Rosamaria Maggio, del Cidi di Cagliari (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti)
Poi insegnando imparavo tante cose. Per esempio ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. “Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”, Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, 1967.
La scuola attraversa uno dei suoi momenti più difficili, sia per la complessità dell’insegnare, sia per l’ennesimo intervento di pseudo-riforma rappresentato dalla nuova legge sulla scuola. Dopo Gelmini e Moratti, non c’è limite al peggio, si continua ad attaccare pesantemente l’istruzione pubblica, limitando l’applicabilità stessa dei Principi costituzionali..
Non possiamo non domandarci come insegnanti CIDI, quale resistenza opporre, perchè il nostro insegnare ha come faro i Principi costituzionali dell’art. 3 e dell’art. 33. Noi facciamo politica quando facciamo scuola e, come dice Domenico Chiesa, già Presidente Nazionale CIDI, parafrasando don Milani, ’sortirne insieme è la politica’.
La mia riflessione parte proprio da una delle frasi storiche di don Milani, contro l’insegnare e l’apprendere come due momenti separati, che riguardano soggetti diversi, l’insegnante e lo studente. L’idea di una educazione progressiva, secondo la pedagogia di Dewey, sostituisce all’imparare dall’alto, dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza, le competenze come mezzi per ottenere fini che corrispondono a esigenze vitali.
Educare al pensiero critico. Per educare al pensiero critico, possiamo fare ancora riferimento a don Milani, alla sua Lettera ai giudici, che lo accusavano di apologia di reato per aver difeso l’obiezione di coscienza, in uno scritto del febbraio 1965. Attraverso quel testo posso entrare direttamente nel vivo del mio insegnamento disciplinare, le materie giuridiche, per chiarirne il valore formativo e, soprattutto, per trovare e condividere una strada utile a ’sortirne insieme’, sì da poter continuare la battaglia secondo le nostre buone pratiche.
La posizione di don Milani era stata duramente stigmatizzata in un comunicato stampa dei cappellani militari, che avevano definito l’obiezione di coscienza un insulto alla patria: nella sua lettera-memoria difensiva ai giudici, don Milani ricorda come, con i suoi studenti, aveva inutilmente atteso l’intervento di qualche autorità, civile o religiosa, nei confronti di tale presa di posizione. Partendo dal motto impresso nella parete della sua scuola ‘I care’, mi sta a cuore, il contrario del motto fascista ‘me ne frego’, organizzò con gli alunni una ricerca, per trovare, nella storia italiana, una ‘guerra giusta’, una guerra che fosse in linea con l’art.11 della Costituzione italiana. ‘Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata’, fu la sua conclusione, già dentro un concetto di legalità, ‘non posso dire ai ragazzi che l’unico modo di amare la legge è rispettarla’. Se le leggi vanno rispettate quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole, non devono esserlo quando sono ingiuste. Perchè, dice Don Milani, se si accettasse l’assunto secondo il quale tutte le leggi devono essere rispettate, non ci sarebbe stato il processo di Norimberga contro uomini che hanno commesso delitti orribili, avendo obbedito alla legge nazista.
Oggi c’è una Costituzione, c’è la Carta fondamentale dei diritti umani, che rendono illegittima qualunque legge in loro contrasto e i cittadini debbono far in modo che le leggi ingiuste siano cambiate, secondo ‘la tecnica di amore costruttivo per la legge’ (ancora don Milani), così come ci impegnamo a fare noi del CIDI contro la Buona Scuola di Renzi.
In questo senso don Milani insegna la disobbedienza al potere, che mi obbliga a fare cose contro l’umanità, contro i deboli. Partiamo dall’educare alla disobbedienza, cioè dall’educare i nostri studenti al pensiero critico, affinchè le leggi ingiuste siano cambiate, sulla base di un criterio di giustizia non soggettivo ma oggettivo. L’obbedienza cieca non è una virtù, dice sempre don Milani, nel nostro lavoro è quindi fondamentale educare alla libertà della mente. Un monito anche per i nostri dirigenti scolastici-sceriffi e per gli insegnanti in loro balìa?
