Alfiero Grandi - Il Manifesto 18 febbraio 2015
A Kobane la resistenza curda contro gli attacchi dell’Isis è stata lasciata
sola dalla Turchia, che aveva le sue truppe a un chilometro ma si è ben
guardata dal sostenere chi subiva il peso dell’attacco di quello che è oggi
il nemico numero uno. La Turchia metteva nel conto la sconfitta dei curdi
che, per fortuna, sono riusciti a respingere gli attacchi dell’Isis.
Atene rischia la situazione di Kobane. Il successo di Tsipras ha incarnato
la speranza dei greci di non morire di austerità. Un successo della sinistra
che vincendo le elezioni ha dimostrato che da una crisi economica
devastante, aggravata dalle misure di austerità imposte dall’Europa, si può
provare ad uscire mettendo nell’angolo la destra neonazista. Dovrebbero
fargli un monumento, ma nel coro di applausi c’era anche chi si riprometteva
di imitare i turchi a Kobane.
Appena il confronto tra il nuovo governo greco e quelli dell’area Euro si è
fatto più duro è scattato il meccanismo che ha schierato sullo stesso fronte
sia chi aveva molte ragioni per sostenere Tsipras, sia chi è alfiere delle
politiche di austerità ad ogni costo. Nel caso tedesco si può capire, perché
per questo paese, che si considera modello da imitare, l’austerità riguarda
gli altri paesi, mentre altri governi hanno ragionato più o meno da vittime
della sindrome di Stoccolma.
Finora la Grecia è rimasta sola a reggere lo scontro con le politiche di
austerità e con i suoi simboli, a partire dalla troika. Renzi voleva
cambiare le politiche europee ma dopo le prime scaramuccie ha invertito
rapidamente la sua posizione, limitandosi ad invocare fumose interpretazioni
flessibili dei trattati, ma ribadendo che l’Italia rispetterà il 3 %, che
pure non condivide, e cambiando nome ai compiti a casa di montiana memoria
oggi ridenominati “le riforme che servono a noi”.
Il piano Juncker ha disponibili solo 21 miliardi di euro e conta in realtà
sui soldi che ogni governo metterà nel piano, se andrà bene non verranno
calcolati nel debito ma dovranno essere restituiti e pagati gli interessi.
Gli evviva alla liquidità della Bce, che comprende i titoli di stato, sono
stati precipitosi perchè l’80 % è a carico delle banche centrali nazionali.
Il 12 % del restante 20% riguarda iniziative europee, quindi la solidarietà
europea è solo l’8 % dell’intervento.
In altre parole se qualcuno medita di lasciare l’euro o rischia di essere
cacciato sappia che le sue riserve sono già impegnate. La stessa
rinazionalizzazione degli interventi consente di finanziare le banche greche
in crisi di liquidità perchè la Bce si è chiamata fuori.
I governi dei paesi in maggiore sofferenza non riescono a fare fronte comune
e il Pse non ha posizioni veramente autonome. Il risultato è che i paesi
dell’eurogruppo hanno chiesto alla Grecia di accettare la proroga per sei
mesi dei finanziamenti insieme al controllo della troika, senza nominarla,
sugli impegni presi dal governo precedente. Come dire: chiunque vinca le
elezioni le politiche non possono cambiare.
Se la Grecia dovesse essere costretta a capitolare sarebbe un grosso guaio
per tutta l’Europa, anche per gli ambigui imitatori dei turchi, che si
troverebbero alla mercè del team dominante a egemonia tedesca. Perfino la
tanto agognata flessibilità ne risentirebbe.
Qualcuno sta mettendo nel conto le estreme conseguenze del no alla Grecia,
che pure ha individuato una piattaforma realistica: fateci crescere e
inizieremo a restituire il debito. Prodi ha detto parole di verità sul
debito greco.
Chi fa questi calcoli è un apprendista stregone. Se inizia la rottura dell’Euro
nessuno può dire dove finirà e se qualcuno pensa che la tempesta investirà
altri si illude. Quando parte lo tsunami finanziario le difese, anche quelle
della Bce, non è detto che bastino.
Sarebbe bene che il modesto coraggio che ha portato il commissario Moscovici
a presentare un testo di accordo che il governo greco era pronto a firmare,
ma che è stato rovesciato nei contenuti, risorgesse con nuovo vigore.
Potrebbe essere utile a tutti, non solo ai paesi più deboli, ma anche a
Italia e Francia. Purtroppo, come i turchi a Kobane, troppi assistono ai
“combattimenti” senza il coraggio di mettere in discussione l’unanimità del
fronte che isola la Grecia. Altrimenti potrebbero aprirsi scenari
interessanti. Angela Merkel ha dimostrato un orientamento prudente e
condivisibile sulla crisi ucraina, ma questo non vuol dire che occorra
condividerne gli orientamenti in politica economica. Destra e sinistra ci
sono ancora, solo che la destra pensa di avere vinto e di bastare per tutti
mentre la sinistra sembra troppe volte avere smarrito gli obiettivi per cui
dovrebbe “combattere”.
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