Amsicora
Che belle le storie di Natale! Ne ho lette tante in questi giorni di festa. Il Canto di Natale di Dickens, Angeli sulla neve, Natale, un incantevole racconto. Ho letto anche altre favole naturalmente. Fra queste nell’Unione dell’altro giorno quella di Francesco Cesare Casula sui giganti di Monte Prama: “Guerra e pace nel Sinis nuragico“. Del resto, anche gli storici, talora abbandonano le carte e le testimonianze archeologiche e inventano. Fanno volare la fantasia. In fondo, che male c’è. E così Francesco Cesare ci narra di lotte fra fenici e nuragici con vicende alterne. Si sa le guerre non sono mai o quasi lineari. Avete visto Rai storia? Anche nella Grande Guerra ci sono state terribili avanzate austriache e immancabili contrattacchi italiani. Così va il mondo. E dunque anche i nuragici, dopo inarrestabili sfondamenti, hanno ricevuto gli altrettanto prevedibili contrattacchi. “Così, schiere nuragiche guidate da capi tribù coraggiosi [i capitani coraggiosi n.d.r.] si riversarono urlanti [che ci siano le registrazioni nelle pietre, sbobinate da Sciolla?] da Funtana Meiga nella Piana di S. Giovanni per mettere a ferro e a fuoco la città” [fenicia di Tharros n.d.r.]. Ci saranno stati reiterati combattimenti, con avanzate e ripiegamenti, e decine di morti da entrambe le parti“. Ma ci sono state anche oasi di pace, armistizi. Tanto lunghi talvolta, da consentire ai nuragici di celebrare i loro eroi, di permettere loro “di impiantare a Monte Prama la statuaria gigante in onore dei condottieri caduti nelle battaglie, come monito per i passanti semitici che transitavano al limite del loro territorio“. Non solo ricordo dei caduti, dunque, ma anche avvertimento “ai passanti semitici“, ai fenici a passeggio da quelle parti, di non riprovarci!
E poi? Poi la storia si ripete, anzi si anticipa: come per gli indiani d’America, coraggiosi ma isolati, e a un certo punto tecnologicamente arretrati, la sconfitta è inevitabile. Arrivano i rinforzi cartaginesi, Asdrubale e Amilcare, e “nonostante l’accanita resistenza dei Sardi, dei campidani e delle colline“, il destino è segnato e con essi i loro gloriosi simboli: i giganti di Monte Prama, fatti a pezzi e sotterrati dai semitici, per damnatio memoriae, come i resistenti nuragici. Ma questo ammette, per fortuna!, Francesco Cesare “è opinabile“. E’ però verosimile. “Nella furia devastatrice dell’assalto” tutto può succedere, anche questo. Del resto, cosa fecero i romani dopo la conquista di Cartagine “nella furia devastatrice dell’assalto“? La rasero al suolo. Usava così in quei tempi bui e crudeli.
Vi è piaciuta questa favola natalizia? A me sì, fino a quando i nuragici vincevano. Poi meno. E decisamente no, quando lo “arrivano i nostri!” è a favore dei fenici e i fenici hanno fatto a pezzi i giganti, che in fondo non facevano male a nessuno. Anche se capisco che la furia devastatrice dell’assalto ottunde le vista e le menti.
Confesso. Anche se non sembra, a me piacciono le favole buoniste, a lieto fine, alla Bud Spencer e Terence Hill, dove i buoni prevalgono sempre sui cattivi, i poveri sui ricchi, gli umili sui potenti e i lavoratori sui capitalisti. E così la storia dei giganti l’ho immaginata diversamente. Tanto anche il buon Francesco Cesare, con mio grande sollievo, ha ammesso che il finale “è opinabile“.
C’era una volta, tanto tanto tempo fa un popolo così saggio da aver fortificato nei secoli tutto il proprio territorio con torrioni possenti, tanto da essere inattaccabile e così viveva in pace perché rispettato dagli altri popoli. Si narra che i sardi di allora fossero anche dei pugilatori (perché non pugilisti?) formidabili (la riprova? In epoca recente abbiamo avuto boxeurs come Piero Rollo, Benevuto Manca e Salvatore Burruni). C’erano scuole di pugilato nei vari distretti nuragici e si svolgevano gare e tornei pugilistici. Questo è tanto vero che molti studiosi ritengono di poter trovare l’origine di questa pratica sportiva prima che altrove tra le civiltà nuragiche della Sardegna. A quanto pare il faraone Ramses II rimase affascinato dall’abilità guerriera di uno dei cosiddetti Popoli del mare, abitanti, a quanto sembra, la Sardegna centro-occidentale (guarda caso proprio il Sinis!): gli Shardana. Il dio-re egizio fu tanto strabiliato da tale popolo che decise di farne la propria guardia personale.
