I mercati specchio dei limiti dell’umanità?

28 Dicembre 2014
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Gianfranco Sabattini

Niall Ferguson, storico scozzese dell’economia e professore di storia moderna all’Università di Harvard, in un suo recente libro, “Ascesa e declino del denaro. Una storia finanziaria del mondo”, sostiene una tesi singolare, riguardante la natura dei mercati finanziari, che risulta in linea con le sue posizioni thatcheriane degli anni passati; egli, infatti, riconduce la causa della crisi economico-finanziaria che ha investito il mondo intero nel 2007/2008, non agli errori commessi nella gestione dell’economia mondiale dopo la deregolazione dei mercati, ma ai limiti dell’intera umanità nel rapportarsi agli stessi mercati per valutare i propri stati di bisogno e le risorse a disposizione per soddisfarli.
A sostegno della sua tesi, Ferguson analizza il ruolo della moneta e delle innovazioni finanziarie con cui è stato possibile realizzare “molta parte del progresso” dell’umanità; “l’ascesa della moneta – afferma lo storico scozzese – è stata essenziale all’ascesa dell’uomo. L’innovazione finanziaria non è una sanguisuga che spreme famiglie indebitate o specula sui risparmi di vedove e orfani; l’innovazione finanziaria è stata un motore indispensabile del progresso dell’uomo, da un’economia di sussistenza alle stupefacenti vette della prosperità materiale di cui oggi beneficia un così gran numero di persone”. Al ruolo svolto dalla moneta è riconducibile l’evoluzione del credito e del debito, in particolare dei mutui e del credito al consumo, delle banche, dei mercati azionari, delle assicurazioni. Tutte queste “meraviglie”, secondo Ferguson, spiegherebbero perché le continue innovazioni finanziarie abbiano reso possibile un aumento dell’efficienza dei mercati finanziari, facendo sì che il rischio potesse essere diluito e trasferito su chi fosse in grado più di altri di sostenerlo.
La crisi finanziaria del 2007/2008, però, sarebbe stata un “tempestivo richiamo a una delle imperiture verità delle storia finanziaria: prima o poi, tutte le bolle scoppiano; prima o poi, i venditori ribassisti superano i compratori rialzisti; prima o poi, l’avidità si trasforma in panico”. Perché accade questo?, si chiede Ferguson; ripercorrendo la storia della finanza dall’antichità ad oggi, egli giunge alla conclusione di poter dare una risposta articolata su tre linee argomantative, utili ad illustrare le modalità di funzionamento dei moderni sistemi finanziari. Una prima risposta è che la povertà non “è il risultato di rapaci finanzieri” che sfruttano i poveri, ma è la conseguenza del fatto che le istituzioni finanziarie sono poco efficienti; ragione, questa, che consente di capire perché coloro che ricorrono ai mercati del credito molto spesso non riescono a sottrarsi alle “grinfie” degli usurai e dei disonesti; una seconda risposta è che le istituzioni finanziarie hanno il difetto, da un lato, di riflettere le debolezze umane e l’instabilità emotiva di chi le frequenta e, dall’altro, di rispecchiare anche le differenze tra gli uomini, arricchendo chi è “intelligente e fortunato” e impoverendo chi “non è altrettanto intelligente e fortunato”; una terza risposta, infine, è che è difficile prevedere, quanto a tempi e dimensioni, il manifestarsi delle crisi finanziarie, a causa del fatto che il sistema finanziario, soggetto a relazioni non lineari e caotiche, ha un elevato grado di complessità che trascende le capacità previsionali degli operatori. Per tutte queste ragioni, secondo Ferguson, se si vuole comprendere la natura dei mercati finanziari e quella delle loro istituzioni, occorre tener conto dell’evoluzione secolare del mezzo, la moneta, che ha concorso, e continua a concorrere, a strutturarli e a prefigurarne il funzionamento.
Il mondo finanziario di oggi è il risultato di alcuni millenni di evoluzione economica e l’adozione delle innovazioni succedutesi nel tempo hanno conseguito, nel lungo periodo, performance maggiori di quelle raggiungibili altrimenti; ciò è accaduto sebbene l’ascesa della moneta non sia stata, né mai potrà essere, secondo Ferguson, priva di attriti e di conseguenze negative sul funzionamento delle singole economie; ancora oggi, pur in presenza di alti livelli di sviluppo delle istituzioni finanziarie, i mercati si rivelano vulnerabili alle crisi come e più che nel passato. A giustificazione della vulnerabilità di questi mercati, ci sarebbero alcune “fondamentali ragioni”: la prima è che gran parte del futuro dell’uomo trascende le sue capacità previsionali, nel senso che, oltre un dato limite, gli eventi che caratterizzeranno la vita umana si trovano nel campo dell’incertezza e non in quello del rischio stimabile; la seconda ragione è riconducibile all’”ondivago” comportamento umano, sempre propenso a passare inaspettatamente dall’”euforia alla depressione”, per il perenne rifiuto dell’uomo di “imparare dalla storia” e dall’esperienza; la terza ragione, infine, è che i mercati finanziari, al pari di ogni base produttiva, sono oggetto di un “processo evolutivo”, nel senso shumpeteriano del termine.
