Gonario Francesco Sedda
In un intervento sul quotidiano i l m a n i f e s t o [Partito della nazione e sinistra di governo, 11 aprile 2015] Stefano Fassina propone molti spunti di discussione, che non è possibile svolgere in una sola volta. Solo qualche punto, per ora.
1. «È consolidata l’analisi sul riposizionamento centrista del Pd […]: il programma attuato (dagli interventi sul lavoro al pacchetto di revisioni costituzionali e alla legge elettorale) e il metodo di governo praticato (dalla marginalizzazione del parlamento alla mortificazione del dialogo sociale) indicano la deriva centrista-plebiscitaria del partito nato come alternativo al centrodestra». Ma se il PD è centrista, allora che cosa sono i “centristi avversari” di ieri e di oggi (FI, Area Popolare-NCD-UDC)? L’arcipelago berlusconiano, (quasi) senza la Lega di M. Salvini, sarebbe quella “destra moderna e responsabile” tanto invocata dal PD e dal “Partito di Repubblica” come competitore nella gara “democratica” per la guida del governo? E che cosa distinguerebbe allora il PD “centrista” da una “destra moderna e responsabile”? Poco o nulla, guardando ai fondamenti ideologici, ai programmi attuati o da attuare, al metodo di governo, alla concezione della democrazia: sembrano due manifestazioni congiunturali dello stesso partito, due squadre di rematori che guidano la stessa barca e che si accapigliano sui percorsi diversi per arrivare allo stesso approdo. Se i rematori hanno perso il sapere necessario per costruire altre barche, se non riescono o non vogliono scoprire altri approdi, possono solo “alternarsi” alla guida della stessa barca verso lo stesso approdo. Non vi è alternativa!
Non convince neppure l’idea di un ri-posizionamento del PD per effetto del renzismo trionfante. Persino durante il secondo governo di R. Prodi non vi fu equilibrio tra le azioni a favore del “centro” e quelle a favore della “sinistra”: vi fu più centro che “sinistra”. Il partito a vocazione maggioritaria di Walter Veltroni era anche “a vocazione centrista”. Né durante il governo “giorgescamente” emergenziale e orgogliosamente antipopolare di M. Monti la linea di P. L. Bersani – responsabilmente consenziente – sembra aver confermato e rafforzato il carattere non centrista e di “sinistra” del PD. A Stefano Fassina non resterebbe altro da dire che il momento più alto per il PD nell’esprimere il suo carattere non centrista e di “sinistra” o almeno di centrosinistra, sia stata la titanica sfida del governo di E. Letta, di cui è stato viceministro dell’economia. Un governo di larghe e poi piccole intese … alternativo al centrodestra!
2. Il Partito della Nazione secondo M. Renzi, il “partito pigliatutti”, sarebbe «fattore di inibizione della democrazia dell’alternanza» e favorirebbe l’evoluzione della “coalizione sociale” in partito politico, ma condannandolo «a rimanere fuori dalle funzioni di governo» e spingendolo a cavalcare la protesta e il populismo.
Intanto il “partito pigliatutti” di M. Renzi non è il Partito della Nazione come lo ha pensato Alfredo Reichlin che lo ha proposto. Il debole oppositore al rampante incrocio blairiano-thatcheriano lo ha proposto per contrastare una seconda (dopo quella del Risorgimento) “rivoluzione passiva”, una modernizzazione – di cui proprio M. Renzi è il motore – senza il protagonismo e la rappresentanza del mondo dei subalterni. Il fatto che il “Blai-tcher” fiorentino se ne sia potuto appropriare con molta facilità in chiave plebiscitaria è già un indice della discutibile consistenza della proposta. Essa si basa sulla convinzione che il renzismo sia un incidente nel processo di trasformazione che ha portato dal PCI al PD, che non sia il prodotto organico di quel processo. La proposta di A. Reichlin sembra più che altro una esercitazione retorica con al centro l’idea che l’attuale PD sia la distillazione della parte migliore del “grande PCI” e non invece il risultato di un processo “trasformistico” che nella dissoluzione del PCI ha interessato non solo i gruppi dirigenti, ma “molecolarmente” anche l’intero suo blocco socio-politico-culturale. Il PDS-DS-PD è stato ed è quanto di meglio poteva e può servire per portare a compimento una “seconda rivoluzione passiva”. Non è M. Renzi che ha determinato una mutazione genetica del PD, ma è la genetica del PD che non ha potuto liberare i necessari anticorpi per impedire al renzismo di attecchire e prosperare.
Nel mercato elettorale delle democrazie maggioritaristiche (oligarchiche e conservatrici) il “partito pigliatutti” è certamente un partito trasversale, ma non prende “tutto”. Anzi “prende poco”. In Italia il tanto strombazzato 40,8% dei voti presi dal PD alle elezioni europee del 2014 (in un quadro di forte astensione) corrisponde solo il 23,95% degli elettori. Anche altrove i “partiti pigliatutti” vincenti hanno un consenso che si attesta mediamente tra il 20-25% dell’intero corpo elettorale (raramente e saltuariamente intorno al 30%). Tuttavia, dove non esistono o sono marginali le forze antisistemiche, il blocco industrial-finanziario dominante non governa col partito unico, ma tende a strutturare il suo mondo politico “amico” in almeno due partiti in lotta per l’alternanza alla guida del governo. Non si capisce dunque perché in Italia il partito “pigliatutti/pigliapoco” di M. Renzi dovrebbe essere «fattore di inibizione della democrazia dell’alternanza». Il “Blai-tcher” fiorentino potrà durare più o meno a lungo, ma la durata della sua stagione politica è congiunturale e non pregiudica la possibilità di una democrazia dell’alternanza in regime maggioritaristico-oligarchico.
Il problema della nascita e della crescita di un partito “alternativo” si poneva già molto prima del trionfo del “centrismo plebiscitario” di Matteo Renzi. Si poneva già fin dagli inizi degli anni sessanta come ricerca di una nuova via al socialismo e al comunismo diversa dalla “via italiana al socialismo” del PCI. E se si pone ancora oggi, non deve certamente essere nella riduttiva chiave politicista dell’opposizione al “centrodestra”, ma come proposta egemonica di un nuovo modo di produrre e di consumare, di rispetto dell’ambiente come ecosistema di tutti i viventi, di sviluppo della democrazia verso l’autogoverno, di promozione dei “subalterni” alla guida del governo al posto di chi ha sempre comandato, di rafforzamento dell’emulazione contro la competizione e della cooperazione contro la concorrenza verso la piena realizzazione dell’individuo sociale. Converrà parlarne in altra occasione.
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