Naturalmente questa abilità non poteva essere frutto del caso. Evidentemente esistevano scuole di pugilato, moda poi sviluppatasi fra i greci, gli estruschi e, infine, fra i romani, che però volsero la noble art sul truculento, coi gladiatori.
A quanto si racconta anche nei testi egizi era uso comune tra gli Shardana lottare tra loro con gli avambracci e i pugni coperti da qualcosa di simile al caestus romano in cuoio e metallo; con esso dunque si colpivano al volto e al corpo. Quello che però le statue ci mostrano, oltre a questa sorta di primitivo “guantone”, è una specie di scudo rettangolare semirigido che i combattenti vengono raffigurati tenere sopra la testa. Ma è uno scudo? Se sì, è difficile dire se davvero essi possano essere assimilati a dei moderni pugili, se non forse più a degli antenati dei gladiatori. Ma io penso ch’erano boxeurs come quelli moderni: un asciugamano, scolpito in pietra, secondo voi è morbido? O è rigido tanto da sembrare uno scudo, anche se non lo è? Quello - credetemi - è un asciugamano per pulire sangue e sudore, proprio come al giorno d’oggi sul ring. Del resto, che senso ha uno scudo sulla testa? Lo scudo non si mette davanti a protezione del corpo? No, no, sulla testa i boxeurs mettono solo l’asciugamano, non lo scudo!
Sia come sia, così stan le cose. A Monte Prama c’era una fiorente scuola di pugilato, tanto rinomata da fornire uomini per la guardia del corpo dei potenti della terra, nientemeno che a Ramses II. E chissà a quanti altri! E chissà a quali prezzi! E questo significa che i sardi avevano notevoli risorse e proponevano politiche di scambio a livello internazionale. Macché sardi inseguiti dai fenici! No, caro Francesco Cesare, come narra l’archeologo, «i giganti dimostrano che la Sardegna, nel Mediterraneo occidentale tra il nono e l’ottavo secolo avanti Cristo, era una terra di uno straordinario livello culturale. Una sfilata di statue come quella di Mont’e Prama è emblematica della presenza di un potere governativo molto solido e ricco».
E così i sardi vissero felici e potenti per secoli. Forse fu una peste, forse una carestia prolungata a decimare i sardi e a impoverirli e la loro epopea eroica, pian piano, finì. Sarà per l’una o l’altra causa, fatto sta che gli Shardana decaddero e i sardi giganti si rimpicciolirono e divennero semplici pelliti. Fu così che i fenici presero coraggio e si insediarono nelle coste e poco oltre, e i romani penetrarono anche più all’interno. Non si sa esattamente in che anno, ma, a un certo punto, le grandi statue furono fatte a pezzi alla svelta e immediatamente interrate. Furono i fenici? Ma quandomai? Furono i romani? Neanche per sogno! E vero solo che sia i primi che i secondi ci batterono in pianura. Ma non nelle Barbagie. Lì non si avvicinavano neppure, se non le volevan prendere. Oltre che il pugilato, lo sapevate?, noi sardi abbiamo inventato anche la guerriglia! E allora come andarono le cose? Un brutto giorno i sardi, dovendosi ritirare nelle montagne, non potendoseli portar dietro, inseguiti com’erano dai nemici, decisero, in una assemblea di tutti i distretti nuragici, di seppellire i loro eroi di pietra. Ma erano così imponenti che, per farlo, dovettero farli a pezzi. Fecero grandi riti nuragici e diedero loro sepoltura, per sottrarli agli invasori avanzanti. Ma sapevano che un giorno o l’altro, i sardi li avrebbero ritrovati e ricomposti. Come si è fatto anche in epoca recente per tanti tesori d’arte durante le invasioni straniere o, anche nell’ultima guerra, per salvarli dai bombardamenti. Non sapevano, i nuragici, che sarebbero passati millenni e che col black and decker le facce si sarebbero potute restaurare o rifare. Ma come nelle più belle favole, alla fine la loro preghiera è stata esaudita e i nostri eroi hanno vinto, non sono caduti in mano nemica ed oggi risplendono, più belli e fulgidi che mai.
E così i sardi, ritrovati i loro eroi e abbagliati dalla loro imponenza, vivono di nuovo felici e contenti, nell’abbondanza e nel lavoro, con “un potere governativo molto solido e ricco“, come al tempo degli Shardana.
Qui finisce la storia. Vi è piaciuta? Tutto vero o quasi. La conclusione ultima non vi convince? Beh, è opinabile, come quella di Francesco Cesare, del resto.
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