Vitalizi, l’importante è non barare

21 Gennaio 2015
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Andrea Pubusa

Meglio che non ci mettan mano! Fanno pasticci! E - come al solito - barano. Prendete i vitalizi dei consiglieri regionali. C’è una critica diffusa, ferma, ma misurata; ce n’è un’altra gridata, di facciata, propagandistica, tipo Unione sarda, per capirci. Ganau dice di volerci mettere le mani per raccogliere il meglio, ma fa la “sintesi perfetta” solo degli umori che attraversano i consiglieri regionali, delle spinte popolari neanche l’ombra. Il riferimento è solo la casta, non il sentimento dei sardi. E che fa il Presidente del Consiglio? Finge di tagliare i vitalizi esistenti, “per evitare una valanga di ricorsi“, dice. In realtà, li reintroduce dopo che alla fine della scorsa legislatura erano stati, almeno per il futuro, soppressi. Risultato: una disciplina e sopratutto una spesa ora ad esaurimento, con la proposta Ganau viene molto lievemente mitigata per il pregresso o per l’esistente, ma riprende a crescere con gli oneri futuri per i nuovi vitalizi. Insomma, a questi consiglieri regionali qualsiasi cosa chiedi, ciò che sanno vedere e fare è solo il loro tornaconto. E anche quando dicono di voler ridurre la spesa, l’accrescono. Al fondo emerge il desiderio di tornare “a su connottu“, al buon tempo andato. Se così non fosse si enuncerebbero con chiarezza e in modo semplice i principi fondamentali della nuova disciplina. Si agirebbe con equilibrio e senso di giustizia, l’unico antidoto ai privilegi.
Per il pregresso è probabile che la soppressione sia, sul piano delle fonti del diritto, possibile. Il vitalizio in Sardegna non è stato disciplinato con legge, ma con semplici atti dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio. Una legge forse non troverebbe ostacoli ad incidere su di essi. Rimane però l’affidamento, che è sempre un valore giuridico, e rimane sopratutto il fatto che sul vitalizio non si fondano solo privilegi, ma anche soltanto la sussistenza di molte persone. Mettere mano con propositi abolitivi è, dunque, una questione complessa, perché richiederebbe un’articolazione della disciplina, togliendo, ad esempio, a chi cumula con altri trattamenti pensionistici adeguati. Si tratterebbe di una operazione difficile da porre in essere con equilibrio e senso di giustizia, e non sarebbe facile da giustificare alla luce del principio di eguaglianza, anche se questo sicuramente giustifica la diversità dei trattamenti in relazione a situazioni economiche personali diverse. Il cosidetto diritto differenziato è latamente ammesso e giustificato quando è volto, con ragionevolezza, a colmare differenze.
Volendo dare un taglio netto, si può pensare anche a non incidere sul pregresso, ponendo una disciplina chiara per il futuro. Forse da questo punto di vista la critica alla lieve sforbiciata proposta di Ganau è eccessiva. L’esistente, a ben vedere, in pochi anni si riduce per cause naturali e poi scompare, il problema è cosa fare d’ora in avanti. Prevedere un’abolizione pura, è così semplice da essere semplicistico. Che coloro che servono le istituzioni parlamentari abbiano un particolare trattamento economico ha una giustificazione che affonda nella storia del costituzionalismo moderno. Rendere le cariche pubbliche accessibili a tutti comporta la previsione di un’indennità. Il problema è dunque quello della misura. E così come devono essere ragionevoli le indennità di carica, ancor più devono essere moderati i trattamenti per il dopo, cioè una volta cessato il mandato. Qui è sufficiente garantire una base economica minima, da assicurare con un’integrazione del Consiglio regionale ove gli ex consiglieri non la raggiungano col trattamento di quiescenza proprio. Fissata, ad esempio, in 2.500 euro la base minima, il concorso regionale potrebbe essere limitato all’integrazione per chi ha pensioni proprie inferiori. In questo modo con una spesa di gran lunga più ridotta rispetto a quella attuale si riuscirebbe anche a dare sostanza, con equilibrio, a quel principio che tende ad assicurare l’indipendenza delle istituzioni, garantendo la tranquillità economica dei suoi membri.
Certo, ci possono essere anche altre soluzioni. L’importante è dire con chiarezza cosa si vuole, rimanendo nell’ambito di trattamenti ragionevoli e ispirati a senso di equilibrio e di giustizia. L’Assemblea regionale e il suo Presidente, giacché stanno decidendo su se stessi, dovrebbero tenere nel massimo conto l’opinione popolare e agire in sintonia con essa. Questo eviterebbe anche di fare carte false.

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