli uffici assessoriali (ma il regista fu, credo, Bebo Badas). Sia le associazioni ambientaliste sia l’INU riscontrarono immediatamente che era inadeguato il recepimento della legge n. 431 del 1985 e proposero di introdurre specificamente il tema costiero come tema paesaggistico-ambientale e non meramente urbanistico. La questione venne ripresa all’interno del PCI da me, come responsabile delle politiche ambientali e da Gianni Mura, allora Presidente dell’INU, anche lui componente del Comitato regionale del PCI. Poiché pezzi interi del partito (compresi tecnici e professionisti molto influenti) non ne volevano sentire e in Giunta regionale si restava inerti, il Segretario regionale del PCI, Pier Sandro Scano, convocò un Comitato regionale programmatico ad Arborea, se non ricordo male nel settembre 1988. Facemmo passare a larga maggioranza la proposta di vincolare transitoriamente i 500 metri e di sottoporre a norme provvisorie di salvaguardia e poi a pianificazione paesaggistico-territoriale le coste fino ai 2 km dal mare, e ordinammo alla delegazione in Giunta di sostenere questa impostazione a costo di aprire una crisi. La Giunta si adeguò, grazie anche al consenso determinante del Presidente Melis.

La pianificazione paesaggistica tuttavia langui’ fino al 1992. I progetti dei piani, affidati a gruppi distinti di professionisti, erano proprio disomogenei, se non lacunosi, non tanto nelle parti analitiche (che non a caso furono integralmente riprese dalla seconda generazione pianificatoria, quella soriana, più di dieci anni dopo), bensì nelle parti normative. Fu in occasione della costituzione del Governissimo Cabras che la questione divenne nuovamente centrale, in particolare durante le trattative programmatiche. C’è un articolo che io scrissi sull’Unione Sarda e che conservo, dal quale si evince la soluzione politica che su iniziativa della segreteria del PDS, della quale io facevo parte, sarebbe stata adottata, non senza resistenze da parte del Presidente designato e del Capogruppo della DC, Antonello Soro. Introdurre direttamente con legge i vincoli permanenti-anzitutto quelli sui 300 metri- ai quali i piani si sarebbero dovuti comunque adeguare. Nacque la legge regionale n. 23 del 2003. Le Norme di Omogeneizzazione e di Coordinamento furono scritte, in ottemperanza alla legge, dalla Commissione Urbanistica del Consiglio, presieduta da Gabriele Satta. Contenevano, tra l’altro, la prescrizione del dimezzamento “a prescindere” delle volumetrie fino ad allora autorizzate da comuni e Regione nelle Zone F turistiche secondo i parametri del “Decreto Floris”. Una misura radicale, volta a bloccare la “città’ lineare” lungo le coste (60 milioni di metri cubi autorizzati fino ad allora).

I primi PTP caddero, per limiti intrinseci, nel 1988, in esito a un ricorso straordinario al Capo dello Stato, presentato dal Gruppo d’Intervento giuridico, sul quale le diverse Giunte regionali non presentarono mai alcuna difesa tecnica ne’ politico-istituzionale. Il procedimento sul ricorso al Capo dello Stato non è un atto meramente giuridico. Esso si conclude, previo parere del Consiglio di Stato, con una deliberazione del Governo, cui segue il decreto del Presidente della Repubblica. Il Governo era allora presieduto da D’Alema. Il Ministro competente, quello della P. I., era Giovanna Melandri. Il governo regionale era guidato dall’ on. Palomba. Conoscendo le dinamiche del Consiglio di Stato e quelle della politica regionale (non parlo solo ne’ prevalentemente della Giunta), c’era il tanto da fiutare una vera e propria cospirazione, agevolata da un ricorso tanto improvvido quanto abilmente sfruttato per fini diversi da quello dei ricorrenti.
La legge regionale n. 23 restò unico, limitato baluardo dal 1998 al 2004. Il periodo prevalentemente governato dalle Giunte Floris-Pili-Masala, nemiche programmatiche della tutela ambientale.

Quando nel 2004 si riprese il bandolo della matassa, con una delibera “salva coste” della tarda estate, poi con la legge regionale n. 8 del novembre e si avviò la nuova pianificazione paesaggistica, di buoi ne era ormai scappata una mandria. I lavori delle due commissioni (una politica e una tecnica) che nominammo per la stesura del nuovo, unico PPR, si protrassero un po’ subacquei per due anni, tra rielaborazioni dei vecchi materiali (studi dei professionisti e cartografia IGEA dell’”omogeneizzazione” del 1993 compresi), interventi politici all’impronta, informali, col pennarello, ma specifici e imperiosi (e qualche conseguente tensione), “omissis” sulle norme relative agli interventi “previa intesa con la Giunta regionale”, fino al giorno prima della problematica (anche se alla fine unanime) approvazione della proposta definitiva da parte dell’Esecutivo.

Ne è sortito un compromesso con noi stessi e con la nostra storia, alla fin fine accettabile nelle condizioni date, successivamente modificato dai giudici amministrativi con l’eliminazione di discrezionalità politico-amministrative manifestamente poco coerenti, ma peggiorato a varie riprese, in senso inverso, dal legislatore regionale, con significative erosioni dell’impianto fondamentale di tutela, a partire dai “Piani Casa” delle Giunte Cappellacci fino alla recente approvazione di un emendamento “quartese” sugli stagni, nella rivisitazione di centrosinistra dei medesimi (quanto consociativissimi) “Piani Casa”.

Ho sempre trovato ingeneroso che personaggi che un tempo stimavo, come Edoardo Salzano e ascari del piccolo mondo sedicente “intellettuale” sardo, in perfetto, ma non disinteressato spirito colonialistico e autocolonialistico, abbiano presentato il PPR vigente come palingenetico e originale frutto del loro esclusivo lavoro, perché questo è un riprovevole falso storico, quasi “di regime”. Oggi però questo e’ quello che abbiamo, questo è quello che ancora la destra sarda (ma non solo lei) non digerisce, questo potrebbe essere difeso con più forza se tutti avessimo le carte in regola.
Purtroppo, certe commistioni a questa difesa non stanno affatto giovando. E qui si torna da dove siamo partiti.

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