Come il processo evolutivo che caratterizza la struttura della base produttiva di ogni economia, l’evoluzione dei mercati finanziari e delle loro istituzioni non è dovuta unicamente al fatto che l’attività finanziaria si svolge all’interno di un ambiente sociale che muta e, mutando, cambia le forme con cui essa si svolge; l’impulso fondamentale viene dalle innovazioni che investono e ristrutturano, sia i mercati, che le istituzioni, distruggendo senza tregua le antiche e creandone di nuove. Il processo di “distruzione creatrice” è il carattere qualificante del processo evolutivo che contraddistingue sia l’economia reale, che quella finanziaria. Al riguardo, occorre tuttavia tenere presente che l’evoluzione non porta sempre all’emergere di esiti perfetti, nel senso che anche quando un’innovazione risulti all’inizio vantaggiosa, può poi rivelarsi non-ottimale nel lungo periodo.
Qualcosa di simile, secondo Ferguson, sarebbe accaduto alla fine del decennio scorso, allorché il “deterioramento delle condizioni di credito e dei prezzi delle attività finanziarie, cominciato nell’estate del 2007, ha creato gravi problemi a molti hedge funds, rendendoli vulnerabili all’uscita in massa degli investitori”, provocando effetti devastanti sulla capacità di tenuta del sistema delle banche ordinarie e sul “sistema bancario ombra”, cioè sul sistema delle operazioni finanziarie extracontabili, come i “veicoli strutturati di investimento”. Gli effetti devastanti sui mercati finanziari sono stati di tale entità da indurre molti a parlare di “morte del capitalimso” e di fine del “libero mercato”; rimane da vedere se le “misure straordinarie” prese dai governi occidentali nel corso del 2008 avranno l’effetto desiderato di impedire un completo collasso del sistema finanziario o se invece impediranno che i mercati finanziari e le loro istituzioni continuino ad evolvere.
Sulla base di quanto detto circa il continuo cambiamento dei mercati finanziari, conclude Ferguson, sin tanto che non si comprenderà la logica intrinseca al processo evolutivo che li caratterizza, non si potrà mai capire “una verità fondamentale: i mercati finanziari sono uno specchio dell’umanità e rivelano ogni ora di ogni giorno lavorativo il modo in cui valutiamo noi stessi e le risorse del mondo che ci circonda. Non è colpa dello specchio se riflette, insieme alla nostra bellezza, tutti nostri difetti”; come dire, non è colpa dei mercati finanziari se i sistemi economici sono instabili e soggetti a crescenti e ricorrenti crisi, sempre più frequenti, a danno di chi ne subisce le conseguenze negative.
Strano discorso quello di Ferguson! Tutta la sua analisi è stata orientata a narrare che l’evoluzione delle moneta e delle istituzioni che essa ha concorso a formare, pur avendo contribuito a creare le condizioni utili al miglioramento continuo delle condizioni esistenziali dell’umanità, essa è sempre stata all’origine della ricorrente incertezza che ha sempre caratterizzato la vita economica; incertezza che non sarebbe imputabile alle modalità di funzionamento dei mercati, ma ai limiti conoscitivi degli uomini, che ne condizionano le capacità previsionali. Se cosi stanno realmente le cose, perché allora escludere la possibilità che l’evoluzione dei mercati sia contenuta entro i limiti della capacità dell’uomo di stimare ragionevolmente il proprio futuro, in modo che gli accadimenti provocati dall’evoluzione dei mercati e delle loro istituzioni ricadano sempre entro tali limiti? Al pari del discorso dei teorici del “laissez-faire”, anche quello di Ferguson sembra finalizzato a riproporre l’intangibilità dei mercati, per via della loro supposta capacità di autoregolarsi e di autocorreggersi; ma, mentre i primi sostengono la loro tesi in termini ottimistici, considerando i mercati strumenti a sostegno dei limiti dell’uomo, Ferguson, pur di riconfermare la sua vocazione conservatrice, per non dire reazionaria, non esita a considerare i limiti umani come causa della corruzione dei mercati, riproponendo così la vetusta tesi che assume non la moderna economia finanziaria come causa dei mali dell’umanità, ma, al contrario, l’umanità come causa del cattivo funzionamento dei mercati finanziari.

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