Carlo Dore jr.
Interruzione di ogni mediazione interna, superamento del dogma delle primarie per la selezione delle candidature locali, irrigidimento delle strutture territoriali: i risultati delle ultime amministrative – contrassegnate da un astensionismo dilagante e dalla dilapidazione di un capitale politico di quasi sette milioni di voti – risuonano dalle parti del Nazareno come la classica campana a morto che segna la fine di un’epoca: quella del “partito scalabile” grazie al sentiero delle primarie aperte, quella dell’esaltazione dei “politici d’occasione” che impongono la forza della leadership empatica sulla debolezza dei partiti destrutturati.
Quella del “politico d’occasione”, secondo Michele Prospero, è una categoria che cattura da sempre le riflessioni degli studiosi dell’arte del potere: Machiavelli identificava il tratto principale del “politico d’occasione”nella capacità di cogliere l’attimo concesso dalle circostanze, per appropriarsi dello scettro del comando; Max Weber nel “dilettantismo politico”, nella concezione della politica come “occasione per la realizzazione di rendite o profitti” e nella sostanziale indifferenza per le dinamiche che della politica governano lo svolgimento.
Tra Machiavelli e Weber, Renzi non mai rinnegato la propria natura di “politico d’occasione”, accentuando a tal punto le caratteristiche di tale figura da rimanerne, alla lunga, prigioniero. Dismessi i panni del disciplinato scolaro dei maggiorenti del centro-sinistra fiorentino, ha sfruttato le divisioni in seno all’area democratica per accreditarsi come il candidato civico in lotta con la casta dei partiti nella conquista di Palazzo Vecchio. Le primarie aperte alla benedizione di parte della destra gigliata ne hanno fatalmente premiato il disegno, la legge elettorale dei sindaci – che ribalta, grazie al lavacro lustrale dell’elezione diretta, il rapporto fiduciario tra primo cittadino e consiglio comunale – ne ha rilanciato l’immagine di leader impolitico che governa solo grazie al favor populi. De-strutturazione dei partiti e cultura plebiscitaria della leadership, giovanilismo e camice bianche, hastag e parole in libertà: ecco il patto fondativo della Leopolda, ecco l’alba della rottamazione, della brutale guerra preventiva mossa in confronto di un gruppo di persone, prima ancora che di un progetto politico.
Il paladino della democrazia partecipata chiede e ottiene una modifica dello statuto: di nuovo le primarie, di nuovo aperte, ma stavolta perse miseramente, per lo sgomento di salotti buoni e mondo dell’imprenditoria. Il “politico d’occasione” non si ferma, ed attende una nuova opportunità: gliela forniscono i 101, che pugnalano alle spalle Prodi per neutralizzare il “governo di cambiamento” teorizzato da Bersani; gliela fornisce un gruppo dirigente disposto ad auto rottamarsi in nome del primum vivere, per poi ritrovarsi sotto le insegne del nuovo idolo. Le primarie per la segreteria, Letta dimissionato dalla forza di un tweet, il Patto del Nazareno prima benedetto e poi abiurato, la minoranza interna ridicolizzata a colpi di “Fassina chi?”: le occasioni del “politico d’occasione” si susseguono, fino a Palazzo Chigi, fino alla bulimica notte del 41%, che annebbia la capacità di analisi e scatena mai sopite pulsioni egocratiche.
Machiavelli lascia spazio a Weber, il politico d’occasione si conferma un politico dilettante. Dalle riforme istituzionali al mercato del lavoro, dalla legge elettorale alla riforma della scuola, ferisce il suo elettorato con un’impostazione di governo volutamente iper-conservatrice, debitamente edulcorata dal mantra del rinnovamento. Flirta con gli industriali e combatte con il sindacato; rinuncia a costruire un ampio campo di forze a sostegno della sua leadership per porre la sua figura al centro di un conflitto politico permanente: o con me o contro di me, o per il rinnovamento o per la conservazione. Alla lunga, si tratta di un’occasione sprecata: gli elettori disertano le urne, i voti sono spariti, la notte del 41% diventa solo una storia da narrare.
Le campane del Nazareno iniziano a suonare a lutto, il “politico l’occasione” scorre le pagine di Machiavelli e tenta di porre un riparo. Contrordine, compagni: basta con il dissenso interno, comunque silenziabile attraverso il ricorso ossessivo al voto di fiducia; basta con le primarie ad ogni costo, specie se determinano candidature non approvate dalla segreteria nazionale; basta con il partito leggero, se un rafforzamento delle articolazioni locali garantisce un più immediato controllo dei territori. Dalle “primarie ad ogni costo” al ritorno del centralismo democratico; dal “partito scalabile” al “partito caserma”: il politico d’occasione è pronto a rinnegare sé stesso, pur di recuperare il terreno perduto.
Ma le campane del Nazareno continuano a suonare a lutto: ormai è tardi, e il politico d’occasione non può liberarsi dal dogma su cui ha costruito la sua figura. Ormai è tardi, per recuperare i consensi di un elettorato sfinito dal vuoto di rappresentanza e paralizzato dall’attesa di un alternativa che ancora non si manifesta. Ormai è tardi, per procrastinare l’incombente fine di una stagione: quella dei partiti scalabili, e dell’esaltazione dei “politici d’occasione”.
(cagliari.globalist.it)
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