Caro Presidente, di buone parole son lastricate le vie…

4 Febbraio 2015
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Andrea Pubusa

Sapete che vi dico? Il discorso di Mattarella non l’ho sentito. Delle parole ormai non so che farmene. Ne ho sentito tanti di notabili democristiani, tutti uguali, tutti rituali, tutti  o quasi senza anima.
Cosa poteva dire un esponente della democristianeria vincente? Un prof. di diritto costituzionale, politico di lungo corso, anche se di seconda fascia? Un politico chiamato al Quirinale proprio per questa non ingombrante secondarietà? Richiami alla Costituzione. Valori come la Resistenza mischiati alla centralità della Chiesa, il lavoro e la famiglia che si mischiano a suggestioni digitali, alla solita immancabile censura dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione, che nessuno riformerà. Ecco del “credo” dichiarato di Sergio Mattarella non mi cale alcunché. M’interessano i fatti, i segnali per fatti concludenti, quelli che - come dicono i giuristi - manifestano la volontà di chi li compie perché sono inequivocabili, univoci, interpretabili solo in un modo e non altrimenti.
E i fatti son questi. Uno sfarzo perfino offensivo in questo momento di penuria (ne parla Francesco Cocco oggi in questo blog), l’invito e la presenza di Berlusconi,  e non insieme ad altri condannati e in rappresentanza della categoria, ma come padre della patria. Il mancato richiamo al fatto che il Parlamento che lo ha eletto è illegittimo, contra Costituzione, come lui stesso ha sentenziato come giudice costituzionale nel concorrere all’annullamento del porcellum.
E di fronte a questi fatti che valore ha la sua professione di voler essere un arbitro della Repubblica? Garante di tutti, di chi l’ha votato e di chi non lo ha voluto fare, di tutti gli italiani? No, non può essere il mio arbitro se chiama a far parte della partita un condannato, simbolo dell’Italia peggiore, quella che viola quotidianamente l’art. 54 capoverso della Costituzione, che richiama l’etica pubblica. E bene ha fatto chi non ha accettato l’invito a sedersi a fianco a lui. Che arbitro può essere chi non ricorda il vulnus alla Carta inferto dall’esistenza stessa di un Parlamento fuorilegge? Se non indica subito un percorso di rientro nella legalità costituzionale? E non mi lascio incantare neppure dal richiamo dell’”arbitro” al bisogno dell’aiuto dei giocatori. Di quali giocatori, anche di B., venuto lì direttamente dai servizi sociali? E il passaggio sulle riforme che ha detto non solo di voler sostenere ma che devono essere compiute in fretta “per adeguare la nostra democrazia” agli standard europei? Quali riforme? Quelle di questi anni, che scassano la rappresentanza, quelle che mortificano il lavoro, quelle che impoversiscono i lavoratori o aspiranti tali?
La stampa lecchina dice che il dodicesimo presidente della repubblica, “sobrio, silenzioso e riservato”, ha “bucato il video” degli italiani, nonostante quel tono monocorde e leggermente soporifero che lo caratterizza. In realtà, al suo corteo non hanno fatto ala se non i turisti, che, si sa, se sono a Roma, a passeggio, non si perdono la curiosità di un corteo. Da Francesco, invece, la gente accorre, e tanta. Ci sono andato anch’io, ateo, a sentirlo, mosso da una laica simpatia e sintonia. Al corteo presidenziale nessumo è accorso. Lui può pure porre “la Chiesa al centro del villaggio”, ma non mobilita, come Francesco che a Cagliari, davanti ai lavoratori, nella sua preghiera, ha chiesto a Cristo di insegnarci a lottare per il lavoro. E non colpisce al cuore degli italiani, non colma il distacco neppure il richiamo del neo-presidente alla crisi e alle sue conseguenze esistenziali. L’assemblea “si spella le mani”, come ha detto “le Figaro” - e se le spella un incredibile Vendola, alla ricerca disperata d’inserimento e di visibilità in mezzo al coro. Ma non se le spellano gli italiani.
Comunque, vedremo se saprà imporre “l’agenda esigente” di cui ha parlato, il proposito di affrontare il disagio delle famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi. Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali”. Certo è su questo non sulle parole che “sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo”. Ma per cancellare tutto ciò, angoscia e disagio della gente, non bastano le parole. E per ora i fatti son lì: un condannato contro l’art. 54 Cost. nella tribuna d’onore, un parlamento illegittimo che “si spella le mani” perché della sua irregolaritò l’arbitro non ha fatto cenno, uno sfarzo da “re sole”, e un popolo assente e lontano, che delle parole non sa che farsene.

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