Gianna Lai
Se nel mondo la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne, nell’Italia della deriva autoritaria e razzista aumentano sempre di più gli attacchi all’autodeterminazione delle donne, sempre più numerosi gli omicidi e gli episodi di violenza, secondo una premeditazione che conta sulla difficoltà della vittima a denunciare il proprio aggressore nella persona con cui intrattiene una relazione affettiva. Nel nostro paese oltre il 93% delle violenze sessuali non vengono denunciate, dicono le statistiche dell’ Eures, retaggio di una legislazione che, fino al 1996, puniva la violenza sessuale come reato contro la morale, in base al Codice Rocco di antica memoria fascista. Si tratta di violenze fisiche e psicologiche contro le donne che rifiutano i ruoli imposti dalla società patriarcale, oggi così difficili da combattere a causa della manipolazione della figura femminile operata in particolare dai media, quando reclamizzano, assieme alle merci, una donna finta e sempre sessualmente disponibile. Un messaggio, come diceva recentemente la Ballestra, diretto alle ragazze più giovani, alle quali si insegna ad adeguarsi, e che non fa bene neppure ai maschi, se li convince che la donna sia qualcosa da prendere e da usare a piacimento.
“Il mio nemico ha le chiavi di casa”, si leggeva lo scorso anno su uno striscione del corteo delle donne nella Giornata indetta dall’ONU contro la violenza sessuale, che anche quest’anno ha mobilitato tantissime persone in tutto il mondo e dato forza alla denuncia: dalla tratta delle immigrate, immesse nel mercato della prostituzione nell’indifferenza delle istituzioni, alle donne condannate a morte nei luoghi più poveri della terra, alla strage di Ciudad Juarez in Messico, 4500 indigene uccise e sepolte in un cimitero clandestino. Cresce la consapevolezza anche in Italia, e quindi la necessità di costruire nuove forme organizzative, come quella della rete, “Associazione nazionale donne in rete contro la violenza”. Nascono nuove parole d’ordine ,“Sommosse”, “Indecorose, libere e travolgenti”, per segnare la ripresa e la volontà del movimento di trascinare e coinvolgere nella presa di coscienza tutte quante, appartenenti a tutti i ceti, a tutte le età. In particolare, la violenza familiare colpisce donne di ogni classe sociale e grado di istruzione, ed Eures dice ancora che il 31% degli omicidi volontari avviene tra le mura domestiche, in netto aumento soprattutto al Nord, e più numerosi di quelli compiuti dalla Mafia. 126 donne uccise in un anno da compagni o mariti.
E dire che le politiche della sicurezza di questo governo si fondano razzisticamente sul pericolo dell’immigrato nelle città e delle prostitute nelle strade, mentre sono i luoghi chiusi quelli più pericolosi, per le donne le mura domestiche, per i lavoratori le mura delle fabbriche. E diventano sempre più pericolose le politiche d’assalto all’autodeterminazione della donna, tappe di un’offensiva episcopale contro la procreazione assistita prima, per attaccare vigorosamente la legge sull’aborto poi, spronando in decine di ospedali i ginecologi al boicottaggio, ora che in Parlamento ci sono nuovamente i numeri per far riprecipitare le donne nell’aborto clandestino. Ora che, al contrario, il continuo calo degli aborti mostra una consapevolezza ampia e radicata, fondata sull’uso dei contraccettivi. Anche in questo paese, dove, connivente la politica dei governi della destra, a ritardare i processi di emancipazione è stata l’ invadente presenza delle gerarchie cattoliche, la loro continua condanna della laicità. Ma sui valori della laicità non è forse nata la nostra Costituzione e, quindi, la nostra coscienza di cittadini?
Bisogna combattere per creare istituzioni che promuovano l’autodeterminazione, abbandonando le politiche protezionistiche delle pari opportunità che connotano la donna come soggetto debole, perché la violenza e la discriminazione si fondano su una ideologia maschilista, che nega alla donna la dignità di persona, e la rende sempre più precaria e sempre più povera a partire dal mondo del lavoro. Lo chiamano femminicidio ed è emergenza sociale che si affronta ripristinando i diritti umani della persona e promovendo in ogni campo azioni positive. Per esempio introducendo la nozione di violenza di genere nella legislazione, come è accaduto in Spagna, e un codice di autoregolamentazione dei media che impedisca di rappresentare la donna in ruoli stereotipati e offensivi della sua dignità. Ma tutto deve avvenire con la forza delle donne, sull’esperienza di un movimento che ha dato nuovo volto alla storia del Novecento e che può contribuire al cambiamento del mondo intero.
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