Così, nella relazione educativa, non si possono affrontare le questioni in termini punitivi, perchè ancora si è legati a modelli educativi ormai fuori dalla realtà. In uno studio pubblicato su “Child Development” il prof. Wang dell’Università di Pittsburgh e la dott. Sarah Kenny dell’Università del Michigan, dimostrano che le urla e le minacce minano la fiducia e contribuiscono a rafforzare comportamenti problematici. L’atteggiamento autoritario degli insegnanti, le note e le sospensioni, sono efficaci per la risoluzione dei conflitti, per creare il clima idoneo all’esperienza insegnamento-apprendimento, o non aggravano piuttosto i problemi che i ragazzi si portano dietro? Non sono forse tra i responsabili della disaffezione, dell’insuccesso e dell’abbandono della scuola?
Come dice don Milani, la figura del maestro è fondamentale, inteso come colui che è modello per la cura che il ragazzo dovrà avere di se stesso .
Alla parola punizione sostituiamo la parola negoziazione: regole concordate assieme all’inizio dell’anno, e poi sanzioni contro la violazione, non in modo astratto, come avviene nel Regolamento d’Istituto, ma concretamente, con gli studenti della classe. La fiducia nella relazione educativa tra maestri e studenti è il fondamento per la costruzione di un clima favorevole all’apprendimento.
Naturalmente tutto dipende da che cosa e come insegnamo. La mancanza di competenze di base e la loro ‘contrazione’, la loro perdita col passare del tempo, l’illetteratismo, sono fenomeni preoccupanti di tutte le società industrializzate. Mentre aumenta in ognuno di noi la mole di conoscenze, grazie alla tecnologia, e nei ragazzi si percepisce sempre di più l’incapacità di andare a fondo e di scavare nei significati, come se mancasse la capacità di osservare il mondo intorno a noi.
Dice Emma Nardi, docente di Pedagogia Sperimentale a Roma Tre,’se si vuole acquisire la competenza necessaria ad apprendere lungo tutto l’arco della vita è meglio leggere e studiare pochi testi, sviscerandoli, piuttosto che disperdersi in una miriade di stimoli superficiali’. E, ricordando ancora don Milani, che ha sempre avuto a cuore l’educazione linguistica come strumento per l’accesso al sapere, si può aggiungere che l’italiano si insegna a partire da quel che si vive nel mondo circostante, dai dialetti, dalla lingua di casa, facendo molta attenzione a tutto quello che ci circonda e che ci aiuta a costruire una conoscenza più approfondita.
Scuola e crisi economica. Collocare questo mio ragionamento nel contesto economico globale, che sta stritolando la scuola italiana, perchè la crisi della scuola è la crisi della nostra società, e in un’Europa in cui si rafforzano le politiche all’origine della crisi stessa e dove crescono le diseguaglianze in nome dell’austerità, della produttività e della competitività. Nel nuovo ‘Manifeste d’économistes atterrés’, l’analisi si concentra su alcuni temi fondamentali, che vedono la democrazia primeggiare rispetto al mercato. Le leggi di mercato non sono immanenti, ma sono creazioni umane e la società può rifiutare l’imposizione delle leggi di mercato e definire essa stessa le condizioni del benessere. La democrazia non può essere separata dall’eguglianza e, se il mercato si fonda sulla disuguaglianza, le politiche pubbliche devono fondarsi sull’uguaglianza sostanziale. Il mercato deve essere regolato e, proprio attraverso le comunità locali, si possono promuovere nuove forme di condivisione, al fine di sviluppare una economia collaborativa, fondata sull’ecologia, la vera nuova frontiera della nostra società.
Per gli autori, l’uguaglianza è il cuore dell’economia e può costituire una leva importante di mobilitazione e di sviluppo. Promuovere l’uguaglianza significa promuovere un sistema di istruzione gratuita, perchè ciascuno diventi cittadino attivo, garantendo mezzi e risorse, in particolare agli studenti in difficoltà: l’uguaglianza il cuore dell’economia e dello sviluppo, l’istruzione la sua leva. Per questo, in conclusione, la Buona Scuola di Renzi non ci piace, perchè garantisce i più fortunati e non si prende cura dei più deboli, non avendo a cuore la scuola di qualità per tutti. Manca la visione degna di un grande paese industrializzato, manca l’idea di una seria formazione dei cittadini. Si attaccano gli insegnanti, quando il corpo docente vien diviso in docenti di serie A e docenti di serie B, non essendo facilmente misurabile il merito, quand’anche fosse un valore, in quanto è venuta meno l’idea stessa di Scuola secondo Costituzione.
Ci può salvare solo una scuola che si fondi, come dice il prof. Baldacci, relatore al Convegno CIDI di Pescara, non sul merito ma sulla uguaglianza delle opportunità, contro ogni insulsa forma di efficienza produttiva, mutuata dal mercato.
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