Sabino Cassese: insigne giurista…tranquillo renziano

19 Febbraio 2015
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Gonario Francesco Sedda

Esiste una deriva autoritaria in Italia? Se lo è chiesto anche Sabino Cassese [Il timore (inesistente) del tiranno, Corriere della sera, 12 febbraio 2015], ma con uno sguardo corto, rivolto al confuso polverone delle polemiche sulla rottura (?) del “patto costituente” tra la vecchia volpe M. Renzi e il giovane pregiudicato Silvietto Berlusconi. E già questo sorprende, trattandosi di un «grande professore, giurista amministrativista, allievo di Massimo Severo Giannini, conoscitore dell’amministrazione dello stato, ministro tecnico con Ciampi, accademico di caratura internazionale, emerito della Normale di Pisa», da poco cessato dalla carica di giudice costituzionale.
[L’insigne giurista che sorprende per equilibrio e radicalità, Il foglio, 13 Novembre 2014].
1. Fin dal primo attacco S. Cassese sembra liberarsi con estrema facilità di due argomenti di chi teme per le sorti della “democrazia” in Italia: un presidente del Consiglio in carica che non è parlamentare e un Parlamento che è stato eletto con una legge successivamente dichiarata (parzialmente) illegittima costituzionalmente. «Infatti, la Costituzione non richiede che i ministri e il loro presidente siano parlamentari e Renzi non è il primo presidente che non sia stato eletto nelle file dei deputati o dei senatori. Poi, la Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità di alcune norme della legge Calderoli, ha precisato che la sentenza “non tocca in alcun modo il Parlamento in carica”, perché non ha “nessuna incidenza” su di esso». Stando alla forma e restando in superficie sembra tutto inconfutabile.
Ma la nostra è ancora una Costituzione di una repubblica parlamentare: è il governo che deve muoversi entro l’ampio perimetro del Parlamento e non questo che deve essere ingabbiato dentro il ristretto perimetro del governo. Fino a M. Renzi i presidenti del Consiglio “non parlamentari” hanno rispettato le prerogative del parlamento invece di comprimerle, si sono fatti interni all’istituzione rispettando l’ispirazione della Costituzione vigente. Non si tratta dunque della sola questione formale dell’essere o non essere un parlamentare.
Per quel che riguarda la Corte costituzionale dovrebbe essere chiaro che non era chiamata a decidere dello scioglimento del Parlamento, ma della costituzionalità o meno di alcune parti della legge porcellona. La sentenza ha chiarito cosa non era accettabile “stanti così le cose”, cioè anche con un Parlamento già eletto. Ma non si può assolutamente sostenere che, non avendo la sentenza  della Corte nessuna incidenza sul Parlamento in carica, dopo di essa non restava nient’altro da fare che tenerselo. La Corte costituzionale non ha imposto e neppure chiesto lo scioglimento delle Camere, ma non ha imposto e neppure chiesto di tenerci il “Parlamento in carica”. Dopo quella sentenza la decisione sulle sorti del “Parlamento azzoppato” spettava al mondo politico. E al presidente della repubblica G. Napolitano. Ma sappiamo come è andata.
Come può negare Sabino Cassese, dopo il pronunciamento della Corte sulla legge porcellona, la delegittimazione “politica” dell’attuale Parlamento e dell’ultimo Governo in particolare, anche solo per il proseguimento di una “normale” navigazione? E ancor più come può concedere a l’uno e all’altro l’onore di mettere mano alla Carta costituzionale? In nome di quale idea di “alta” politica può concedere ciò? E perché la sua lotta contro un presunto “conservatorismo” riguardo alla possibilità di cambiare/rafforzare la Carta costituzionale ha bisogno di poggiarsi sulla “eredità suina” (discendente dalla legge porcellona) di un “Parlamento azzoppato”?
Ma c’è altro da aggiungere. Non è una novità dell’altro ieri il riformismo retrogrado che punta a spostare le prerogative del Parlamento verso il potere esecutivo, ad aumentare il peso di quest’ultimo nei confronti degli altri poteri costituzionali minacciando la loro autonomia, a diminuire la rappresentatività del Parlamento con leggi truffaldine che si ispirano al fondamentalismo maggioritarista. La “deriva autoritaria”, o meglio, il processo di trasformazione verso una “democrazia” oligarchica è in atto da alcuni decenni e non ha aspettato “un presidente del Consiglio non parlamentare” per prendere il via. Dopo gli anni di incubazione sotto il craxismo, dopo la prima battaglia vinta col referendum contro il sistema di voto proporzionale, il processo è stato avviato invocando e vantando proprio una larga investitura elettorale (i dieci/dodici milioni di voti di S. Berlusconi).
2. Sabino Cassese si chiede se vi sia «qualcosa di più profondo che possa far temere una svolta autoritaria ed evocare il “timore del tiranno”». Ma il pericolo di un tiranno, di un dittatore, di un moderno Mussolini non sembra trovare posto nella previsione di breve/medio periodo. Ciò non esclude che vi possa essere e che vi sia una svolta autoritaria. Se Sabino Cassese dà credito alla evocazione del tiranno è solo per avere un’espediente retorico che gli permetta di rigettare con più facilità le argomentazioni altrui come viziate da eccesso. Per quel che riguarda le “sue” argomentazioni, sembra che solo il tiranno possa essere autoritario e dunque basti dimostrare che il tiranno non esiste per dimostrare assieme che non esiste neppure l’autoritarismo, il dispotismo, l’accentramento dei poteri, la limitazione della libertà, la compressione della democrazia …
Dunque chi non è un tiranno, un dittatore, un Mussolini sarebbe un democratico senza aggettivi. E così, per Sabino Cassese non c’è nessuno che «insidia la democrazia, prepara, politicamente e culturalmente, un governo autoritario»; «c’è, al contrario, un diffuso patriottismo costituzionale, una dichiarata e ampia lealtà alla Costituzione» e «ci sono i contropoteri, gli anticorpi, che potrebbero far fronte a tentazioni autoritarie». Non c’è nessuno che complotti per conquistare il potere, non si vede chi coltivi un tale disegno politico né alcun apparato ideologico e propagandistico che lo sostenga. «Non vi sono centrali, azioni, cospirazioni, che segnalino la presenza» del pericolo dell’instaurazione di un potere autoritario (dittatoriale, totalitario). Insomma, per S. Cassese non è in atto nessuna nuova “marcia su Roma” e i critici del riformismo retrogrado di M. Renzi (tutti associati senza distinzioni) non se ne sarebbero accorti!!
È vero: Sabino Cassese … «non è Stefano Rodotà né Gustavo Zagrebelsky» [Il foglio, citato]. Ma fino a che punto è «uomo mite e borghese senza esperienze di parte o di partito» [Il foglio, citato]? Sarà pure uomo borghese, forse mite, ma dubito che non sia di parte nonostante senza esperienze di partito: un’illustre giurista … un tranquillo renziano …

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