Le due austerità: Berlinguer vs. Merkel (Renzi-tzerakkeddu*)

3 Marzo 2015
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A.P. 

 

 L’altra sera, all’Assemblea di solidarietà per la Grecia, Francesco Cocco ha tessuto l’elogio dell’austerità, di quella berlingueriana, ovviamente, che certo è altra cosa, meglio l’esatto opposto, rispetto a quella di marca tedesca, fatta propria dai governi della Comunità europea, come quello nostrano, subalterno alla cancelliera coi gambali e il frustino. Vale dunque la pena tornare sulla questione anche per evitare pericolosi cortocircuiti.

L’austerità di Enrico Berlinguer è stata, e resta oggi, un elemento centrale di un progetto politico. Austerità occasione per trasformare l’Italia”, così venne intitolato l’intervento di Berlinguer in un convegno del Partito comunista al teatro Eliseo nel 1977. Da chi poteva essere criticato se non dalle destre e in modo particolarmente duro dai socialisti rampanti dell’epoca? Vi leggevano il segno di un’ispirazione moralistica retrò e fuori tempo. Invece si trattava di un grande progetto politico. L’idea di fondo – come ha notato Giuliano Garavini in una interessante riflessione sul tema - era che nella prima metà degli anni Settanta tre cambiamenti epocali avevano sconvolto la società italiana ed europea: in primo luogo le travolgenti conquiste del movimento operaio nel secondo biennio rosso del ’68-’69; poi la fine del sistema di Bretton Woods con il ridimensionamento della centralità del dollaro; e infine l’uscita dei Paesi del Terzo Mondo dallo stato di minorità, così come reso evidente dalla shock  petrolifero del ’73. Queste tre sfide necessitavano di risposte all’altezza. Occorreva muovere verso un nuovo modello di sviluppo basato su una riduzione della crescita dei consumi e della produzione in modo da lasciar spazio ai popoli emergenti e concentrarsi verso gli investimenti nella cultura, nei servizi alla persona, nella mobilità pubblica. Il processo avrebbe potuto comportare qualche sacrificio salariale per la classe operaia, ma in cambio di una rivoluzione produttiva che non avrebbe intaccato ma semmai accresciuto i diritti dei lavoratori e di una trasformazione produttiva dell’economia che avrebbe posto l’accento sulla qualità piuttosto sulla quantità. Tutto ciò si legava a discorsi che in parallelo facevano i più innovativi fra i leader socialdemocratici dell’epoca – da Palme a Brandt a Kreisky – nonché intellettuali in tutto il mondo, da Ivan Illich allo stesso Pasolini della critica al neofascismo dei consumi.

A ben vedere, si trattava anche di una critica alla tradizionale impostazione della  sinistra riformista, più interessata alla redistribuzione della ricchezza della crescita che alla qualità di questa crescita e alla partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione di produzione e servizi.

Cos’è invece l’austerità della Merkel e dei suoi epigoni nazionali alla Renzi, su tzerakkeddu de domu nosta? La presa d’atto delle classi dirigenti finanziarie e produttive europee che il modello di crescita occidentale, ed europeo in particolare, non è più in grado di sostenere in tutto il Continente la spesa statale in stipendi e servizi pubblici. I Paesi europei “periferici”, dunque, tirino la cinghia in termini salariali, occupazionali, nonché in termini di riduzione della spesa pubblica e dei servizi fino al punto di invogliare nuovamente i capitalisti ad investire. I greci (ma anche gli spagnoli e noi italiani), facciano la fame per favorire la ripresa. Solo questo potrebbe indurre i capitalisti a scendere numerosi nell’Europa periferica, grazie ad un abbassamento delle tutele dei lavoratori, del peso della tassazione e a nuove opportunità innescate con la privatizzazione di beni comuni, di servizi, e concessioni in precedenza forniti dalla Stato. Ai Greci vogliono portar via anche il Pireo e il porto di Salonicco, anche le mutande, insomma! Da noi la svendita è già iniziata coi gioielli di Stato, l’energia, l’acqua e ora anche con la torri televisive. La politica dell’austerità tedesca, dettata da una miscela ideologica proposta in primo luogo dalla Banca centrale europea e dalla Germania, è il punto d’arrivo, l’esasperazione del trentennio neoliberista.

L’austerità belingueriana era un progetto innovativo e scomodo. L’austerità tedesca è invece semplicemente la prosecuzione, in forma più spietata, di un processo di forsennata competizione tra individui, della deindustrializzazione di parti del Continente e dell’assalto della finanza alla ricerca di profitti a breve termine ai danni dei servizi pubblici. Lacrime e sangue, per i popoli, dunque. Ma da questi non nasce crescita, ma ulteriore miseria, quasi una nuova schiavitù di interi popoli in favore del capitale finanziario. L’austerità di Berlinguer, all’opposto, era finalizzata ad un vivere sobrio e felice in una società solidale, egualitaria e socialista. Un obiettivo quantomai attuale, un progetto per cui, oggi più di ieri, vale battersi.

* tzerakkeddu in sardo: trad. in it. servetto  - diminutivo di tzerakku, servo.

 

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