Gustavo Zagrebelsky - Da Il Fatto Quotidiano del 2/1/2015
Pubblichiamo le conclusioni del saggio di Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, sulla sentenza n. 1/2014 emessa un anno fa dalla Consulta per cassare la legge elettorale “Porcellum” e sulle sue conseguenze sull’attuale Parlamento, in uscita sul numero 3/2014 della rivista “Giurisprudenza costituzionale”, diretta dal professor Alessandro Pace.
La prima parte del commento dell’insigne costituzionalista ci riguarda direttamente come sardi, in quanto l’argomentazione si attaglia alla legge elettorale regionale sarda al vaglio del Consiglio di Stato. Infatti, anche se in Sardegna esiste una soglia del 25% per l’accesso al premio di maggioranza, questo, pari al 55 o, addirittura, al 60%, sembra irragionevole ed eccessivo nel bilanciamento fra il principio di eguaglianza del voto e le esigenze di governabilità. In presenza del sistema premiale ancor più inutile, ai fini della governabilità, appaiono gli sbarramenti del 5% per le coalizioni e del 10% per i candidati alla presidenza.
Ecco la prima parte dello scritto di Zagrebelsky, la seconda verrà pubblicata domani.
Il merito, secondo la Corte. Il nucleo costituzionale della decisione è nella seguente duplice affermazione: a) l’alterazione della proporzionalità attraverso premi di maggioranza è possibile, in vista dell’obiettivo perseguito, che è la stabilità di governo e l’efficienza dei processi decisionali, ma non deve essere abnorme; b) all’elezione dei singoli parlamentari non deve mancare il sostegno della scelta personale da parte dei cittadini-elettori (…).
Le motivazioni sono semplici e apodittiche. a) Sebbene esista ampia discrezionalità del legislatore nella materia elettorale, derivante dall’assenza di una scelta costituente in favore di uno o di un altro sistema elettorale (per quanto il sistema proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati sia stato indicato come il preferibile, in un “ordine del giorno” approvato dall’Assemblea), tale discrezionalità non si sottrae al controllo di ragionevolezza e proporzionalità, alla stregua dei principi costituzionali individuati negli artt. 1 comma 2, 48 comma 2, e 67 Cost. Da queste norme, in connessione con la libertà concessa al legislatore di configurare i sistemi elettorali secondo le proprie valutazioni d’opportunità, dovrebbe discendere che ciascun voto deve poter contribuire con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi nel momento in cui è espresso e conteggiato, ma non anche che debba avere lo stesso peso nel momento del risultato (…). Poiché il premio elettorale non è subordinato alla conquista da parte del premiato di un certo numero minimo di consensi, la legge che lo prevede non opera una ragionevole mediazione. Essa sacrifica smodatamente o sproporzionatamente il principio di rappresentanza, subordinandolo incondizionatamente alla funzionalità delle Camere. In definitiva, rispetto all’obiettivo perseguito – sono parole della Corte – la disciplina del premio di maggioranza determina un’eccessiva compressione della funzione rappresentativa delle Assemblee, nonché dell’uguale diritto di voto (evidentemente: rispetto al risultato), tale da produrre un’alterazione profonda degli equilibri su cui si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente (…). b) Il voto limitato alla sola scelta di liste di candidati predeterminate da altri (partiti o simili), secondo la Corte, “ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione”. Ciò significa che la rappresentanza politica non può trasformarsi e ridursi a investitura fiduciaria nei confronti dei partiti. Il sistema delle liste bloccate è, per l’appunto, il metodo di questa trasformazione e di questa riduzione: il partito si presenta all’elettorato con un “prendere o lasciare” di un “pacchetto” che l’elettore – per così dire – non può spacchettare. Il principio contenuto nella sentenza è chiaro: il diritto dell’elettore non può ridursi a una adesione in blocco. Ciò implica la necessità che il voto di lista, nei sistemi elettorali che lo prevedono, si accompagni a un voto di preferenza di candidati. Le liste bloccate impediscono questo voto , poiché la determinazione delle candidature, secondo il sistema elettorale dichiarato incostituzionale, era monopolizzata dalla dirigenza dei partiti che, stabilendone l’ordine, predeterminava anche l’esito delle elezioni entro il numero di seggi spettanti a ciascuna lista di partito, secondo l’esito elettorale. In questo modo il ruolo degli elettori finiva semplicemente per ridursi alla distribuzione dei pesi tra queste rappresentanze (con l’aggravante dell’effetto straniante delle candidature multiple e della relativa possibilità di opzione tra i collegi diversi). Qui sta il nucleo dell’argomentazione della Corte: la sostituzione a un tipo di rappresentanza (dei cittadini elettori) con un altro tipo (dei partiti). Tuttavia, in altre proposizioni della motivazione, l’accento cade non più sulla “indicazione personale dei cittadini” ma sulla “conoscibilità dei candidati” da parte degli elettori, conoscibilità resa impossibile o difficoltosa in presenza di liste lunghe presentate in collegi assai ampi. C’è dunque un’oscillazione tra conoscenza e indicazione. Le liste bloccate, nell’ordine d’idee della conoscibilità, sembrano diventare possibili, purché brevi. Se, invece, il criterio è l’indicazione, cioè la scelta del candidato, la conoscenza, non è sufficiente. La conoscenza è ovvia condizione dell’indicazione, ma conoscenza e indicazione sono due cose diverse. Che cosa ha voluto dire la Corte, non è chiaro. Nella parte finale della motivazione sul punto, l’intreccio dei due motivi della decisione s’intersecano senza sciogliersi: il voto dato alla lista bloccata si mescola all’ignoranza circa l’identità dei candidati, come motivi d’incostituzionalità. Sulla base delle ragioni suddette, la Corte ha deciso l’introduzione di un voto di preferenza, come conseguenza necessaria per ristabilire il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, garantire la libertà di voto ed evitare la coartazione della volontà degli elettori, altrimenti obbligati a sottostare alla determinazione dell’ordine delle candidature. Soluzione obbligata? Sebbene la Corte dica che, in astratto, vi possono essere soluzioni alternative (liste bloccate solo in parte, circoscrizioni elettorali di dimensioni ridotte che si avvicinano ai collegi uninominali), nell’impianto generale della legge sottoposta al controllo di costituzionalità, cioè in concreto, la soluzione minima e obbligata (e perciò possibile senza violazione della discrezionalità del legislatore) è apparso l’un voto di preferenza (…).
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