Cosa vuole questo Bersani?

15 Marzo 2015
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Carlo Dore jr. 

 

“Bersani la faccia finita con la storia dei nominati della riforma – Renzi, lui che ha nominato l’on. Di Gioia”, tuona attraverso la sua pagina Facebook l’ex parlamentare sassarese Guido Melis, in un post ripreso per Cagliari.globalist da Tino Tellini. Bersani, il grande nominatore di ieri, oggi combatte i nominati di Renzi; la metamorfosi di Bersani, da grand commis delle liste bloccate a pasdaràn delle preferenze a ogni costo: cosa vuole, questo Bersani? Taccia, e chieda scusa, in nome della coerenza.

Emendate dai toni ultimativi a cui fanno costantemente ricorso i fautori della “svolta buona”, le riflessioni di Melis e Tellini risultano però inficiate da un duplice difetto di impostazione, da una sorta di doppio bug che li conduce a declinare una costruzione lontana anni-luce dalla realtà dei fatti. Un duplice errore di impostazione, dunque, che riguarda sia le posizioni assunte dal PD di Bersani sul problema del rapporto tra elettori ed eletti, sia l’effettiva portata della critica mossa dal leader della minoranza dem ai progetti di riforma istituzionale al momento all’esame del Parlamento.

In ordine al tema del rapporto tra elettori ed eletti, Melis e Tellini non considerano che proprio l’esigenza di superare il sistema di liste bloccate imposto dal porcellum - e di restituire, seppure in parte, ai cittadini il diritto di concorrere alla selezione dei parlamentari – ha costituito la ragione ispiratrice della scelta di utilizzare le primarie quale criterio principale per la formazione delle liste in occasione delle politiche del 2013 (primarie a cui, per inciso, lo stesso Guido Melis ebbe modo di partecipare, ottenendo oltre duemila voti nel collegio di Sassari), e di riservare al Segretario la determinazione di un numero minimo delle candidature proposte nei vari collegi (si tratta del c.d. “listino”, nel quale risultava inserito l’on. Di Gioia).

Lungi dall’atteggiarsi a “grande nominatore”, Bersani ha pagato in prima persona i limiti che caratterizzano le primarie come strumento di selezione della classe dirigente, rimanendo vittima del perverso gioco di personalismi, ambizioni individuali e veti incrociati alimentatosi in seno ai gruppi parlamentari democratici, fino a deflagrare nel “fuoco amico” della notte dei 101. Non grande nominatore, ma democratico autentico; non grand commis delle liste bloccate, ma prima vittima della debolezza strutturale che induce i partiti di oggi a demandare ad una base elettorale fluttuante e magmatica la selezione della propria classe dirigente.

Venendo poi al secondo difetto di impostazione dianzi richiamato, le contestazioni dell’ex segretario democratico alle riforme imposte dal Governo Renzi non si appuntano esclusivamente sulla presenza dei “capi-lista bloccati”, ma abbracciano l’intero assetto istituzionale che può derivare dall’approvazione del combinato disposto Italicum –ddl Boschi, e che l’ala sinistra del PD non ha, fino ad ora, contrastato con l’adeguata incisività. Vertono, in altre parole, sulla presenza di un’unica Camera composta principalmente da nominati, e sulla corrispondente degradazione del Senato alla marginale condizione di “dopo-lavoro” per sindaci e consiglieri regionali; sull’asserita intangibilità del Patto del Nazareno, accordo inconcepibile tra forze politiche prive di un substrato comune di valori di riferimento; su un’idea di Costituzione intesa come atto di forza opposto dall’attuale maggioranza di governo ai rilievi che provengono dalla minoranza interna; sulla potenziale metamorfosi del segretario del partito di maggioranza in dominus incontrastato delle istituzioni, sulla pericolosa transizione dalla democrazia parlamentare ad una sorta di principato modello 2.0.

Cosa vuole allora, questo Bersani? Perché non china la testa e tace, in nome della coerenza?

Bersani vuole solo riaffermare l’idea di democrazia che ha sempre sostenuto, vuole continuare a battersi per un modello di partito inteso come strumento di partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese e non come cassa di risonanza delle decisioni del Capo. Una posizione in linea con la storia personale di un politico dimostratosi capace di anteporre la coerenza con i propri principi alle legittime ambizioni di leadership; una posizione per la quale Bersani non è in alcun modo tenuto a scusarsi: né davanti a Guido Melis, né davanti al Paese.

(cagliari.globalist.it)

 

 

 

 

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