“La vita è bella”. Il testamento di Leon Trotsky

8 Giugno 2015
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 Ho letto “La vita è bella” di Leon Trotsky (prefazione di David Bidussa, Chiarelettere, pagine 100, euro 7,90), il cui titolo, tratto dal testamento dello scrittore russo, è stato usato da Benigni per il suo famoso film. E’ un libro agile che si legge d’un fiato: offre una sintesi estrema del pensiero del grande rivoluzionario e insieme rivela la vitalità e la speranza di un uomo dalla vita politica e personale molto travagliata. Il suo testamento è un eccezionale inno alla vita.
Sorprendente anche la precisione con cui Lev coglie il punto debole dello stalinismo nel suo noto scritto “Una nuova rivoluzione è inveitabile“. Non solo Marx, ma anche Lenin avevano auspicato il deperimento dello stato. Nella società senza classi “l’abitudine all’osservanza delle regole da parte della comunità può eliminare la necessità di qualsiasi costrizione“ , ricorda Trotsky. Lo stalinismo invece è andato in senso contrario e ha messo al potere un ceto burocratico, autoritario e repressivo. Di qui l’inevitabilità - secondo Lev - di una nuova rivoluzione, che non sarà sociale perché non deve mutare le basi economiche della società, ma deve rovesciare la nuova burocrazia. 
Non c’è dubbio che è stata questa segnalata da Trotsky la involuzione fondamentale dell’URSS, da cui tutte le altre sono derivate. Sennonché…anziché la classe lavoratrice, è stata la stessa bgurocrazia dominante a fare la controrivoluzione, eliminando i vincoli della base economica socialista. I grandi burocrati di stato e di partito si sono così impadoniti dello Stato e delle ricchezze, privatizzandole e però mantenendo l’assetto autoritario di matrice staliniana. Insomma, dallo stalinismo si è usciti malamente a destra, non a sinistra, come il buon Lev auspicava. Ne è venuto fuori, dopo il crollo dell’URSS, un Moloch capitalistico, senza i temperamenti del bilanciamento dei poteri e delle libertà individuali e collettive  (A.P.)

Chiarelettere, la casa editrice del libro, ha programmato di dar seguito alla colanna con due volumetti di grande successo: Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci (pagine 128, euro 7,00), e La scuola della disobbedienza di don Lorenzo Milani (pagine 112, euro 7,90). A seguire altre novità del pensiero critico di autori intramontabili come Simone Weil, André Breton, Étienne de La Boétie, Robert Musil, Lev Tolstoj, Paul Valery, Fernando Pessoa e tanti altri. Insomma tante interessanti letture.

Con l’invito a leggere il libro ecco la nota biografica di Trotsky, la presentazione di David Bidussa e il Testamento di Leon Trosky.   

Leon Trostky: è stato tra i principali, insieme a Lenin, protagonisti della Rivoluzione d’Ottobre. Dopo la morte di Lenin entrò in contrasto con Stalin. Venne espulso dal partito e incominciò per lui il lungo periodo dell’esilio. Si stabilì, dopo molte peregrinazioni, in Messico. Muore assassinato da un sicario sovietico di origine spagnola.

