PD, via Emilia addio

14 Gennaio 2015
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Francesco Cocco a domanda risponde

Leggo su L’Unione Sarda che la dirigenza del PD ha deciso di traslocare dallo “storico” palazzetto di via Emilia per una nuova  sede in un edificio della via Roma, in prossimità del Consiglio regionale. Penso di parlarne con Francesco Cocco, storico militante del Partito comunista e intellettuale d’alto livello. Per me l’occasione è ghiotta perché da Francesco c’è sempre una birra fresca d’estate, un buon fil’e ferru d’inverno. Eccomi così da lui.

D. Francesco, conosci le ragioni del trasferimento annunciato da Soru?
R. La motivazione sarebbe da ricercare nella maggiore centralità della nuova sede.

D. Solo per questo, una motivazione un po’ povera, non ti pare?
R. Non voglio entrare nelle ragioni del trasferimento, non le conosco e sarebbe poco serio parlarne senza un’informazione precisa. Quel che mi interessa è richiamare brevemente  la storia che portò all’acquisto del palazzetto di via Emilia perché essa incorpora dedizione, idealità, impegno e sacrifici quotidiani.

D. Proprio per questo, non solo per il tuo ottimo fil’e ferru, sono qui…
R. Negli anni Cinquanta, quando iniziai la mia militanza nella gioventù comunista, la Federazione ed il Comitato regionale del PCI erano nella via Roma in un edificio adibito quasi esclusivamente ad abitazioni…

D. Poi, se non erro ci fu un trasloco…
R. Sì, nel 1957 venne deciso il trasferimento del Comitato regionale in un palazzo del viale Regina Margherita, attiguo alla sede dell’ INPS.

D. Ci furono però problemi legati alla sicurezza…
R. Proprio così. Nei primi anni Sessanta un attentato alla Federazione di via Roma (una bomba  aveva divelto il portoncino d’ingresso) portò alla decisione di trasferirla. La difficoltà a reperire una sede in affitto, considerato il pericolo di qualche attentato che  motivava il trasferimento, portò alla decisione di acquistare un appartamento nella via Asproni.

D. Quei locali li ho conosciuti anch’io, un po’ strettini…
R. Ben presto i nuovi locali si dimostrarono insufficienti. Vi era anche l’esigenza di accorpare i locali della Federazione e del Comitato regionale. Così nella seconda metà degli anni Settanta venne deciso l’acquisto del palazzetto di Via Emilia. Vi erano varie opzioni ma si decise per tale edificio…

D. Ma non furono solo questioni di spazio a convincere per quella scelta…
R. No, no. Il Partito comunista era molto attento anche ai segnali politici, ch’erano sostanza: fu  centrale la considerazione del carattere popolare del quartiere e poi si volevano agevolare i militanti chi venivano  da fuori Cagliari. Per le riunioni non si costringevano gli iscritti a inoltrarsi nelle vie del centro con le difficoltà di parcheggio…

D. Altra sensibilità, altre attenzioni, altri referenti sociali, caro Francesco. Immagino però che ci sia stato qualche problema ad acquistare la sede…
R. Problemi enormi. I mezzi finanziari erano limitati ma erano anni in cui il PCI andava crescendo ed accentuava il suo carattere di partito di massa…

D. Occorreva un bel coraggio…
R. Ad infonderlo era il clima di grande dedizione che in quegli anni caratterizzava la militanza, e che pertanto avrebbe favorito lo sforzo finanziario. Tutti i militanti e soprattutto i dirigenti che ricoprivano un incarico pubblico erano chiamati ad un tale sforzo.

D. Morale della favola, oggi, almeno stando alle cronache giudiziarie, molti dirigenti s’intascano i soldi pubblici, allora invece davano per far politica…
R. Proprio così. In quegli anni ero consigliere comunale di Cagliari. Ricevevo un modesto gettone di presenza per le sedute del consiglio ma di fatto non ho mai visto un centesimo perché tutto era destinato al pagamento della nuova sede. Anche i parlamentari e i consiglieri regionali versarono il loro contributo e tanti iscritti in maggior parte modesti lavoratori, impiegati o artigiani…

D. Naturalmente al momento della dichiarazione annuale del reddito bisognava pagare il relativo ammontare tributario, un contributo ulteriore…
R. Devo dire che eravamo ben felici che così fosse perché sentivamo di partecipare alla realizzazione di una forte organizzazione dei lavoratori, carica d’idealità e capace d’incidere nella società.

D. Quali sentimenti suscita in te l’annuncio del trasloco?
R. Leggendo la notizia del trasferimento avverto la fine di una storia. Non so, e non voglio pensare che il trasferimento sia finalizzato a reciderne le radici.

D. Queste radici, caro Francesco, sono recise da tanto, anche se abbiamo sperato nel contrario…
R. E’ un risultato che oggettivamente appare negativo anche perché sono molti i segnali della volontà di rottamare una grande storia umana. E’ facile comprendere che certi  disegni politici possano passare più agevolmente se si eliminano anche i segni visibili che la richiamano. La sede di via Emilia è uno di questi.

Qualche chiacchiera ancora, è un gran piacere parlare con Francesco, da cui si apprendono tante cose che rinfrancano lo spirito e l’umore. Poi lo saluto e, mentre attraverso le viuzze di Villanova, mi chiedo dove è andato o andrà a finire l’immenso patrimonio immobiliare (quello politico è stato abbondantemente svenduto!) del PCI. Quando, da consigliere regionale, mi recavo nei centri della Federazione cagliaritana ricordo molte sedi del partito, che, ai tempi, erano così imponenti, da gareggiare con gli edifici pubblici. Locali costruiti dai compagni (muratori, artigiani, elettricisti, idraulici, falegnami. geometri, ingegneri) nel tempo libero con entusiasmo e grandi idealità, con materiali acquistati grazie alle sottoscrizioni. Ha ragione Francesco quei locali sono il segno di una grande vicenda politica e umana, di un immenso patrimonio politico e morale, stoltamente e dissennatamente dissolti, e su cui, per di più, è calata una vera e propria damnatio memoriae. Giunto in via Paoli, cerco di distrarmi con le vetrine, perché questi pensieri, a fronte della miseria politica e morale attuale, mi provocano una rabbia intollerabile (A.P.).

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