A Orune come a Milano?

17 Maggio 2015
2 Commenti


Andrea Pubusa

So di fare una provocazione, ma la faccio lo stesso. C’è un nesso fra l’uccisione del giovane studente di Orune e la morte dello studente in gita a Milano? Direte: entrambi erano certamente studenti delle secondarie e dunque giovani. Solo questo? No, erano sicuramente ragazzi, coetanei, anche tutti i protagonisti della vicenda. E poi? Erano tutti maschi. Embe!? Sono contesti usuali in ambito giovanile. Ma introduciamo una variante: se l’ambiente fosse stato misto e nei gruppi fosse stata rilevante la presenza femminile, gli esiti sarebbero stati gli stessi? Probabilmente no. Forse l’attenzione si sarebbe spostata verso la ricerca dell’altra, e la dinamica avrebbe fatto prevalere questo interesse. Voglio dire che non va trascurata l’osservazione di Tonino Dessì, quando mette in luce, in queste vicende piene di disvalori, la difficoltà di relazione con le ragazze e la conseguente chiusura in “masculiate”, prive di positività e di sentimenti.
Altro elemento comune in queste vicende è la sproporzione fra l’esito, la morte di un giovane, e le motivazioni o i fattori causali. Il dato di fondo è l’assoluta svalutazione della vita umana, della persona e della sua sacralità. Si può ammazzare per una ripicca o per uno scherzo. So di fare un accostamento all’apparenza audace e gratuito, ma la vita dei giovani massacrati nelle guerre, c’entra in tutto questo? Influisce lo svilimento delle persone, che nel centenario della Prima e nel settantesimo della fine della Seconda, abbiamo visto mille volte nei filmati d’epoca? E la mercificazione del lavoro, privato della sacralità d’essere l’elemento più creativo della persona?  C’entra la svalutazione del lavoro ormai non più garanzia di una vita libera e dignitosa, come recita la nostra Carta, maltrattata anzitutto in questo?
E la mancanza di democrazia c’entra? C’è stata una stagione in cui tutti i paesi erano innervati da una rete di centri di organizzazione, dove si discuteva dei problemi locali e nazionali, le sezioni dei partiti, luoghi di confronto, di socializzazione e di elaborazione, e i consigli comunali erano piccole agorà, dove si decidevano le cose locali, ma sopratutto si formavano i cittadini, abituandoli alla pratica democratica. C’è stata la stagione dei circoli culturali ad Orgosolo e dintorni, e quanta dirigenza politica, quanta analisi della situazione è venuta fuori di lì. Molti di noi si sono formati in quella esaltante fucina di idee, di contatti, di discussioni, dove l’analisi prima che dai libri veniva trasmessa reciprocamente a voce dai Giovanni Moro, dai Gonario Sedda, dai Tonino Dessì e dalle Teta Mazzette. Oggi, c’è il sindaco-semi podestà, nelle province il podestà, nella Regione il governatore che sgoverna col 19% del consenso dei sardi, grazie ad una legge elettorale-truffa, e il presidente che si avvia sulla stessa strada con l’Italicum. Fra poco ci saranno anche i presidi-podestà e così via podestando. Qualcosa ha sostituito questi luoghi d’incontro, di analisi, di formazione? Questo deserto democratico incide nel malessere giovanule e non solo, in Barbagia come altrove?  
E’ giusto interrogarci sul malessere dei giovani delle zone interne, ma il malessere degli studenti in gita a Milano non rivela punti di contatto? Più che l’ambiente barbaricino non rileva il contesto generale? Per il balente la vita era il bene più prezioso, e nella proporzionalità della vendetta poteva essere sacrificata solo perché di pari valore alla vita dell’altro, ammazzato per mano altrui. Qui è proprio questa proporzione che manca, c’è gratuità nell’ammazzamento. In tutto questo la diffusione delle armi ha poco rilievo, più che il grilletto conta la testa, tant’è che si può uccidere o lasciar morire un compagno disarmati. Si può ammazzare sparando o non soccorrendo, si uccide per indifferenza, con omissioni più che con azioni. Il Mare nostrum lo comprova, ahinoi, tutti i giorni! Il fatto è che la svalutazione della persona, il disconoscimento del suo naturale corredo di diritti è senso comune fin nella civile UE dei finanzieri. In tutto questo nelle Barbagie come a Padova e Milano ha qualche riflesso la mancanza di una rete democratica radicata nei luoghi di socialità, dalla scuola, al municipio, alla fabbrica? E l’assenza di forze e di leader che richiamino alla solidarietò, alla centralità della persona e alla promozione dei diritti? Cosa può nascere dalla mancanza di umanità delle istituzioni e dei loro occupanti? A ben vedere oggi c’è solo un leader mondiale che ci richiama al valore centrale della persona e del lavoro, Francesco, vox clamantis in deserto. Ed è in questo deserto globale di vita democratica, di sentimenti e di valori che, a Orune come a Milano e a Padova, giovani ammazzano o lasciano morire altri giovani.