CONTRO IL PRESENTE di David Bidussa

Chi avrebbe scommesso su Gramsci nel 2010? Praticamente nessuno. La vicenda Gramsci era una storia archiviata. Al massimo una vicenda biografica sfortunata collocata all’interno di una parabola politica ormai conclusa. Insomma un capitolo chiuso del passato che stava bene là.
Poi la politica, improvvisamente, ha rimesso al centro alcune sue parole.
Quella riscoperta, tuttavia, non è stata la premessa a una rivalutazione complessiva di Gramsci.
Gramsci entrava nel pantheon del XXI secolo per alcune parole e in quel pantheon sta proprio per che ci sono parole indispensabili senza le quali la nostra condizione è quella della sudditanza e forse dell’insignificanza.
Gramsci rimaneva una figura politica consegnata al suo tempo. Le sue parole entravano prepotentemente nel nostro, per certi aspetti si presentavano come le più adeguate, più “update” per parlare e dare voce ai tanti ventenni per le vie di una qualsiasi “occupy wall street” nell’estate 2011. Odio gli indifferenti era uno slogan che andava forte. Ma non era la premessa a una nuova stagione di Gramsci.
Da tempo il rapporto con le figure significative del passato non è assumerle in toto, ma cercare suggestioni per riflettere oggi. Nel passato non si va a cercare padri, numi tutelari, si vanno a cercare pensieri che parlino all’inquietudine e alle insoddisfazioni del nostro tempo, voci capaci di darci quelle parole che talvolta stentiamo a trovare.
Ha senso pubblicare Trotsky nel 2015? Forse, ma a patto che si faccia un ragionamento chiaro su ciò che ci aspettiamo. Ovvero che si dica senza bluff che cosa vogliamo da una voce del passato, che cosa andiamo a cercarvi e perché scegliamo quella.
Si potrebbe liquidare Trotsky come una figura che è sconfitta due volte: la prima perché la sua famiglia politica (il comunismo) ha perso; la seconda perché anche dentro alla sua famiglia politica è risultato perdente. La sua alla fine sembra la morte inutile di un combattente che fino all’ultimo crede che le sorti del mondo si possano cambiare, che il suo avversario irriducibile, un tempo suo compagno di partito, possa essere rovesciato.
Come sappiamo non è andata così, e l’intera parabola non era che eliminando Stalin, l’allegra macchina del comunismo si sarebbe automaticamente rimessa in moto. Il processo era più complicato. Come del resto Trotsky stesso intuisce quali alla fine della propria vita, l’essenza del comunismo sovietico, se tolta la proprietà privata, si riduceva a essere l’equivalente del fascismo. È un’affermazione di cui Trotsky stesso si spaventa quando la scrive, tant’è che non la ripeterà più.
Tuttavia non è quello ciò che a me sembra si debba oggi portare a casa di quella esperienza politica.
A me sembra che sia importante riprendere un punto di quella riflessione. È nel primo scritto organico che ci sia pervenuto di Trotsky. È del 1900, Trotsky ha 21 anni (è quello che apre questa raccolta e che esprime il nucleo generativo di tutta la raccolta, anche se il titolo è ripreso da testo diverso).
Trotsky non ha un’esperienza politica, è un rivoluzionario colto, che ha un’alta considerazione di sé (uno che quando gli altri non lo capiscono piange e si placa quando lo consolano. Si può essere più presuntuosi di così?) Eppure c’è una forza invidiabile nelle sue parole immaginate come un dialogo tra lui e il XX secolo.
«Morte all’utopia! Morte alla fede! Morte all’amore! Morte alla speranza!» tuona il XX secolo con le sue salve di fuoco e il rombo dei suoi cannoni. «Arrenditi, patetico sognatore. Sono io, il tuo XX secolo tanto atteso, il tuo futuro.»
«No – replica l’indomabile ottimista – tu sei solo il presente».
Tutta la forza del rivoluzionario, che non molla è in queste parole.
Ma rivoluzionario che non molla non vuol dire un invasato che si identifica con la rivoluzione o, meglio con l’idea della rivoluzione, per poi una volta deluso della rivoluzione avvenuta votarsi all’idea perché tanto peggio per i fatti. Non mollare vuol dire sapere che dopo la rivoluzione può affermarsi se gli uomini e le donne migliorano la qualità della propria vita, che rivoluzione vincente non vuol dire solo presa del potere, ma qualità migliore della vita, vuol dire cultura, innalzamento dell’istruzione, riuscire a dimettersi dalle proprie sudditanze culturali, ideologiche. Sono le sue parole agli operai dopo la rivoluzione perché non si accontentino del potere o della redistribuzione delle ricchezze, perché la vita è anche molto altro e solo se questo altro si afferma, allora si può dire che è iniziata una stagione di felicità.
Questa sta anche nella sconfitta o nella difficoltà perché la sfida è nella capacità di replica, nella volontà di trovare una risorsa che consenta di ricominciare. Perseverando; non mollando, mai, con tenacia, ma anche con ironia.

La vita è bella (Testamento di Leon Trotsky)

La mia pressione alta (e in continuo aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute.
Sono attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina. Queste righe saranno rese pubbliche dopo la mia morte.
Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v’è una macchia sul mio onore rivoluzionario.
Non sono mai sceso ad accordi, né direttamente né indirettamente, o anche solo a trattative dietro le quinte coi nemici della classe operaia.
Migliaia di oppositori di Stalin sono caduti vittime di accuse analoghe, e non meno false.
Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l’onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.
Ringrazio con tutto il cuore gli amici che mi sono rimasti fedeli nei momenti più difficili della mia vita.
Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un’eccezione per la mia compagna, Natalia Ivanovna Sedova. Oltre alla felicità d’essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d’essere suo marito. Durante i circa quarant’anni di vita comune, lei è rimasta per me una sorgente inesauribile di amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell’ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.
Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico e quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente che nei giorni della mia giovinezza, anzi è ancora più salda.
Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile e l’ha aperta in modo che l’aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell’erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al di sopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore.

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