L’ossimoro della fiducia segreta

19 Aprile 2015
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Camera. Niente fiducia con il voto segreto, lo dice il regolamento

Siamo alla conta finale? L’appello delle oppo­si­zioni a Mat­ta­rella con­tro il ricorso alla fidu­cia per la legge elet­to­rale usa parole molto pesanti. Ma non è dub­bio che l’arrogante testar­dag­gine del governo, nel lasciar inten­dere che alla que­stione di fidu­cia potrebbe giun­gersi, ha creato una situa­zione di straor­di­na­ria gra­vità. In tale ipo­tesi non saremmo più di fronte a una nor­male dia­let­tica poli­tica, dura quanto si vuole, ma ad una patente e voluta vio­la­zione del rego­la­mento par­la­men­tare. Per que­sto è bene che il Pre­si­dente rac­colga l’appello, e dia ad esso seguito nei modi che riterrà opportuni.
Sulla legge elet­to­rale il governo non può porre la fidu­cia, se viene richie­sto il voto segreto (già da alcuni pre­an­nun­ciato). Ce lo dicono con chia­rezza gli artt. 49 e 116 del rego­la­mento Camera. Per l’art. 49 il voto è palese, salvo che per alcune mate­rie enu­me­rate in cui è neces­sa­ria­mente segreto, e per alcune altre in cui è segreto a richie­sta di almeno 30 depu­tati (art. 51). Tra que­ste ultime – voto segreto a richie­sta – tro­viamo appunto la legge elet­to­rale. Per l’art. 116 la que­stione di fidu­cia non può essere posta «su tutti que­gli argo­menti per i quali il Rego­la­mento pre­scrive vota­zioni per alzata di mano o per scru­ti­nio segreto». Il che è ovvio, visto che la fidu­cia si vota per appello nomi­nale. La domanda dun­que è: lo scru­ti­nio segreto a richie­sta sulla legge elet­to­rale ex art. 49 si con­fi­gura come voto segreto “pre­scritto” ai sensi dell’art. 116? O deve con­si­de­rarsi “pre­scritto” solo il voto “neces­sa­ria­mente” segreto, e cioè segreto anche in assenza di richiesta?
La rispo­sta è chiara. Anche il voto segreto a richie­sta – benin­teso, una volta che la richie­sta sia stata avan­zata – deve con­si­de­rarsi “pre­scritto” ai sensi dell’art. 116, e dun­que ido­neo a deter­mi­nare la pre­clu­sione della que­stione di fidu­cia. Biso­gna par­tire dalla con­si­de­ra­zione che la moda­lità di vota­zione in ambito par­la­men­tare non è mai oggetto di valu­ta­zione discre­zio­nale da parte di chic­ches­sia. Che il voto sia segreto o palese non discende da una scelta di oppor­tu­nità, ma dal det­tato rego­la­men­tare. Ciò per ovvi motivi di garan­zia dei sin­goli par­la­men­tari e delle forze poli­ti­che, in spe­cie di minoranza.
Ci può essere un «dub­bio sull’oggetto della deli­be­ra­zione», cioè un dub­bio inter­pre­ta­tivo se una fat­ti­spe­cie rien­tri o meno nelle mate­rie per cui il voto è segreto o palese. Ma, sciolto il dub­bio da parte della pre­si­denza dell’assemblea, il voto è obbli­ga­to­ria­mente deter­mi­nato dalla norma rego­la­men­tare. Quindi, la moda­lità di vota­zione è sem­pre «prescritta».
Nel caso, non c’è alcuna pos­si­bi­lità di dub­bio inter­pre­ta­tivo, poi­ché la legge elet­to­rale è espli­ci­ta­mente inclusa nell’elenco delle mate­rie per cui il voto è segreto a richie­sta. E per­tanto la que­stione di fidu­cia rimane pre­clusa ai sensi dell’art. 116, lad­dove richie­sta di voto segreto vi sia. Spet­terà alla Pre­si­denza dell’Assemblea impe­dire ogni pre­va­ri­ca­zione a danno dei diritti dei sin­goli depu­tati e delle forze poli­ti­che. Essendo chiaro che la Pre­si­denza non si oppone a una scelta poli­tica del governo, ma solo applica — come deve — una ine­qui­voca norma regolamentare.
Dun­que, niente fidu­cia. Si tratta di regole, e non di bon ton poli­tico e isti­tu­zio­nale, che pure vie­te­rebbe in modo asso­luto a un governo di vin­co­lare la pro­pria soprav­vi­venza — attra­verso la fidu­cia — al testo in discus­sione. In tal modo si cer­ti­fica infatti che la legge in discus­sione non è neu­trale, ma entra nella dia­let­tica poli­tica distri­buendo van­taggi e svan­taggi deci­sivi. Né si tratta di buon senso, che ovvia­mente dovrebbe trat­te­nere un segre­ta­rio capo di governo dall’usare la fidu­cia per met­tere la mor­dac­chia a un pezzo del suo stesso par­tito. Né, ancora, si tratta di dignità poli­tica, che pure richie­de­rebbe, una volta nau­fra­gato lo scia­gu­rato patto del Naza­reno, di smet­tere la fin­zione per cui le riforme da esso gene­rate siano nell’interesse del paese. Né si tratta di cor­ret­tezza e sen­si­bi­lità costi­tu­zio­nale, che impor­reb­bero di non for­zare un par­la­mento già sostan­zial­mente ille­git­timo per una sen­tenza del giu­dice delle leggi a nor­mare appro­fit­tando dei numeri deter­mi­nati da quella ille­git­ti­mità. Né infine si tratta di valu­ta­zioni di merito, anche se Napo­li­tano defi­ni­sce ora un grave errore aver abban­do­nato il Mat­ta­rel­lum, con ciò lasciando inten­dere per impli­cito che l’errore si per­pe­tua quando non si esce dal Por­cel­lum tor­nando al Mat­ta­rel­lum ma andando all’Italicum, pur necessitato.
Men­tre Scal­fari afferma su Repub­blica che l’approvazione delle riforme ren­ziane uccide la demo­cra­zia par­la­men­tare. Due auto­re­voli testi­moni del nostro tempo, che si gua­da­gnano la tes­sera di gufo ono­ra­rio.
Abbiamo capito che a Renzi più che il mono­poli piace la bat­ta­glia navale, soprat­tutto per la for­mula «col­piti e affon­dati». La sini­stra Pd ha qui pro­ba­bil­mente la sua ultima occa­sione. Certo, per loro Renzi è come il meteo­rite che 65 milioni di anni fa colpì la terra pro­vo­cando l’estinzione dei dino­sauri. Ma vogliamo ricor­dare a quel che resta della com­po­nente Ds nel Pd che i dino­sauri lot­ta­rono per sopravvivere.
Noi vor­remmo almeno che si rispet­tas­sero le regole. In un sistema demo­cra­tico è una pre­messa indi­spen­sa­bile, senza la quale tutto si riduce a vuota parola. Di for­za­ture e strappi ne abbiamo avuti già troppi, per un nuo­vi­smo che in tal modo nulla pro­mette di buono per il futuro. Anche per que­sto il ren­zi­smo non ci piace. E non è affatto que­stione di fiducia.

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