2 commenti

  • 1 Tonino Dessi'
    17 Maggio 2015 - 09:43

    Preciso, comunque, Andrea, che anche il rischio di diluire tutte le vicende in un unico contesto va evitato. Io credo, come te, che l’attualità sarda, ancor più oggi, nell’epoca di mediatizzazione e di comunicazione digitale totale, debba sempre essere considerata nel contesto generale e resto convinto che la chiave di lettura oggettiva sia per noi quella del rapporto tra “metropoli” e “periferia”, anche oggi che l’effetto metropoli si stia evolvendo in una deflagrazione distruttiva e non in una progressiva assimilazione. Ovvio che non bisogna trascurare le peculiarità delle situazioni locali e dei contesti specifici. La Sardegna e i suoi territori non esplodono ne’ implodono come bainlieues parigine ne’ come le periferie napoletane. Aggiungo che il fattore “armi” non va trascurato, in un episodio come quello di Orune-Lula nel quale molto ruota sul mistero di una pistola. Quello che tuttavia va rigettato e’ un pregiudizio tribale che nuovamente in una certa intellettualità della nostra complessiva periferia urbana sarda sta emergendo, esito, lo comprendo -ma non lo accetto- di una malintesa rivendicazione di specificita “etnica” della questione sarda e delle questioni sarde che la articolano. Quello che, proprio ai tempi che tu ricordi, di intenso scambio collettivo, “di massa”, di opinioni e di esperienze, sembrava definitivamente rigettato e che sorprendentemente riaffiora oggi, in un uso ideologico e “politico” , pur da parte di frange marginali, dei temi sociali e culturali.

  • 2 Lucia Pagella
    17 Maggio 2015 - 12:03

    Pur tenendo presente le specificità socioculturali in cui avvengono i fatti di sangue a cui ci si riferisce, a me sembra che la provocazione di Andrea colga nel segno.
    Vorrei aggiungere che vi sono altri elementi che portano alla stessa conclusione. Innanzitutto la globalizzazione e mi riferisco appunto a quella socioculturale. Al capitale fa gioco agire in un contesto quanto più possibile omogeneo sia per limitare le possibili contestazioni che pongono problemi diversi e impongono agire differenti, sia dal punto di vista economico perchè consente una omologazione dei bisogni e, quindi, della produzione. E’ in una società senza ideologie e senza cultura con una scuola-azienda che trova il suo humus una violenza generalizzata e fine a se stessa.
    Ed é ancora in tale tipo di società che il disvalore della dignità umana se da un lato agevola il risorgere dello schiavismo dall’altro ottunde le coscienze e la violenza in tutte le sue forme non viene più percepita neppure nei casi estremi come un atto contrario alla nostra umanità. Certamente non aiutano gli spettacoli in cui la violenza viene esaltata : é come se si volessero abituare quelli che erano cittadini a fatti sempre più gravi per agevolare ulteriori ingiustizie.

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