I diritti culturali contro i guasti della globalizzazione

13 Dicembre 2008
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Gianfranco Sabattini

Alain Touraine, accademico francese di sociologia industriale, nel suo studio La globalizzazione e la fine del sociale (2008), formula l’ennesimo atto di accusa contro i guasti che la globalizzazione starebbe determinando nel campo del “sociale”. Quale la tesi di Touraine? Il sociologo francese, premesso che la sua analisi non vuole essere un “presagio di una catastrofe”, dato che la fine di “un” mondo non legittima l’ipotesi che sia la fine “del” mondo, sostiene che il mondo attuale, per via della globalizzazione, subirebbe il trauma del crollo dell’organizzazione politica tradizionale dei sistemi sociali; in altri termini, l’integrazione mondiale delle economie nazionali concorrerebbe a determinare un cambiamento del paradigma in funzione del quale sarebbe avvenuta sinora la rappresentazione della vita collettiva e personale degli individui. Il mondo, perciò, per Touraine, starebbe uscendo dall’età in cui tutto trovava espressione e spiegazione in termini sociali e questa uscita obbligherebbe ad analizzare il processo di costruzione del nuovo paradigma. Ovunque, proprio per effetto del cambiamento del paradigma, sarebbe accelerata la crisi delle forme precedenti di organizzazione politica e sociale e di gestione del processo di crescita e sviluppo delle singole economie nazionali. Ciò avverrebbe, tuttavia, in presenza di un processo di internazionalizzazione che non configurerebbe una rivoluzione istituzionale, ma solo un mutamento delle modalità di gestione della base capitalistica di produzione; proprio per questo, questa forma di mutamento sarebbe del tutto indipendente dalle possibili variazioni della forma istituzionale esistente dell’organizzazione sociale. Ciò che conta nell’analizzare il cambiamento del paradigma è chiedersi, per Touraine, se l’individualismo che starebbe sostituendo lo Stato, inteso sinora come figura centrale della vita economica e sociale, possa cedere alle lusinghe del rinchiudersi nella sfera del “privato”, oppure se possa rivelarsi creativo quanto lo è stato nel processo di edificazione, nel secolo scorso, del sistema di sicurezza sociale con l’istituzionalizzazione del welfare state. E questa un’alternativa reale; infatti, se è vero che la crescente importanza della soggettività ha sconvolto il modo di ragionare fondato sul calcolo e l’interesse proprio del mondo affermatosi con il capitalismo avanzato, è anche vero che essa può avere delle conseguenze negative e sfociare in nuove forme di comunitarismo, all’interno del quale i singoli soggetti sarebbero definiti in funzione della loro appartenenza ad una determinata comunità e disconosciute sia le minoranze, che le opposizioni. A questo pericolo, secondo Touraine, i soggetti potranno sottrarsi solo se riusciranno a cercare all’interno di loro stessi la loro unità come esseri capaci di acquisire “una coscienza di sé autofondata”; e affinché questa coscienza dei soggetti prenda corpo dovrebbero affermarsi e tenersi reciprocamente tre elementi diversi: innanzitutto, il rapporto dei soggetti con sé stessi, in quanto portatori della coscienza della disgregazione del contesto sociale di appartenenza; in secondo luogo, l’entrata in conflitto dei soggetti con le forze dominanti in quanto negatrici del loro diritto ad agire a titolo individuale; in terzo luogo, la capacità d’essere portatori di una concezione generale della soggettività. In questo modo, la soggettività mancherebbe di apparire come puro esercizio di coscienza, perché il conflitto concorrerebbe ad attivare la necessaria azione collettiva; questa, dal canto suo, consentirebbe ai soggetti coinvolti di sentirsi difensori dei “diritti culturali universali”, la cui affermazione ha consentito e continuerà a consentire ai “gruppi sociali inferiori” (lavoratori, colonizzati, minoranze etniche e religiose, donne, ecc.) di dare vita a “movimenti sociali di liberazione”. Sarebbe questo processo di rivendicazione dei diritti culturali, per Touraine, l’origine del nuovo paradigma di rappresentazione della vita collettiva e personale degli individui.
L’analisi del sociologo francese, se è vero che esclude che la soggettività degli individui possa apparire solo come puro esercizio di coscienza, è altrettanto vero però che nulla dice sul come i soggetti possono interagire direttamente per soddisfare le istanze della loro soggettività. La fuoriuscita dalla società imperniata sul ruolo dello Stato può anche attivare l’autosussistenza dei soggetti; tuttavia, è difficile capire come i movimenti di liberazione sociale possano avere successo senza il supporto delle istituzioni. D’altra parte, senza il supporto di queste è del tutto irrealistico ipotizzare che i movimenti di liberazione possano conseguire un sicuro successo unicamente indotto dall’interazione sociale diretta, generalizzata e spontanea tra tutti i soggetti; né è realistico ipotizzare che da questa forma di interazione possa derivare automaticamente il successo dei movimenti di liberazione sociale. Senza il ruolo delle istituzioni, perciò, la soggettività della quale parla Touraine sarebbe destinata ad apparire e a conservarsi solo ed unicamente come puro esercizio di coscienza.

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