Una scampagnata di Pasquetta nel ‘60 a Cannas

6 Aprile 2015
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Andrea Pubusa 

Dicono che il lunedì dell’Angelo si faccia, insieme con parenti o amici, una gita o scampagnata, pic-nic sull’erba e attività all’aperto, per ricordare i discepoli, che, lo stesso giorno della Resurrezione, in cammino verso Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme, videro per primi Gesù redivivo.
Noi, io e i miei amici, di tutto questo nel 1960 a Carbonia non sapevamo nulla. Quanto a devozione poi…lasciamo perdere. Ma a Carbonia a Pasquetta si usava andare in campagna. E noi decidemmo di andare. Panini con mortadella, birra e via, rigorosamente a piedi (moto e macchine erano di là da venire!). Forse perché c’era una fonte d’acqua, la scampagnata si faceva nei dintorni di Cannas, al tempo poco più che unu furriadroxiu. La gita, con le famiglie alle calcagne, non era, a quell’età, uno spasso.  E così, con gli amici, ormai tutti rockettari impenitenti, decidemmo uno strappo: organizzare un ballo all’aperto. Il ballo allora era la nostra più grande passione, anche perché era una delle poche occasioni per avvicinare le ragazzine.
Dunque, ballo a Cannas. Così stabilimmo. E così fu, con un avveniristico giradischi a batteria! Il piano, studiato nei minimi particolari, si articolava in diverse fasi. Con Lello, Claudio, Marco, Piero, Pino e gli altri ci recammo sul campo delle operazioni di buon mattino. Come fanno i grandi generali prima della battaglia, era fondamentale scegliere un punto strategico e pianeggiante per schierare le truppe (il nostro gruppo di sbarbatelli) e le armi, anzi l’arma segreta, il giradischi, e i proiettili, i dischi. Occorreva anche un po’ di pulizia del terreno, sterpi e pietre impedivano il veloce movimento delle truppe. All’incirca come i contadini quando preparano l’aia. Ma lì non si doveva trebbiare, si doveva ballare! E così, quando le famiglie e i gruppi iniziarono a diventare consistenti, ecco la nostra seconda mossa, quella più rischiosa, quella che decide le sorti della battaglia: far vibrare nell’aria a tutto volume Elvis, Little, Fats, Jerry coi loro ritmi indiavolati. Lì potevano accadere due cose: o i genitori ci mettevano in fuga, col rischio di lasciare sul campo anche le armi oppure il richiamo della musica aveva la meglio e i giovani travolgevano la resistenza dei veterani. Bisognava non sbagliare il primo disco. Quando posammo Jailhouse rock sul giradischi la tensione in noi era palpabile, il tempo non passava mai. Ma d’incanto, non appena la voce di Elvis e la musica de The Jordanaires salì nell’etere e fu chiaro che lì c’era un giradischi, dei dischi e un progetto, le ragazze e i giovani corsero come le mosche al miele. Quei ritmi suonarono salvifici per loro, altrimenti destinati a stare con mamma e papà nei dintorni, a rompersi le balle. Il piano funzionò a meraviglia. Noi in jeans e tante giovincelle coi pantaloni alla pescatora o alla caprese (potevano metterli solo in gita!) volteggiavamo con leggerezza. Così la mattina - come da strategia - si animò al meglio. Poi naturalmente mettemmo anche qualche slow, The Platters, Paul Anka, Sam Cooke ed altri. Il rock andava bene, ma il ballo della mattonella, al momento giusto, dopo aver fatto conoscenza, era un’altra cosa. Quella mattina volò via in un attimo, si pranzò tardi e ci fu tempo anche per un giro di danze pomeridiane. Che giornata! Indimenticabile!
Poi il ritorno con gli allegri racconti e gli immancabili cazzeggi…Ma, ahime!, sentivo un dolorino al piede destro, e quando rientrai a casa mi accorsi che un chiodo sporgente nella parte interna della scarpa (allora le scarpe avevano i chiodi)  mi aveva fatto un bel foro nel calcagno. E tuttavia tale era la foga nella danza, che mi accorsi del fattaccio solo la sera, a casa nel levarmi le scarpe per andare a letto! Stanco morto, bucato, ma soddisfatto… Allora bastavano due panini, due birre e un giradischi. A Cannas.

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