Morte delle ideologie? Non di quella capitalistica

4 Marzo 2015
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Francesco Cocco

La fine del xx secolo sembra  coincidere  con la morte delle ideologie. Qualcuno  ( Francis Fukuyama) avrebbe voluto farla coincidere con la “fine della storia”, cioè della dialettica sociale  con i suoi conflitti politici e le sue guerre.   Uno sguardo  a quel che accade in Ucraina, in Libia, in Nigeria, nelle regioni del Caucaso, in Iraq, in Siria dimostra quanto fossero infondate certe previsioni  di un Pianeta pacificato da una dominante pace  universale  di pura marca capitalistica.
E’ pur vero che quantomeno in Occidente certo pensiero unico  è andato assumendo, nell’ultimo quarto di secolo, un’ egemonia assoluta. Posto che neppure la Cina, nonostante il suo regime continui a proclamarsi “comunista”, può considerarsi un‘ eccezione,  visto che sostanzialmente la sua struttura è quella di un rigido capitalismo di stato.
Da una tale  egemonia deriva la quasi totale scomparsa dell’ ideologia marxiana, anche perchè nella dominante pubblicistica essa viene frettolosamente  equiparata  ad una utopia  fallita nel tentativo di farsi concreta struttura economica e sociale. Fallimento che finisce per essere individuato nella realizzazione di astratti modelli sociali  più che nella sua natura di soluzione delle  contraddizioni storiche. Margini di quella ideologia continuano a vivere in ristretti raggruppamenti politici, ma ha cessato di essere pensiero diffuso. Anche se poi  la fortuna di tanta elaborazione teorica che si richiama a quella ideologia ci parla di potenzialità inespresse.
L’ideologia che per oltre un secolo e mezzo ha accompagnato il movimento dei lavoratori nelle sue lotte e nelle tante conquiste era visione organica della realtà,  analisi ancorata a specifiche metodologie, nel contempo capacità di guardare al futuro liberandosi dai ristretti orizzonti dell’ interesse immediato. Era quindi anche utopia nella migliore accezione.
Certo l’origine delle lotte nasceva quasi sempre da esigenze immediate, da bisogni elementari insoddisfatti. Di qui proteste abortite e jacqueries  concluse in inutili stragi. Solo quando la lotta riuscì ad elevarsi dal bisogno immediato, nacque la strategia politica. E’ così che il movimento  si fece  partito, alzò la testa e progettò il futuro. Questo perché è la  capacità di guardare al futuro che fa nascere la necessità dell’ organizzazione. Con l’ organizzazione nasce la forza politica che non può vivere a lungo senza la idealità.  Ed è questo un insegnamento da tener ben presente se nel nuovo secolo non vogliamo rivivere le sconfitte che caratterizzarono l’inizio del Novecento .
Da un quarto di secolo il movimento dei lavoratori sembra aver perduto il metodo e la capacità di muoversi in un’ ampia prospettiva.  Ha finito per accettare gli orizzonti impostigli dal sistema , che coincidono con l’ideologia  del consumismo capitalistico.
Le parole d’ordine che muovono le piazze sono sostanzialmente  all’ interno dei (dis)valori ai quali sembra costringerci il sistema. Persino il linguaggio è andato profondamente trasformandosi. Parole come “austerità”, cariche negli anni Settanta del Novecento  di un’alta valenza democratica hanno finito  per acquisire un significato negativo.
Enrico Berlinguer negli anni ‘70  aveva fatto dell’austerità un punto cardine di lotta. Non semplice slogan di stampo moralistico ma punta avanzata di una direzione di marcia da percorrere per uscire dalle strettoie del capitalismo nostrano. Provate oggi ad innalzare un cartello con la parola “austerità” in una manifestazione politica. Ne andrebbe della vostra incolumità se non fisica, quantomeno  psicologica per gli improperi che ve ne deriverebbero.
Questo perché ormai  sfugge che  nuovi livelli occupativi e più avanzati  equilibri economici  implicano  “consumo sociale”. Non si comprende che austerità significa spostare l’asse dal consumismo effimero, imposto dai modelli  dominanti.  Ne deriva che lo stesso  modo di esprimersi è stato profondamente influenzato dall’ ideologia del capitalismo  trionfante.
Il movimento dei lavoratori tende a perdere la sua autonomia anche nel linguaggio.  Persino il movimento sindacale, ad esclusione di alcuni settori, ha finito per accettare l’egemonia del sistema capitalistico. Il che significa smarrire gli orizzonti di lungo periodo,  sviluppare la lotta su obiettivi limitati nel tempo. Nelle migliore delle ipotesi anche “a snistra” Keynes (per citare  un teorico tra i più illuminati) sembra soppiantare Marx.  Alla ideologia della lotta al sistema si preferisce  la lotta dentro il sistema che  finisce per salvaguardare il sistema stesso.
Brevi considerazioni  che ci portano a concludere che  non sono morte tutte le ideologie. Che una, quella capitalistica, domina ed assorbe. Che quella espressa dal movimento dei lavoratori  se non del tutto fagocitata è,  nelle migliore delle ipotesi,  in letargo.  Del resto cos’è il berlusco-renzismo  se non il dominio nel quotidiano  imposto dai modelli mass-mediatici del pensiero unico?
Eppure oggi,  più che un secolo fa,  l’ ideologia del “movimento operaio” ( uso la locuzione in un ben definito quadro  storico)  elaborata ed inveratasi nella lotta  ha  delle grandi potenzialità. In ultima istanza essa s’ identifica non solo con i diritti conquistati in tante aspre lotte ma persino con la salvaguardia  della sopravvivenza non semplicemente di un sistema di vita ma della stessa vita nel nostro Pianeta.

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