Fine vita, bel dibattito, salvo Dirindin e Soru

29 Marzo 2015
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Red 

Ieri dibattito sul “Fine vita: il diritto di decidere”. Liberi fino alla fine all’Hostel Marina a Cagliari, nelle scalette di San Sepolcro. Il confronto è stato organizzato dalle associazioni aderenti al comitato del Mese dei Diritti Umani, una rete di persone e associazioni sensibili al rispetto dei diritti che condividono l’appello sul tema del fine vita contenuto nella lettera inviata da Walter Piludu ai partiti presenti in Parlamento e agli organi di informazione.
Il confronto è stato moderato dal giornalista Matteo Mascia e introdotto dal portavoce del comitato per il Mese dei Diritti Umani Antonello Murgia. 
Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni ,Marco Cappato, è interventuo a distanza, mentre il fondatore della comunità La Collina Don Ettore Cannavera ha messo in luce la non contraddittorietà dell’insegnamento cristiano con una morte dignitosa.
Molto interessante l’intervento del costituzionalista Daniele Piccione, che ha delineato le garanzie contenute anche in questa materia nella nostra Carta, ripreso da Andrea Pubusa, ordinario di diritto ammistrativo a Giurisprudenza, il quale ha ricordato la lunga e dolorosa vicenda di Eluana Englaro, illustrando i principi giuridici in essa enucleati dalla giurisprudenza italiana, con la finalità di mettere in luce i doveri del SSN in questa delicata materia. 
La sentenza della prima sezione del 16 ottobre 2007, n. 21748, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi del Tutore, Sig. Beppino Englaro, e del Curatore Speciale, Avv. Franca Alessio.
Cos’ha detto la Cassazione?
Ha enunciando il seguente principio di diritto:
Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa”.
E poi cos’è successo?
Sulla base di tale principio di diritto, ed in fedele esecuzione dello stesso, nel giudizio di rinvio la Corte d’Appello di Milano, Prima Sezione Civile il 25 giugno 2008 si è nuovamente pronunciata sul caso su istanza del sig. Englaro. Ed ha accolto la ”istanza di autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di quest’ultima, realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico” e, nel contempo, ha dato “disposizioni relative all’attuazione in concreto di tale misura”.
Ma la Regione Lombardia ha rifiutato “la collaborazione per l’attuazione del decreto”.
Un atto sovversivo. poi annullato dal Tar Lombardia con questa motivazione: “l’organo di autorità o di amministrazione, cui spetta di “fare” quanto occorre per l’adempimento della sentenza, non può ricusare l’attività sua, se legalmente pretesa”; “sono coinvolti anche diritti costituzionali… Ed è abnorme e manifestamente lesivo della libertà dell’esercizio della professione intellettuale anche agli effetti dell’art. 33, comma 1 Cost. oltre che del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. - che un organo amministrativo della Regione si arroghi di dire al medico quali siano i suoi “obblighi professionali”, in riferimento a cure e trattamenti su di un singolo paziente.
Il rifiuto assoluto delle strutture sanitarie da essa coordinate e programmate nell’ambito del servizio pubblico, a collaborare all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale esecutivo va valutato come gravemente illecito, anche dal punto di vista dell’art. 388, comma 2 c.p. ovvero di altre norme penali che puniscono l’elusione o la violazione delle decisioni giudiziarie.
Ma può venir fuori il solito obiettore di coscienza sulla base dei propri convincimenti anche di carattere etico o religioso. La Corte costituzionale si è ripetutamente occupata di questo problema (in relazione tra l’altro alla partecipazione del Giudice tutelare alla procedura abortiva della minorenne) ed ha avuto occasione di stabilire che, per chi sia investito di un pubblico servizio o di una pubblica funzione, in mancanza di una legge che autorizzi alcunché di diverso, “i suoi convincimenti interni” debbono cedere rispetto all’esistente doverosità della prestazione sanitaria.
Dunque dal quadro costituzionale e dalla giurisprudenza emerge già l’ammissione in Italia dello “stacco della spina”, ossia si ammette la cessazione dell’accanimento terapeutico, su volontà anche implicita dell’ammalato.
Ci vuole una legge invece per una scelta del fine vita, che è cosa diversa: la persona che, capace d’intendere e volere, chiede al SSN la morte.
Su questo punto doveva riferire la sen. Dirindin, che invece dà aria ai denti e offende l’uditorio, non dicendo nulla. Non si è studiata neppure le proposte giacenti in Parlamento. Dice solo …che la questione è complessa e che bisogna rispettare le idee di tutti. E, al rumoreggiare della sala per la vacuità e la presa in giro, interviene Soru a difenderla, ma anche lui non dice niente sul tema. Conferma la convinzione di tanta parte dell’uditorio che il PD pensa solo a deteriori giochi di potere, a sfasciare la Costituzione e ad attaccare i diritti. Qui invece i diritti si tratta di garantirli e, dunque, il PD è fuori giuoco.
Unico neo, Dirindin e Soru, in una serata in cui tutti i relatori, nel loro campo di competenza, hanno dato un utile contributo conoscitivo ad un’assemblea molto attenta e coinvolta.

1 commento

  • 1 Andrea Murru
    29 Marzo 2015 - 10:32

    Innanzitutto ringrazio gli organizzatori della interessantissima serata.
    Confermo la totale insipienza della Senatrice Dirindin e del segretario regionale del PD, Soru, i quali hanno dimostrato di avere più a cuore la salvaguardia di beceri equilibri governativi piuttosto che la difesa, applicandola, della Costituzione. Su questa, ho notato una forzatura, credo, nel richiamo all’art 23.
    Negli interventi dei due rappresentanti del PD ho notato la presenza di un errore di fondo. Entrambi partivano da un presupposto errato, ossia che vi fosse un conflitto fra interessi contrastanti difficili da dirimere per legge. Personalmente non credo che consentire a chi lo voglia la piena attuazione del diritto di autodeterminarsi possa in qualche modo confliggere con chi, di tale diritto, non voglia avvalersene. Temo invece che i fautori della vita ad ogni costo siano gli stessi autori di quell’ignobile legge sulla procreazione medicalmente assistita che voleva proibire la fecondazione eterologa alle coppie sterili.

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