Andrea Raggio
Le dimissioni del Presidente della Regione richiamano l’attenzione sui punti di maggiore debolezza della politica regionale. Il primo è il presidenzialismo, arma micidiale che Soru utilizza ancora una volta con grande spregiudicatezza. Se ritirerà le dimissioni, vorrà dire che ha piegato i suoi critici, se le confermerà avrà messo al tappeto l’intera coalizione. In ogni caso andrà rafforzato alle prossime elezioni regionali, anticipate o meno. Il secondo punto di debolezza riguarda la classe politica. Il centrodestra critica Soru ma non mette in discussione il presidenzialismo perché gli tornerà comodo se vincerà le elezioni. Il centrosinistra è diviso su Soru ma unito nel tacere la pericolosità dell’arma che gli ha messo e rimesso, con la statutaria, nelle mani. La segreteria nazionale del PD ancora una volta interviene maldestramente sulla situazione sarda, solidarizza con Soru, cioè con una parte del partito contro l’altra, approfondendo la spaccatura e concorrendo ad alimentare la rassegnazione – con Soru o col centrodestra - che è l’altra carta su cui punta il governatore.
Con Soru o col centrodestra? E’ un dilemma grondante subalternità, che il centrosinistra, se vuole essere capito e rispettato, deve rifiutare con fermezza. L’alternativa vera e possibile è una sola: rimettere la politica regionale sulla strada della democrazia e dell’Autonomia, rimuovendo l’ostacolo del presidenzialismo e avviando un vero rinnovamento della classe dirigente. Il centrosinistra deve avere l’onestà e il coraggio di avviare questa svolta, mettendo in campo proposte concrete e sostenendole con l’iniziativa politica. Deve avere fiducia in se stesso e negli elettori, convincersi e convincere che il centrodestra si può battere solo scrivendo un nuovo capitolo dell’Autonomia.
Sul superamento del presidenzialismo molto è stato detto. Bisogna insistere perché è sempre forte la tendenza, a destra come a sinistra, a privilegiare il momento della decisione su quello della ricerca del consenso, forzando le regole, aggirandole, violandole. Quel che conta, si dice, sono le finalità che s’intende perseguire con i comportamenti decisionisti. Non è così. Quando si mortificano le regole, la ferita inferta alla democrazia è sempre grave, anche quando l’obiettivo sembra giusto. E la decisione presa senza consenso è sempre fragile, ed è così che si fa strada l’idea che la democrazia sia una cosa opzionale, di cui si può anche fare a meno.
Poco si è detto e si dice sulla classe dirigente, salvo parlarne male. Occorre, invece, evitare i pregiudizi: tutto bene la società civile, tutto male la classe politica. Le cose non stanno così. Nel secondo novecento la classe politica era adeguata ai tempi perché società civile e mondo della politica interagivano grazie ai partiti che facevano da cerniera. La selezione del personale politico era decisa dagli elettori con la mediazione dei partiti. Questi erano radicati nella società, avevano un’ampia base di aderenti ed erano palestre di democrazia e di cultura politica. Analoga funzione democratica svolgevano le grandi organizzazioni sociali. Ecco perché la formazione della classe dirigente avveniva sotto il segno del rinnovamento.
In seguito, l’interazione è venuta meno perché con tangentopoli il sistema dei partiti di massa è stato spazzato via e i nuovi partiti hanno rapidamente assunto le caratteristiche di realtà tanto deboli quanto oligarchiche. Inoltre il presidenzialismo, quello a livello delle regioni e delle autonomie locali e quello perseguito a livello nazionale da Berlusconi, ha scoraggiato quella scuola di cultura politica che è la partecipazione e dequalificato il personale politico. Tra società civile e classe dirigente è andato così scavandosi un fossato che ha nociuto a entrambe. Il mondo politico attinge oggi il proprio personale dalla società civile occasionalmente, spesso privilegiando la verginità politica (il cosiddetto nuovismo). I partiti non fanno formazione e mediazione ma bottega. Personaggi senza storia politica balzano direttamente sui ponti di comando, inventando partiti personali o scalando partiti esistenti. L’esercizio del diritto alla politica è limitato sia dalle liste bloccate sia dall’alto costo delle campagne elettorali. Il presidenzialismo favorisce la formazione di corti di fedelissimi e educa alla fiducia mistica.
