Gianfranco Sabattini
Tsipras si è confrontato a Berlino con la Merkel. Ecco una riflessione sulla questione di Gianfranco Sabattini.
Alexis Tsipras, dopo la vittoria elettorale di Syriza, si è trovato improvvisamente solo; persino Matteo Renzi, che era sembrato così in sintonia con le richieste greche, ha voltato le spalle al Premier ellenico, spiegando che la decisione della Banca centrale europea riguardo alle pretese della Grecia è stata legittima e opportuna. La richiesta di “Aiuti” nei termini in cui è stata formulata dai leader greci sembra non trovare facile accoglimento; alla Grecia, perciò non resta che valutare la strada più conveniente da percorrere.
Una strada è quella dell’exit dall’eurozona, che le parti più conservatrici dei Paesi creditori si augurano sia prescelta; ciò in quanto la Grecia, rappresentando per loro un “peso morto”, la sua fuoriuscita renderebbe possibile ai rimanenti Paesi dell’eurozona di porre rimedio più celermente ai problemi dei restanti Paesi in crisi. La seconda strada è più ricca di implicazioni politiche che potrebbero fare comodo alla Grecia; ciò perché l’uscita varrebbe a dimostrare che l’unione monetaria è a rischio, nel senso che la sua sopravvivenza, in ultima istanza, dipenderebbe da decisioni che possono essere prese unilateralmente dai singoli Paesi, quando essi lo ritenessero conveniente.
La possibile scelta della seconda strada preoccupa i restanti Paesi dell’UE; l’uscita dall’euro della Grecia costituirebbe un grave precedente, destinato a creare incertezza e instabilità nei mercati finanziari, a danno di tutti.
Se le richieste di Syriza non dovessero essere accolte, ma la Grecia decidesse di “restare” in Europa, i suoi leader attuali potrebbero “attestarsi” su una linea di minor resistenza, chiedendo una rimodulazione del debito in essere e la concessione di nuovi prestiti, ma anche la modificazione dei Trattati e delle Istituzioni Europee. Quest’ultimo punto, per ironia della sorte, potrebbe diventare un valido sprone per rilanciare il processo di cambiamento dell’attuale confederazione tra Stati in una vera federazione politica.
Si tratta di una richiesta condivisa da molti Paesi dell’eurozona, e soprattutto dalla Banca Centrale Europea che, nella persona del suo presidente, Mario Draghi, dopo aver ripetutamente dichiarato che tecnicamente e statutariamente non possono più essere erogati aiuti alla Grecia, ha da ultimo affermato che il problema greco e quello della rigidità della BCE, sono diventati problemi politici; infatti, la loro soluzione, con i minori danni possibili per l’intera UE, deve essere cercata nella capacità dei governi degli Stati membri di andare oltre le regole vigenti, consentendo alla Banca centrale di intervenire a favore degli Stati in difficoltà, conformando le istituzioni dell’Unione agli impegni e alle promesse contenuti nei Trattati vigenti.
E’ difficile dire se una ripresa del processo d’integrazione politica potrà essere favorita dalla “crisi greca”, considerato che, nella situazione d’incertezza attuale, dove sono fatti valere gli egoismi nazionali, il presidente della BCE sta interpretando il ruolo di protagonista di quel processo d’integrazione, fondando la speranza che la pressione della situazione della Grecia, provochi il “rinsavimento” di quegli Stati che dimostrano d’essere legati, dopo aver smarrito, come nel caso della Germania, la loro memoria storica, a un passato che i Trattati istitutivi dell’UE erano stati originariamente accolti per un suo definitivo superamento.
Non può non dispiacere, perciò, che tra gli indifferenti rispetto alla ripresa del processo d’integrazione politica vi sia anche l’attuale Primo ministro italiano. Un tema questo, riguardo al quale l’attuale governo non risulta impegnato a soddisfare un’aspettativa ancora condivisa dalla maggioranza degli italiani; la sua propensione al riformismo è unicamente orientata all’interno del Paese, mentre dovrebbe essere inquadrato nella prospettiva di un più generale riformismo europeo.
Renzi sembra maggiormente preoccupato di consolidare, in modo confuso e a volte spregiudicato, la sua posizione interna, noncurante del fatto che l’Italia, come la Grecia, per curare i propri mali endemici ha bisogno della solidarietà europea; egli invece, nelle sue esternazioni di fronte ai rappresentanti del governo greco, è sembrato unicamente preoccupato di garantire il sicuro ricupero dei circa 37 miliari di crediti che l’Italia vanta nei confronti della Grecia. Si spera solo che così non sia e che il governo attuale dell’Italia, com’è nelle speranze del presidente della BCE, rinsavisca e interiorizzi la necessità di garantire che l’Italia concorra, non solo a rimuovere realmente il pericolo dell’uscita dall’eurozona della Grecia, ma anche a mostrare un suo maggiore impegno sul fronte del riformismo europeo.
Vi è anche da sperare che le istituzioni europee vadano incontro alle aspettative del popolo greco per evitare la possibile fuga della Grecia dall’Europa, non tanto per il “peso” della Grecia sul piano degli interessi materiali nei confronti dell’Europa o del resto del mondo (appena il 2% del PIL europeo e lo 0,2/0,3% di quello mondiale), quanto per ciò che essa rappresenta, non solo per l’Europa, ma per l’intero mondo occidentale, sul piano culturale.
La cultura classica del mondo ellenico costituisce ciò da cui l’Occidente, e soprattutto l’Europa, hanno derivato la loro civiltà, fondata sull’atteggiamento critico nei confronti del loro passato e del loro presente; in quanto critici della loro tradizione e del loro essere presente, l’Occidente e l’Europa possono essere percepiti, come alcuni non disinteressatamente vorrebbero che fosse, culturalmente deboli, a causa del loro presunto relativismo gnoseologico. In realtà, il criticismo occidentale ed europeo è assunto come metodo, ovvero come modalità di approccio alla conoscenza degli stati del mondo: il relativismo metodologico è la fonte della forza e del dinamismo dell’Occidente e dell’Europa, in quanto esclude la possibilità di poter conservare “ab eterno” delle certezze fideisticamente acquisite; esso invece, accetta che la conoscenza dei fatti naturali e sociali, acquisita su basi razionali, sia sempre mutevole a valida pro-tempore, in quanto sempre in divenire.
Se l’Europa politica perdesse la Grecia, perderebbe la “culla” della propria memoria storica; ciò dovrebbe essere sufficiente a giustificare, non solo l’obbligo morale di aiutare senza limiti il Paese all’interno del quale si colloca quella culla, ma anche l’impegno a fare della cultura classica, ereditata in primis dall’Europa, il motivo dell’identità della stessa Unione Europea. Ciò, in alternativa al motivo della cristianità, il quale, per quanto nobile, è portatore, soprattutto nella sua regolazione cattolica, non del relativismo metodologico, ma di quello filosofico, che esporrebbe l’Europa, con il supporto irresponsabile dei molti “atei devoti”, ad un ritorno alla “fissità” e all’immobilismo della tradizione. Anche e soprattutto per questa ragione, che ad alcuni potrà sembrare di natura emotiva, ci si deve augurare che la Grecia rimanga nell’ambito dei Paesi europei, non solo sul piano economico, ma soprattutto su quello politico, per il valore incommensurabile del patrimonio culturale lasciato in eredità dell’Occidente e, soprattutto, dell’Europa. Non si può dimenticare che, grazie a tale lascito, l’Unione Europea è sorta e, volendo, con il pieno ricupero della propria memoria storica, potrà, facendo un “buon uso” del lascito, continuare a prosperare.
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