Gianfranco Sabattini
Continua la riflessione sulla Grande Guerra, di cui quest’anno ricorre il centenario, almeno per quanto riguarda l’Italia. Ecco un contributo di Gianfranco Sabattini, nostro collaboratore e autorevole economista dell’Ateneo cagliaritano.
Ernesto Galli della Loggia, di recente, sul n. 3/2014 di “Nuova Storia Contemporanea”, ha pubblicato un articolo il cui titolo, “La Grande Guerra e l’identità nazionale”, si presta, nell’immediato, ad una doppia interpretazione: dal punto di vista dell’Italia, la prima guerra mondiale può essere intesa come origine, del compimento dell’Unità nazionale e del “comune modo di sentire” degli italiani; ma anche come fonte delle spinte contraddittorie che hanno caratterizzato la società italiana negli anni successivi al 1918, sino a al limite del suo totale disfacimento.
La narrazione di Galli della Loggia risulta così coinvolgente da indurre le generazioni più avanti negli anni ad avvertire un senso di angoscia, dovuto al fatto che tutte le motivazioni addotte a spiegazione del possibile disfacimento della società nazionale sono state realmente vissute da quanti appunto hanno la sfortuna di ricadere nelle classi di età prossime a “calare nella fossa”. Per gli italiani più anziani, infatti, quanto sta accadendo ora in Italia ha l’effetto di indurli a pensare che gli ideali nei quali hanno creduto non abbiano avuto alcun significato, mentre le generazioni più giovani, immuni da tali ricordi, possono vivere irresponsabilmente e “spensieratamente” la “morte della loro patria”. Com’è potuto accadere tutto ciò?
Galli della Loggia, muove la sua narrazione da un ricordo di Piero Calamandrei; il grande giurista fiorentino, alla vigilia della seconda guerra mondiale, esprimeva l’atmosfera esultante che lo aveva coinvolto il giorno dell’intervento del Paese nella Grande Guerra, il 24 maggio del 1915: egli ricordava in particolare come, in quell’atmosfera fossero presenti Mazzini, Garibaldi, Carducci, Battisti e tutto il Risorgimento e con questo l’intera “nostra civiltà”. Basta rimembrare queste poche parole, secondo Galli della Loggia, per intendere “quale abisso separi l’Italia odierna” dall’Italia che alla fine del primo conflitto mondiale usciva vincitrice. Oggi – osserva sconsolato Galli della Loggia – per la maggioranza degli italiani “Mazzini, Garibaldi e Carducci sono poco più che nomi di strade e piazze”, mentre quello di Cesare Battisti è ormai “quello di un perfetto sconosciuto”.
Quanto separa l’Italia di oggi da quella di ieri è la conseguenza di fratture che la storia moderna ha riservato al Paese; di queste fratture, Galli della Loggia ne ricorda tre, che considera cruciali: la prima è stata determinata da un’altra guerra mondiale, che ha coinvolti il Paese 25 anni dopo la prima, che ha originato una crisi radicale dello Stato nazionale italiano, in quanti nella classi dirigenti e nei cittadini, dopo la fine del conflitto, “i meccanismi di legittimazione, i vincoli simbolici e… sentimentali, i contenuti ideologici che legavano gli italiani allo Stato italiani, e che duravano bene o male dal 1861, si dissolsero in gran parte”; la seconda frattura è stata la conseguenza dell’avvento, dopo il 1945, di ordinamenti democratici, che “hanno rotto il pesante involucro castale che ancora dominava la mentalità corrente”, quale quella ricordata in tante memorie sulla Grande Guerra scritte da molti intellettuali espressi dal ceto borghese, di cui l’esternazione appassionata di Calamandrei non è che un esempio; la terza frattura, infine, è stata causata dalla modernizzazione che l’Italia ha incominciato a vivere a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso e che ha concorso a trasformarla “da cima a fondo”.
Le conseguenze delle tre fratture ricordate hanno reso l’identità italiana totalmente incomparabile con quella prevalente sino alla Grande Guerra; tuttavia, se si considerano “con più attenzione” gli esiti originati dalle tre fratture, la loro valutazione cambia sostanzialmente, sol che si colgono le relazioni che intercorrono tra l’oggi e quel tempo lontano del primo conflitto mondiale come veicolo delle dimensioni politiche, sociali ed economiche che hanno fatto degli italiani ciò che oggi sono; come se la guerra del 1915-1918 e il vorticoso succedersi degli eventi che ad essa sono seguiti costituissero “una sorta di matrice originaria del nostro presente”. Se è vero – osserva Galli della Loggia – che il primo conflitto mondiale ha segnato la fine del “regime notabiliare postrisorgimentale e quindi l’iniziale ingresso della masse sulla scena nazionale, cioè il principio di una moderna vita politica, ebbene, allora è impossibile non osservare come proprio a partire da quel punto, nel nostro Paese tale moderna vita politica abbia subito una vera e propria rottura”, imputabile al trauma che l’Italia ha vissuto nel suo passaggio alla democrazia moderna. Proprio intorno alla Grande Guerra si è approfondita una “divisività” che ha caratterizzato in negativo, e che ancora caratterizza, la storia del Paese; divisività che, oltre ad essersi manifestata sul piano ideologico-politico, ha teso ad assumere una dimensione antropologico-culturale ed anche morale.
Il fenomeno che, forse più di ogni altro, ha caratterizzato la nascita dell’”identità italiana novencentesca” è stato il modo in cui sono state percepite, e ancora continuano ad essere percepite, sia l’azione e l’immagine dello Stato, sia il rapporto che è venuto a crearsi tra lo Stato ed i cittadini, che alla lunga si è mostrato il peggiore dei viatici “per il difficile cammino della democrazia italiana”. Proprio a partire dal primo conflitto mondiale, ha fatto irruzione nella vita politica italiana la centralità dello Stato, di uno Stato, però, che pur essendo riuscito a mobilitare tutte le risorse materiali e morali, anche se in presenza di dure contrapposizioni, per fare fronte alle necessità della guerra e ad assicurare “l’unità intorno alla patria italiana”. Questo stesso Stato, tuttavia, non è riuscito successivamente a sottrarsi al “gioco delle pressioni e dei ricatti esterni”, sino a compromettere la sua immagine sul “piano dell’autorevolezza e del consenso politici”.
Da allora, - conclude sconsolatamente Galli della Loggia – è iniziato probabilmente “quel sottile discredito per il comando politico, quella sfiducia nella realtà della sua efficacia, e dunque quella potenziale delegittimazione dei suoi rappresentanti, che non avrebbero mancato di lasciare una traccia profonda nella successiva storia del Paese”; traccia che oggi, dopo il prevalere nel secondo dopoguerra delle ideologie cattolica e marxista, si è trasformata in una sorta di baratro, sino a giustificare l’angoscia delle generazioni prossime al declino, nell’assistere al lento disfacimento della patria ricevuta in eredità dai loro padri. Considerate le motivazioni ed i valori condivisi dalle giovani generazioni che stanno per sostituire, o che hanno già sostituito, quelle che se ne “stanno andando”, è lecito chiedersi se esse avranno mai un Paese e una Patria che fungano da contenitori della loro memoria condivisa, sulla quale fondare la loro identità, per sottrarsi alla misera condizione di “zombi”, ovvero di “morti viventi”, privi di ogni forma di radice. C’è seriamente da dubitare!
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