Gianna Lai
Il Sardo alla ricerca di se stesso, uomosardo-culturasarda, immagine mitica che si aggira paludata in improbabili costumi di questa o di quell’epoca, e che sotto le diverse spoglie combatte sempre la stessa impari battaglia per ‘l’identificazione di un popolo’. Comincia così ‘In principio fu U. Breve storia Universale della Sardegna’, di E.Turno Arthemalle e V. Biolchini, con Elio Turno Arthemalle, Emanuela Lai e Felice Colucci, per il Teatro impossibile, all’ExArt di Cagliari. In uno spazio che riduce al minimo le distanze, ci sentiamo direttamente, noi pubblico, catapultati dentro l’aula a fare da studenti, nel bel mezzo della Disputa Storica, come in un’ accesa competizione, che sfiora in ogni momento il corpo a corpo. Niente è più spassoso della furia che esplode improvvisa tra alunno e maestra, in una classe-istituzione sempre uguale a se stessa, alla sua ridicola quanto impersonale solennità, sempre quella della vecchia Scuola, con l’abitino nero e con i ceci e il registrone e il grembiule azzurro del bidello sfaticato. Non c’è niente di più comico dell’isteria di un insegnamento così aborrito dagli alunni, che solo con le pistolettate si può richiamare all’ordine, come fossimo noi stessi del pubblico(cassa di risonanza)a dover subire la punizione, per aver parteggiato per lo studente. Inesperto e semplicione, l’ uomosardo-culturasarda è destinato alla bocciatura, perchè la maestra non capisce e non è in grado di ascoltare. E continua a porre quesiti che sembrano quelli della Sfinge a Edipo, (demenziali), noncurante della sofferenza del povero studente e di sua madre, in trepida attesa fin dall’inizio dell’anno.
Le storie di Amsicora nei panni di antico combattente, e i romani e le invasioni del Campidano e Eleonora d’Arborea con le trecce, affacciata alla finestra, e poi Grazia Deledda e il prode Elias Portolu, e U il misterioso uomo nuragico che conosce lui, si, i misteri dell’Isola e sa dare finalmente le giuste risposte. Che le pietre restano pietre, da Portotorres a Cagliari e che i nuragici, i nuraghi, chissà, li hanno già trovati belli e fatti.
Una perfetta coppia di maestra ed alunno, strida e urla e contrapposizioni, l’umorismo della scuola dei pazzi non produce nè trasmette cultura, ma spettacolo che fa riflettere. L’ intonazione che cambia a sottolineare i passaggi storici, e le inflessioni della voce diverse, se l’abito che il protagonista indossa è quello del combattente, della nobildonna, della scrittrice, degli intellettuali. E la storia della Sardegna si traduce nella sua parodia folklorico-paesana, il pavimento alla fine disseminato degli oggetti della Cultura, che qualcuno un giorno raccoglierà. Forse gli intellettuali-turisti del Continente, nel trasporto sentimentale del ‘duro carattere e ombroso dei sardi fascinosi come le pietre dei monti eppure così generosi e ospitali’, estimatori di una Sardegna inesistente, inventata dall’anedottica, da un’ideologia ai limiti del leghismo, spacciata per ricostruzione di fatti storici. E a rischio di identificazione per il sardo qualunque, ‘ se ci vedono così quelli del Continente, vuol dire che siamo un pò così’. (A noi spettatori restano le bandierine di carta, con la riproduzione dei quattro mori bendati, come nella tradizione). E quando ormai la bocciatura incombe, senza speranza, per non essersi fatto riempire di tutti i luoghi comuni spacciati per storia, il dolente sardo può finalmente riscattarsi, sapendo interpretare un pensiero comune a tutti i sardi della contemporaneità, gli uomini politici attuali, quando interrompono il discorso, mantenendo a lungo il silenzio, vuol dire che non stanno pensando proprio a niente.
Restano le bandierine di carta a noi spettatori, con i quattro mori, per fortuna bendati, come vuole la tradizione, e il gusto di uno spettacolo sempre vivo a vent’anni di distanza dal debutto, chiaro e provocatorio nella sua ironia, e di nuovo aggiornato sul nostro presente.
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