Il governo della Corte

30 Maggio 2015
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Massimo Villone - Il Manifesto del 22-5-2015

Pubblichiamo questo editoriale dell’autorevole costituzionalista napoletano che mette bene in luce la visione distorta dell’esecutivo sul rapporto governo/Corte costituzionale.

Con i suoi com­menti sulla Corte costi­tu­zio­nale, il mini­stro Padoan ha perso una ottima occa­sione per tacere. E dire che ave­vamo pen­sato di lui che — rispetto ai suoi sboc­cati e can­te­rini col­le­ghi e col­le­ghe di governo — mostrasse un apprez­za­bile self restraint. Quasi uno sta­ti­sta.
Anzi­tutto, è asso­lu­ta­mente con­tra­rio alla cor­ret­tezza e al buon gusto isti­tu­zio­nale, che un espo­nente del governo cen­suri la Corte costi­tu­zio­nale, per qual­siasi motivo. Così come lo sarebbe se cen­su­rasse il Capo dello Stato.
Un governo ha un indi­rizzo poli­tico soste­nuto da una mag­gio­ranza. Parla per atti for­mali, per i quali può essere assog­get­tato a forme di respon­sa­bi­lità poli­tica, col­le­giale o indi­vi­duale.
La Corte è organo neu­trale e di garan­zia, sot­tratto per defi­ni­zione al cir­cuito poli­tico mag­gio­ri­ta­rio, e gene­ti­ca­mente con­trap­po­sto al legi­sla­tore. Esi­ste appunto per can­cel­lare dall’ordinamento le leggi per­ché lesive della Costi­tu­zione. Male farebbe a dire che il governo ha sba­gliato, al di fuori della stretta e for­male moti­va­zione giu­ri­dica della sen­tenza. Stesso riserbo si richiede al governo, che è chia­mato ad attuare le sen­tenze, non a cri­ti­carle.
Qui è esat­ta­mente il punto. Que­sto governo tende a dimen­ti­carsi della Costi­tu­zione, e in spe­cie a sep­pel­lire le sen­tenze della Corte nei cas­setti, tam­quam non essent. L’Italicum grida ven­detta. E ora si aggiun­gono le pen­sioni e — come in altra occa­sione avremo modo di vedere — la scuola. Sti­rac­chiando la verità oltre misura.
Padoan dice che la Corte avrebbe dovuto tener conto dell’impatto della sent. 70/2015 sui conti pub­blici. Ma non vede che in realtà l’ha fatto? Per il domani, la Corte ha lasciato spa­zio al legi­sla­tore per una modu­la­zione anche ampia dei trat­ta­menti pen­sio­ni­stici in ragione delle esi­genze di bilan­cio. Forse per­sino troppo ampia. Non poteva fare altret­tanto per ieri, dal momento che non può modu­lare ridut­ti­va­mente per il pas­sato gli effetti di una sen­tenza di acco­gli­mento in ragione delle con­di­zioni sog­get­tive dei desti­na­tari della norma.
Quando una legge scom­pare per­ché ille­git­tima, non è la Corte a deter­mi­narne le con­se­guenze, ma il regime giu­ri­dico delle sue pro­nunce. Per il pas­sato il man­cato ade­gua­mento a causa della norma dichia­rata inco­sti­tu­zio­nale non era per alcuni più o meno ille­git­timo che per altri. Era ille­git­timo e basta. Né il diritto di alcuni era più o meno diritto che quello di altri. Quindi per il pas­sato si recu­pera ciò che non era stato — ille­git­ti­ma­mente — cor­ri­spo­sto. Se non lo fa il legi­sla­tore par­ti­ranno ricorsi e lo faranno pro­ba­bil­mente i giu­dici. Per il futuro si detta una nuova e diversa disciplina.
L’esternazione di Padoan mostra di essere una giu­sti­fi­ca­zione per la man­cata osser­vanza della sen­tenza della Corte da parte del governo. Con l’aggravante che non solo si dice alla Corte quel che avrebbe dovuto deci­dere, ma si afferma anche la neces­sità di un “coor­di­na­mento”. E che signi­fica, esat­ta­mente? Che la Corte avrebbe dovuto chie­dere il per­messo? Che era neces­sa­ria una pre­via intesa? Che al mini­stro dell’economia dovrebbe rico­no­scersi il potere di porre un tetto di spesa vin­co­lante per il giu­dice delle leggi?
In ogni caso, il con­cetto di coor­di­na­mento implica una co-decisione. Ed è qui che l’esternazione di Padoan assume un senso ogget­ti­va­mente inti­mi­da­to­rio. Padoan ha dato un buon esem­pio di come a Palazzo Chigi si intenda il gover­nare. L’esecutivo decide, e gli altri si acco­dano. Se non lo fanno, sono basto­nate media­ti­che, che vanno dallo sber­leffo, al rab­buffo, al cef­fone (s’intende, figu­rato). Il metodo l’abbiamo già visto, soprat­tutto nel per­corso delle riforme. È stato usato per­sino con i pre­si­denti delle assem­blee par­la­men­tari, con il par­la­mento tutto, con le mino­ranze interne, e in genere con ogni forma di dis­senso. Ora, espli­ci­ta­mente, con la Corte.
In realtà con le riforme in atto, dalla Costi­tu­zione alla legge elet­to­rale, dalla scuola alla Rai, e pro­ba­bil­mente anche — spe­riamo di no — con la scelta di ben tre giu­dici costi­tu­zio­nali, si vuole con­so­li­dare il trend. E’ que­sta l’Italia che si pre­fi­gura.
Padoan ci ha defi­ni­ti­va­mente con­vinto. Il governo rimanga pure sulle pol­trone, se pro­prio vuole. Ma le sue riforme e per larga parte le sue poli­ti­che sono pro­prio da buttare.

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