Simone Angei
L’italiano, si sa, è patologicamente attaccato al mondo del pallone, vero sport della Repubblica, che, probabilmente per pura contingenza storica, non ha visto riconosciuta tale rilevanza… nella stessa Carta Costituzionale! Quotidianamente veniamo subissati da una miriade di informazioni che riguardano questo o quel centrocampista, difensore, attaccante, tanto da farne oggetto principale delle più consuete conversazioni di circostanza a scuola, al bar, in palestra…
Eppure, a ben pensarci, l’importanza di questo sport è ormai andata e va oltre i suoi stessi confini naturali, fino a modificare in maniera strutturale il modo di concepire e interpretare la realtà, in particolare quella politica, da parte dell’italiano comune.
Quante volte abbiamo a che fare con metafore o metonimie direttamente prese a prestito dal mondo calcistico! “Scendo in campo”, “Ce l’ho fatta in zona Cesarini!” o “Alla prossima cartellino rosso” o ancora “sei entrato nella discussione a gamba tesa!”
Se ci si fermasse a questo, si tratterebbe di un piacevole scambio di immagini tra due mondi linguistici diversi. Tuttavia, spesso, l’utilizzo di un certo linguaggio, di una determinata semiotica, denota altresì un corrispondente schema di pensiero, profondamente legato a quello che si esprime attraverso quelle specifiche espressioni linguistiche.
Ed è in questa logica di scambio semiotico, fino ad oggi unidirezionale, che si colloca l’attuale fase politica nazionale, regionale e persino comunale: il mondo del pallone, già terreno di squallidi teatrini politici, tende a plasmare e trasformare il mondo della politica, fornendogli lessico, immagini, metodologie.
Come altro si potrebbe spiegare il fenomeno per cui, alla vigilia di ogni tornata elettorale (in particolar modo per le regionali) ci si affanna a formulare i “pronostici”? Finirà un 7 a 0”, “Chiuderemo 4 a 3”! Ponendo l’interlocutore nella chiara difficoltà di capire se si stia parlando di una partita di calcetto o di una “competizione elettorale”.
E quello stesso clima agonistico, che infiamma gli spalti degli stadi la domenica, non è lo stesso che vediamo lungo le tortuose campagne elettorali che accompagnano i cittadini al voto?
Tutto parte con la ricerca dei candidati, un mese prima del deposito delle liste: valutazione delle quotazioni, peso elettorale, “possibilità di portare a casa un bel risultato”.
Una vera e propria “campagna acquisti” degna dei migliori team nazionali, con tanto di improvvisi cambi di casacca e laute ricompense a chi è pronto a prendere i remi e cambiar bandiera!
Presentate le liste, l’obiettivo è quello di “vincere le elezioni”: non importa come, non importa il fatto che “vincere” significhi assumersi la responsabilità del futuro di centinaia, migliaia, milioni di persone.
Non importa se per vincere si sia pronti a calpestare la dignità di altre persone (rom, migranti, omosessuali…), non importano i tanti “cartellini gialli” per rinvio a giudizio (le espulsioni anche per i condannati…sono rare!).
L’importante è dimostrare a se stessi e ai propri dirimpettai il grado di consenso che si è capaci di portare a casa, le simpatie trasformate in “voti”, i “goals” che si è capaci di segnare.
Ed ecco allora che tutto diventa, e, in quest’ottica, deve diventare, funzionale a garantire in qualsiasi modo una vittoria che sia netta, schiacciante, che assicuri ai contendenti, e agli occhi della platea, un vincitore ed un vinto, senza alcun margine per il pareggio, tertium non datur.
Diventa così necessario introdurre “playoff”, i ballottaggi, al fine di poter incoronare un unico vincitore al termine della competizione, un unico soggetto cui affidare tutti i poteri e le responsabilità, il migliore, l’idoneior” avrebbero detto i latini.
Leggi elettorali architettate con l’unico obiettivo di garantire che, a fine campionato, si possa festeggiare lo scudetto e le varie coppe collaterali (coppa-regionali, coppa-amministrative..).
Eppure, a ben vedere, non è che il mondo del calcio viva una situazione degna di lodi, tanto da consentirne una cosi plastica emulazione!
Scandali, partite truccate, violenza dentro e fuori dagli stadi, becero razzismo.
Oserei quasi dire che si è perso lo spirito fondamentale del calcio, e dello sport in generale: quello del partecipare, del fare “squadra”, del consentire anche ai più deboli ed emarginati di esprimersi in un qualcosa che non richiede altro se non i propri piedi e polmoni.
E non è questo un triste parallelismo con l’attuale quadro politico?
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