Gianfranco Sabattini
Sull’intervento di Francesco Cocco di ieri, ecco le considerazioni di Gianfranco Sabattini.
Austerità e rivivicazione del capitalismo. Ho letto con interesse il bell’articolo di Francesco Cocco. Alcune osservazioni sull’articolo, tuttavia, sento di doverle svolgerle, sia pure nel rispetto della sensibilità con cui ciascuno di noi esplicita il proprio pensiero. Tuttavia, prima di evidenziare le mie osservazioni, voglio sottolineare il mio totale accordo su quanto Francesco dice sugli esiti negativi di un sistema sociale fondato sul consumismo e sull’impatto negativo di questo su concetti, quale ad esempio quello di austerità, che, in altri contesti linguistici, altri da quelli correnti sul consumismo, assumono valenze e significati ben diversi.
Riguardo alle osservazioni, sottolineo che, pur intendendo il significato che Francesco assegna al termine “lotta” nella soluzione dei problemi sociali (conosco Francesco come persona dotata di una tale sensibilità da escludere la possibilità che egli, a titolo individuale o in quanto parte di un collettivo, possa pensare di far del male fisico anche ad una mosca), io assumo che nella soluzione di quei problemi sia preferibe sostituire la “lotta” con l’accordo, la contrattazione, o con qualsiasi altra procedura negoziale equipollente, fermo restando l’inevitabilità delle procedure spesso violenti con cui il mondo premoderno ha fatto irruzione nell’età contemporanea.
Il discorso di Francesco non perderebbe alcun tratto della sua originalità se la lotta fosse sostituita da procedure denotanti comportamenti che la democrazia (operativamente intesa come metodo sperimentale esteso alle scienze sociali con cui affievolire ogni motivo di “lotta” che, nella fase premoderna, non ammetteva spesso altra alternativa nella soluzione dei problemi sociali) rende possibili e preferibili per rimuovere pacificamente qualsiasi “difetto” emergente dal libero svolgersi dei processi sociali.
All’interno di un siffatto approccio alla soluzione dei problemi sociali, si può anche convenire che anche le ideologie (non i valori) tradizionalmente intese abbiano fatto il loro tempo e che in luogo degli slogans, utili a mobilitare all’azione per la rimozione di ingiustizie o di squilibri sociali, valga maggiormente la scelta razionale di obiettivi condivisi e, perciò, assunti di tempo in tempo come valori.
Se l’accordo fosse sostituito alla lotta non sarebbe male se, a sinistra, Keynes fosse sostituito a Marx; ciò non implicherebbe la reiezione del pensiero marxiano, ma solo l’accettazione di un approccio al governo della dinamica sociale più moderno ed efficace, considerando che entrambi i grandi pensatori (Marx e Keynes) hanno teso ad indicare, attraverso l’impiego di strumenti assai diversi, un’organizzazione del sistema sociale differente da quello che rende possibile l’attuale modo di funzionare del capitalismo; se Marx ha scritto con Hengels il “Manifesto del Partito Comunista”, Keynes, in un’epoca a noi più vicina, ha scritto “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, in cui preconizza una società che, liberata dal bisogno grazie alla forza del modo di produzione capitalista, può assumere i connotati del società comunista preconizzata da Marx.
Questo parallelo tra Marx e Keynes, tenute ferme le necessarie differenze tra il pensiero dell’uno e quello dell’altro, rende possibile assumere una posizione meno preoccupata, per non dire meno “criminalizzante”, nei confronti del capitalismo, inevitabile se si considera il capitalismo come “categoria storica”; come avrò modo di sostenere in altra occasione, se il capitalismo è assunto come “categoria logica”, esso non può che essere percepito come prodotto della razionalità moderna (su questo punto anche Marx è d’accordo), il cui impiego, se socialmente orientato, può consentire all’intera umanità di costruire e di plasmare il proprio futuro.
I padri fondatori del capitalismo, inteso come teoria economica, hanno messo a punto strumenti intellettuali utili a risolvere ciò che lo stesso Keynes in “Esortazoni e profezie” chiama il “problema politico dell’umanità”, attraverso la combinazione dell’efficienza economica, della giustizia sociale e della libertà individuale. Per rendere reale la soluzione di questo problema occorre rimuovere la presunta, non disinteressata, neutralità delle istituzioni economiche del capitalismo, per essere ricondotte nelle mani dell’uomo, per la libera e consapevole progettazione e realizzazione del proprio destino.
Semmai, ciò di cui la sinistra dovrebbe preoccuparsi è di correggere l’istituzione keynesiana sinora realizzata, il welfare, che, come tutti possono ora avvertire, ha consentito, sì!, di addomesticare il capitalismo selvaggio, ma in modo solo caritatevole; oggi si è in grado, nel risolvere il problema politico dell’umanità indicato da Keynes, di andare oltre la “carità pubblica”, praticata con le misure assistenziali previste dalla logica welfarista keynesiana e garantire la libertà dal bisogno in termini pre-politici con l’introduzione del reddito di cittadinanza (da finanziarsi, ad esempio, con un’auspicata austerità con cui ridimensionare il consumismo).
“Rivoluzione organizzativa”, questa, che consentirebbe, tra l’altro, il superamento della zoppia dell’attuale democrazia, attraverso l’istituzionalizzazione del principio di cittadinanza o di solidarietà, conformemente allo spirito delle Grandi Rivoluzioni (quella Francese del 1789 e quella Bolscevica del 1917), sussunto in “Prospettive economiche per i nostri nipoti” di Keynes.
1 commento
1 Francesco Cocco
5 Marzo 2015 - 13:26
Finalmente uno che non mi lancia improperi perché mi sforzo di restituire un significato alternativo alla parola “austerità” rispetto al linguaggio corrente. Franco e un caro amico e l’affetto gli suggerisce un atteggiamento benevolo verso la mia riflessione. Tra l’altro Franco non è solo un valente economista è anche un fine umanista e come Keynes sa guardare oltre le categorie economiche e sa cogliere quel che di vivo si muove nella società . Per queste ragioni anch’io sono un grande estimatore di Keynes. Del resto basta leggere le sue considerazioni sulle conseguenze economiche della prima guerra mondiale per avvertire che siamo in presenza di un genio che sa leggere la società a 360 gradi. Ma io, caro Franco, pur ammirando Keynes sto con Marx (senza idolatrarlo, io non idolatro nessuno) Questo per una ragione molto semplice: non mi bastano solo gli equilibri economici io voglio un’ altra società. E per realizzare una società alternativa non bastano gli “accordi” occorre la lotta. Aggiungo la “lotta di classe”. Che certo, caro Franco, non scandalizza te ma i tanti benpensanti che hanno elevato a loro maestri i Berlusconi, i Renzi, i Veltroni , e via dicendo. Tu sai meglio di me che lotta di classe è da riferire alla titolarità dei messi di produzione, alle categorie della produzione materiale. Lasciamo alle anime belle, l’incapacità di cogliere il nesso ed il contesto storico delle categorie economiche e del loro linguaggio. Purtroppo la lotta (quella di classe in particolare) non è finita e certo non lo sarà prima che, come spesso nei nostri dialoghi ho detto, l’ umanità non sarà passata “dalla preistoria alla storia” e per questo io lotto anche se ormai le energie sono ben poche.
Lascia un commento