Guardiamo all’esperienza della Sardegna. La classe politica regionale degli anni 50’, formata nell’antifascismo e nell’opera di ricostruzione dei partiti democratici e delle organizzazioni sociali nei primi anni del dopoguerra, ha il grande merito di aver posto le fondamenta dell’Autonomia. Nei decenni successivi è venuta emergendo una nuova leva di giovani che hanno cominciato a fare esperienza nelle organizzazioni politiche e sociali periferiche e nelle amministrazioni locali, in quello straordinario contesto che è stato il movimento per la rinascita. Così si è formato il personale politico della Regione negli anni delle trasformazioni che hanno avviato la modernizzazione della società sarda. Dagli anni 90’ quel processo è andato inaridendosi a causa sia della crisi dei partiti tradizionali, sia dell’esaurimento della politica di rinascita. L’impoverimento del dibattito politico e il vuoto di strategie mobilitanti hanno aperto la strada al decisionismo e alla stabilità politica coatta, all’autoritarismo presidenzialista. Il rinnovamento della classe dirigente è andato degradando in un mero ricambio che ha lasciato ampi spazi al pressapochismo, all’arrivismo e alla cortigianeria.
La recessione economica, l’emergenza democratica e la crisi politica regionale ripropongono oggi con grande forza l’esigenza di una politica nuova e di una nuova classe dirigente. Da dove cominciare? Alcune misure che sono prospettate – adottare quote rosa e quote verdi, limitare le ricandidature a due legislature, generalizzare il ricorso alle primarie - certamente favoriscono il ricambio. Ma il rinnovamento non è solo ricambio, parità tra i sessi e ringiovanimento, è anche qualità: la politica, diceva Montanelli, non dovrebbe essere mestiere a vita, ma è pur sempre mestiere. Dobbiamo perciò pensare soprattutto a misure che mirino a riavviare un rapporto interattivo tra società civile e classe politica. Si tratta, a mio parere, di agire congiuntamente per ripristinare pienamente il diritto all’elettorato attivo e passivo, rianimare il sistema dei partiti, garantire la vitalità democratica delle istituzioni, promuovere l’informazione. Sono perciò urgenti misure volte a ripristinare la preferenza abbandonando le liste bloccate e i cosiddetti listini, ridurre il finanziamento pubblico dei partiti e condizionarlo all’adozione di statuti effettivamente democratici, ridurre drasticamente il costo delle campagne elettorali affinché tutti i cittadini possano accedere alle cariche pubbliche in condizioni di eguaglianza, attivare effettivamente il principio costituzionale e statutario della pubblicità del processo di decisione delle assemblee legislative. Occorre, nel caso specifico della nostra Regione, abrogare la legge statutaria e mettere finalmente mano alla revisione dello Statuto nella direzione dello sviluppo della democrazia autonomistica.
2 commenti
1 Cristian Ribichesu
28 Novembre 2008 - 09:49
Per me, il problema, in Italia come in Sardegna, è che non esiste uguaglianza sociale, e il professore Gustavo Zagrebelsky, con un editoriale apparso su “La Repubblica”, articolo che segnalo alla redazione del sito di Democrazia oggi, apparso anche su megachip.info, al seguente link
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8346
ha descritto bene il tipo di regime che s’instaura al posto della democrazia quando manca, appunto, l’uguaglianza. Altri punti che stanno alla base dell’erosione del nostro sistema sono la mancanza di meritocrazia, l’immobilismo sociale e l’esagerata gerontocrazia presente nel nostro paese. Vi invito alla lettura di un mio articolo apparso sul sito dedicato a Nino Carrus, articolo che poi rimanda ad un altro articolo apparso su Sardegna e Libertà, testi in cui parlo delle problematiche che hanno i giovani per potersi “inserire” nel mondo lavorativo e/o politico. Serve un ricambio! Il link è il seguente
http://www.ninocarrus.it/index.php/pensiero-libero/370-giovani-e-democrazia.html
Cordialmente
C.R.
2 Democrazia Oggi - Soru è la febbre, non la malattia. Vogliamo curarla?
5 Dicembre 2008 - 06:56
[…] Raggio, nel suo intervento del 28 u.s. ha analizzato la situazione politica con la solita lucidità e profondità e quindi […]
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