Vittorio Dettori
Nell’attuale frangente, l’appello ad una maggiore solidarietà nei confronti del popolo greco non può che essere istintivamente accolto da ciascuno di noi, in quanto cittadini europei sensibili e responsabili. Meraviglia perciò non poco il dato che emerge da un recentissimo sondaggio del quotidiano tedesco Bild, secondo il quale in Germania appena il 21% dei cittadini sarebbe favorevole all’approvazione di nuovi crediti alla Grecia, nel tentativo di salvarne l’economia.
Come è possibile tanta insensibilità? Senza necessariamente chiamare in causa la mancanza di memoria storica sulle radici culturali dell’Europa, che molto deve all’antica Grecia (non possiamo pretendere che tutti i tedeschi siano sufficientemente istruiti per valutare adeguatamente quest’aspetto), fermiamoci pure alla memoria dei fatti più recenti – diciamo, degli ultimi cento anni – il cui ricordo, anche solo oralmente tramandato, costituisce un patrimonio generalizzato per tutti i ceti sociali. Giusto un secolo fa iniziava la prima guerra mondiale, conclusasi tre anni dopo con la sconfitta della Germania, che era una delle parti in campo. Alla Conferenza per la Pace, tenutasi successivamente a Parigi, prevalse la linea dell’imposizione di pesanti sanzioni alla Germania, in termini di riparazione dei danni provocati dal conflitto.
In dissenso con quest’orientamento, John Maynard Keynes, che faceva parte della delegazione britannica, abbandonò i lavori della Conferenza e, rientrato in patria, pubblicò un saggio su “Le conseguenze economiche della pace”, nel quale spiegava le ragioni del suo disaccordo. Egli riteneva che la Germania, nel tentativo di pagare il debito imposto, avrebbe inevitabilmente distrutto la propria economia, con ripercussioni negative su quella dell’intera Europa.
Mai profezia risultò più veritiera. I tedeschi, non potendo che accettare “ob torto collo” le conclusioni della Conferenza, tradottesi nel Trattato di Versailles, si diedero subito da fare per eseguire il loro “compito a casa”: essi si trovavano allora nelle condizioni della Grecia di oggi, a ruoli esattamente invertiti rispetto a quelli attuali, che invece vedono la Germania come potenza egemone.
I tributi di guerra potevano essere pagati solo con le esportazioni; ciò richiedeva un aumento della produzione, che in qualche modo andava finanziato. La proverbiale affidabilità riposta nell’efficientismo tedesco favorì l’afflusso di capitali dall’estero; ma ciò non bastò. Allora la Germania, pur nell’ambito di un sistema monetario internazionale fondato sull’oro, preso atto della sospensione della convertibilità delle monete, opportunamente dichiarata con l’avvio del conflitto (inizialmente si pensava fosse solo temporanea, per scoprire poi che sarebbe stata definitiva), cominciò ad emettere titoli di credito espressi in marchi, da collocare all’estero. La fiducia nella ripresa dell’economia tedesca facilitò all’inizio l’assorbimento di questi titoli; ma successivamente le condizioni del loro collocamento sul mercato divennero progressivamente sempre più onerose.
Le ripercussioni sul cambio del marco (prezzi internazionali) e, naturalmente, sui prezzi interni non potevano non richiedere cospicue emissioni di biglietti di banca. L’effetto finale di questo comportamento fu un’inflazione senza precedenti nella storia del mondo industrializzato: giusto per dare un’idea, al culmine di questo processo, alla fine del 1923, il prezzo di un chilo di pane giunse a sfiorare i 400 miliardi di marchi!
Come Keynes aveva previsto l’economia tedesca andò in “default” e dovette essere rifondata; ma a farne le spese furono anche tutti coloro che, fiduciosi, avevano fatto credito alla Germania, sottoscrivendone i titoli: senza che nessuno l’avesse deliberatamente preordinata, si era realizzata una truffa colossale. L’effetto connesso consistette nella definitiva distruzione dell’ordine monetario internazionale vigente fino allo scoppio della guerra e, dopo oltre due decenni di confusione, solo al termine del secondo conflitto mondiale, con gli Accordi di Bretton Woods, si tenterà faticosamente di trovarne uno nuovo.
Di questi fatti i tedeschi conservano viva la memoria delle sofferenze patite, a seguito di quella spaventosa inflazione; se ne trova traccia, a livello di accordi comunitari, nell’ossessione con cui si impone alla BCE la regola prioritaria del controllo sulla stabilità dei prezzi. Meno presente, per non dire rimosso, pare il ricordo degli altri aspetti della vicenda, ovvero dei comportamenti, propri od altrui, che la determinarono o che avevano cercato di evitarla. E’ stata completamente dimenticata, ad esempio, la lezione di Keynes, che nient’altro significa, se non che i “compiti a casa” devono essere assegnati tenendo conto delle effettive capacità di svolgimento: ciò che è stato imposto alla Grecia (ma non solo) esorbita dalle effettive possibilità di adempimento, a meno che non si pensi ad una soluzione “alla tedesca”, come quella che si realizzò circa novant’anni fa e che si concluse con la svalutazione del marco.
Con riferimento a quest’ultima, poi, quando la Germania procedette ad una sfrenata emissione di cartamoneta, in due soli modi può essere interpretato tale comportamento: o si considerava ancora vigente il regime aureo, e quindi tali emissioni vanno collocate fuori dalle regole, non essendo disponibile la necessaria copertura in oro; oppure, si riteneva di operare in regime di corso forzoso, come di fatto accadeva, con emissioni imposte dallo stato di necessità, ed allora non si capisce perché oggi si combatte accanitamente contro l’ipotesi di interventi ben più contenuti di Qe (quantitative easing) da parte della BCE, solo perché finalizzati ad aiutare la Grecia od altri Paesi in crisi.
Stando così le cose, poiché è impensabile, considerati anche i risultati del sondaggio citato in premessa, un repentino mutamento delle attuali posizioni tedesche nei confronti della Grecia (e non solo), non rimane che auspicare un ripensamento da parte di quei Paesi membri della UE che alla Germania tengono bordone, favorendone l’accoglimento delle istanze ai vari livelli decisionali. Se così non sarà, il “default” della Grecia pare inevitabile, così come lo fu quello della Germania nel 1923. Sarebbe interessante, in tal caso, verificare che fine farebbe l’atteggiamento oggi propugnato, improntato al massimo rigore, visto che le banche tedesche risultano ampiamente esposte, detenendo nel loro portafoglio ingenti quantità di titoli rappresentativi del debito greco.
1 commento
1 Lucia Pagella
15 Marzo 2015 - 19:54
Vi sono altri aspetti che la Germania sembra aver dimenticato. Si chiamano debiti di guerra. Debiti contratti a seguito della prima e della seconda guerra mondiale e mai assolti. Per i debiti causati dalla prima guerra mondiale rimando al bell’articolo che precede mentre per quelli relativi alla seconda guerra mondiale va ricordato agli immemori figli di Sigfrido che nel 1953 essi vennero abbuonati perché la situazione geopolitica consigliò alle potenze vincitirci di rinunciarvi. Ma va anche ricordato che nei primi anni duemila la locomotiva tedesca segnò il passo e venne aiutata dalle altre nazioni europee. Joska Fischer dinanzi al tetragono atteggiamento della Merkel e dei suoi sodali ebbe giustamente a dire che, da tedesco, sperava vivamente che la Germania rivedesse le sue posizioni perché trovava insopportabile assistere per la terza volta ad una distruzione dell’Europa.
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