Andrea Pubusa
L’altro giorno la stampa regionale ha dato conto della spesa milionaria per il c.d. master and back, che al di là del nome in inglese è un grande e dannoso sperpero di danaro. Per farmi capire, vi racconto una storiella. Un bel dì, tanto tempo fa, venne da me in facoltà, una bella donzella, aveva fatto il master fuori Sardegna, ora doveva far il back. E cosa mi propone? Mi dice in buona sostanza, che vuole l’attestazione del back, ma senza tornare, perché questa è la condizione per prendere la borsa e per non restituire i soldi. Ho finto di non capire la proposta (indecente), ho dichiarato la disponibilità ad accoglierla nel mio istituto e le ho indicato incombenze e presenze secondo legge. E’ sparita e non l’ho più vista. Certo, si è rivolta ad altri e forse ha trovato chi le ha permesso di fare il back fittizio e truffaldino. Andata senza ritorno a spese della Regione sarda.
Morale della favola. Il master and back è il frutto della fantasia di qualche funzionario o politico che scambia il desiderio con la realtà. Mandar fuori un giovane non ancora strutturato in Sardegna significa incentivarlo ad andar via e, in termini finanziari, regalare fuori dall’Isola non solo le risorse necessarie per la laurea, ma anche quelle occorrenti per la specializzazione. Un suicidio finanziario e sociale. Uno strumento non di sviluppo, ma di impoverimento, per di più finanziato con risorse pubbliche regionali.
Tanto più che, mentre tutto questo avviene, muoiono le strutture d’eccellenza locali. Faccio un esempio. Nella facoltà di Scienze politiche e di Giurispudenza di Cagliari, su stimolo del Prof. Gianni Duni, i docenti di diritto amministrativo hanno creato una quindicina d’anni fa un dottorato sulla teleamministrazione. Il primo in Italia e in Europa. Abbiamo coinvolto studiosi di primo piano nazionali ed europei. Due sono diventati giudici costituzionali in Spagna e in Germania, una in Portogallo, a riprova del buon livello dell’iniziativa. Abbiamo così consentito ai giovani migliori dei nostri corsi di rimanere all’Università per un’ulteriore formazione di tre anni. Molti hanno fatto esperienze di studio all’estero grazie ai contatti del dottorato: Spagna, Germania, Francia, USA. Senza enfatizzare, si può dire che è stato un buon lavoro. C’è stata specializzazione, ci sono state le attività di studio all’estero, ma i giovani sono rimasti radicati in Sardegna presso un centro di studio sardo. Il contrario del master and back, che allontana il giovane, arricchisce i centri di ricerca esterni e favorisce l’esodo. Ebbene la Regione non ci ha mai dato un soldo e non lo ha dato ai nostri dottorandi. Abbiamo campato coi fondi dell’Ateneo e con qualche borsa della Fondazione del Banco di Sardegna. Oggi, il dottorato è stato soppresso dal ministero, che ammette solo i megadottorati delle grandi Università. A Cagliari siamo stati costretti a creare un unico dottorato nelle materie giuridiche, ossia un guazzabuglio privo di organicità e di specificità.
Se si pensa alle enormi risorse spese per mandare i giovani laureati fuori per ritorni improbabili, ci rendiamo conto dell’enorme spreco di risorse, un vero e proprio incentivo per mandar via le nostre eccellenze. Una soluzione? Senza negare la complessità della questione, mi pare che la via migliore sia quella di creare centri di ricerca e formazione di eccellenza nei nostri Atenei, ferma restando la possibilità, tramite questi nostri istituti di ricerca di collaborazioni e periodi di studio all’estero. Anche in questo modo, la permanenza in Sardegna dei “cervelli” non è sicura, ma è più probabile.
Per capirci, cito un altro caso. La Regione ha assegnato un finanziamento di oltre duecentomila euro alla Clinica Oculistica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari, per lo sviluppo di un progetto di ricerca relativo allo studio delle malattie della retina. Si tratta di un progetto estremamente importante per mettere a punto una nuova procedura diagnostica.
Il progetto di ricerca, iniziato nel 2004, vede un valente ricercatore della Clinica Oculistica di Cagliari, il dottor Enrico Peiretti, collaborare con il professor Robert Flower dell’Università del Maryland ed i ricercatori dell’Università di Urbino. Da allora il progetto è andato avanti e dagli Stati Uniti è continuato presso la Clinica Oculistica di Cagliari con la stretta collaborazione tra il professor Flower ed il dottor Peiretti.
Il progetto pilota ha investito un ristretto numero di pazienti della Clinica Oculistica di Cagliari, ed ha mostrato la possibilità di metter in evidenza le fasi iniziali della malattia quando la terapia è sicuramente molto più efficace. Qui, c’è l’acquisizione di eccellenze ai massimi livelli internazionali con un ritorno immediato in loco perché l’esborso rinforza la competenza di ricercatori locali inseriti in strutture locali.
Certo, non si potrà fare sempre e in ogni caso così, ma questo è il modello. Collegare le nostre eccellenze locali coi centri di ricerca nazionali e mondiali, con una immediata acquisizione di competenze in seno alle strutture sarde.
Qui, non c’è pericolo di non ritorno perché non c’è partenza. C’è un’acquisizione di competenze per il tramite dei centri di ricerca sardi, con ricaduta immediata in favore dei sardi.
Le cifre importanti, milioni di euro, spese in questi anni per i master senza ritorno, potrebbero essere meglio messe a frutto se, con minor provincialismo, si avesse più fiducia nelle potenzialità delle strutture locali di ricerca e formazione. Sono queste che vanno potenziate. La loro crescita è lo strumento più sicuro di sviluppo complessivo dell’Isola.
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