Questione immorale. E’ necessario un intervento legislativo. Ma il governo si affatica su leggi che entreranno in vigore tra due anni
L’ultima tabella di marcia di Renzi ci dice: Italicum subito, ma vigente dal 2016, elezioni nel 2018. È davvero curioso. Il nuovismo imperante ha vituperato i bizantinismi della vecchia politica. Ma i nuovi nemmeno scherzano. Una legge da approvare a tambur battente, ma a vigenza differita, per una prima applicazione a quasi quattro anni da oggi. Che senso ha? Perché non dare priorità, tempo ed energie a qualche problema più impellente?
Ad esempio, alla corruzione. Si scopre a Roma una palude maleodorante di malaffare. In casi del genere, oltre ad esprimere il rituale auspicio che la magistratura proceda bene e in fretta, bisogna in realtà porsi alcune domande. Quanti sapevano e non hanno parlato? Quanti avrebbero potuto o dovuto, per obbligo giuridico o politico, segnalare la cosa a un superiore gerarchico, a un responsabile amministrativo o di partito, a un magistrato, e hanno preferito non farlo? Quanti sospettavano e hanno preferito non vedere e non sentire? Quanti, anche tra gli eroi che piacciono a Renzi, hanno preferito pensare ai propri affari e subire piuttosto che denunciare?
Certamente, una folla. Non tutti complici in senso tecnico. Ma accomunati nell’omertà, nell’indifferenza, nella scelta del quieto vivere e della personale tranquillità. Il male italiano, che si traduce in un progressivo dissolvimento dell’etica pubblica, del controllo sociale e della responsabilità politica, è anzitutto nel non ammettere che la corruzione è una delle vere emergenze del paese, e che non si fa abbastanza per combatterla. Anzi, non manca chi dice che è una invenzione di magistrati in cerca di notorietà, o una torsione mentale di pochi grilli parlanti.
È significativo che nell’ultimo consiglio dei ministri il punto della prescrizione abbia subito l’ennesimo rinvio. La prescrizione sfuma nelle nebbie della riforma complessiva del processo penale, incerta nell’an e nel quando. Eppure anche l’Europa ci chiede, e non da ora, di intervenire, essendo la probabile impunità il più forte incentivo dei fenomeni corruttivi. Come mai ci viene ricordato – invero a sproposito — che l’Europa ci chiede la responsabilità dei magistrati, dimenticando invece la sollecitazione europea sulla prescrizione? Da ultimo, per la sconvolgente sentenza Eternit, Renzi aveva baldanzosamente dichiarato: «Mai più». Sono bastate poche ore a rimettere i buoni propositi nel cassetto. Il punto è, come ben sappiamo, che nella traballante architettura della maggioranza di governo c’è chi – Ncd – storce il naso. E nella parimenti traballante architettura della maggioranza riformatrice c’è chi – Berlusconi in primis — ha sulla prescrizione una sensibilità acutissima. Non si sa mai.
Quanto alla prevenzione, qualche passo avanti l’ha fatto l’Autorità anticorruzione, chiarendo, con la delibera 144/2014 del 20 ottobre scorso, che gli obblighi di trasparenza quanto agli emolumenti riguardano tutti gli organi di indirizzo politico di tutti gli enti pubblici non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati. Ma è significativo il fatto che la delibera vada a sostituire una precedente sul medesimo oggetto, il cui fondamento legislativo risale al 2013. La richiesta era stata sepolta dalle richieste di chiarimento delle amministrazioni interessate.
Le resistenze sono grandi, e probabilmente non cesseranno. La stampa riporta che nella stessa Autorità è stata espressa una contrarietà per il dubbio che la delibera potesse favorire un «voyeurismo» amministrativo. Il che dimostra l’inconsapevolezza culturale dell’emergenza in cui il paese vive per la corruzione, e della impellente necessità di provvedere.
Ma non basta un’Autorità, per quanto interventista. Bisogna arrivare a un cambio, quello sì, epocale della P.A., che deve essere portata al principio della visibilità di ogni dato piuttosto che della riservatezza e del segreto d’ufficio. Ora il principio di base è — con eccezioni — che gli atti siano accessibili per gli interessati. E chi se ne occupa sa come talvolta sia anche per loro di fatto difficile. Bisogna puntare alla visibilità per tutti, perché può capitare che gli interessati non vogliano – e questo esattamente accade quando c’è corruzione – che altri sappiano. La trasparenza in una cerchia ristretta non basta. Inoltre, bisogna incoraggiare chi sa a parlare, garantendo contro i rischi personali e di carriera. Chi dà l’allarme – il whistleblower – non è un delatore, ma persona pensosa del bene comune. Per tutto questo è necessario un intervento legislativo.
Se qualcuno volesse rivoltare il paese come un calzino e rimetterlo in corsa troverebbe qui un terreno primario di intervento. Invece, noi lietamente ci affatichiamo su leggi che entreranno in vigore tra due anni e si applicheranno tra quattro. Il tutto per un groviglio perverso con un senato riformato che si vuole imbottire di personaggi del calibro di quelli che hanno dato luogo alla peste romana. Non ci meravigliamo, poi, se nel Corruption Perception Index 2014 di Transparency International siamo al 69° posto, alla pari con Senegal e Swaziland, e battendo valorosamente il Montenegro. Evviva il nuovo che avanza.
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