Andrea Pubusa
Se mi venisse proposto, non modificherei di una virgola la bella riflessione di Lucia Pagella sul Primo Maggio, pubblicata ieri in questo blog. E tuttavia se un milione di persone hanno assistito al tradizionale Concertone del Primo maggio, in piazza San Giovanni, a Roma, e due-trecentomila a Taranto, ciò vuol dire che il senso del Primo Maggio non si è perso. In molte situazione di crisi, esso non ha i connotati di una festa, ma mantiene il suo carattere originario di giornata di lotta in difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Nel Sulcis, per esempio, la ricorrenza è stata caratterizzata da una manifestazione all’Alcoa di P. Vesme, una momento di lotta, dunque, in difesa dell’occupazione. In tanti luoghi, comunque, e sopratutto nelle fabbriche in crisi, la giornata ha avuto lo stesso carattere: lotta dei lavoratori e delle popolazioni della zona. Comunque anche nei concerti la festa è stata incentrata sui temi dell’occupazione, dei diritti del lavoro, dell’integrazione e della solidarietà e dappertutto un minuto di raccoglimento per le vittime del sisma in Nepal.
Tutto questo fa pensare che la ricorrenza non è morta, anche se vedo tanti nella veste di becchinim, indaffarati a seppellirla insieme ai diritti e alla dignità del lavoro. La festa del Primo Maggio è sempre stata una sfida dei lavoratori al capitale. E le forze conservatrici hanno sempre puntato a farne perdere la memoria. Che dire, ad esempio, dell’inaugurazione dell’Expo il primo maggio? Nessuna argomentazione riesce a convincermi che la contestualità sia volta a mettere in ombra la festa del lavoro; la finalità è chiara: esaltare le magnifiche sorti e progressive del capitale e relegare nelle anticaglie otto-novecentesche le giornata internazionale del lavoro. Ed è abbastanza visibile l’intendimento di nascondere una crisi, profonda e in aggravamento, dietro gli sfavillanti padiglioni di Milano.
E che dire delle minchiate sul cibo? Mentre il mondo viene sempre più affamato da un capitale finanziario rapace e incontenibile, lor signori discettano finemente sul cibo e ce lo presentano in tutte le declinazioni regionali e nazionali. Ma più che del cibo, dovrebbe parlarsi della fame nel mondo, e più che propinarci ricercate ricette, occorrerebbe fare uno sforzo per dare pane ed acqua a masse sterminate di affamati e assetati.
Certo, in tutto questo, sorprende che i lavoratori che per primi, grazie sopratutto a Marx, hanno capito la globalizzazione e hanno apprestato, con la prima Internazionale socialista, una risposta all’altezza della sfida sovranazionale, non riescano oggi a coordinare le forze del lavoro in Europa. La giornata del Primo maggio fu decisa dall’Internazionale come giornata mondiale di lotta dei lavoratori, ed oggi, pur con la facilità delle comunicazioni, non si riesce neanche a livello continentale a proporre un minimo di azione comune. E così, di fronte ai poteri prevaricanti del capitale finanziario, che si manifesta con sigle impersonali e globalizzate (BCE, FMI etc.), i lavoratori sono divisi in mille rivoli, fra stati e all’interno di essi. E così può accadere che il popolo greco sia ridotto alla fame senza alcuna reazione generale, reazione, si badi, non di mera solidarietà, ma nell’interesse anche nostro di ciascun popolo dell’Unione. Non crea più neanche scandalo che l’Europa, che si professa faro dei diritti, insegua pervicacemente una finalità così persecutoria e ingiusta come quella che si va perpetrando non solo nell’Ellade, ma contro il lavoro in ogni parte del Vecchio Continente. E non è un caso che con l’accentuarsi delle diseguaglianze, vengano alimentati anche pericolosi focolai di guerra, sulla spinta di nuove pretese egemoniche ed espansionistiche, con al centro, guarda caso, la Germania.
E quale differenza, rispetto all’oggi, tra il modo di vedere i diseredati nei partiti del nascente movimento operaio e nei primi partiti socialisti e poi comunisti! Oggi i migranti sono al più da trattare in modo compassionevole, ma allora anche i più emarginati erano considerati parte integrante del movimento di emancipazione, del blocco sociale subalterno in lotta. E così dovrebbe essere oggi, essendo loro, i migranti, il risultato della globalizzazione capitalistica, che ha depredato e depauperato il Continente africano.
Il Primo Maggio, dunque, è attaccato duramente, ma non è morto. Tuttavia, come per nascere ha avuto bisogno di un impulso forte dell’organizzazione di lavoratori, l’Internazionale socialista, così ha necessità oggi non di poca, ma di molta organizzazione, statale e sovranazionale. E’ questa che manca, dopo il passaggio, con armi e bagagli, di partiti socialisti e socialdemocratici sull’altra sponda e dopo la dissoluzione dei partiti comunisti ad opera, spesso, dei loro stessi dirigenti, affascinati dal neoliberismo. Ci vuole, dunque, un nuovo inizio, che parta non dai salotti della politica, ma come fu agli albori del movimento operaio, dai luoghi di lavoro e di impegno sociale. L’intuizione giusta è quella di Landini e Rodotà, ma bisogna darle gambe.
1 commento
1 Lucia Pagella
8 Maggio 2015 - 11:49
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