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Il gran giorno è finalmente arrivato! Oggi alle 11, al Tar Sardegna si discute il ricorso che impugna l’atto di proclamazione del Consiglio regionale. Non si chiede il subentro di questo o quel consigliere, ma l’annullamento delle elezioni oppure la riassegnazione dei seggi con un sistema sostanzialmente proporzionale. Questa eventualità consegue all’annullamento delle norme che dispongono il premio di maggioranza o soglia disbarramento. Eccessivi e irragionevoli l’uno e l’altro, tanto da minare l’eguaglianza del voto in uscita, ossia all’atto della loro trasformazione in seggi. Chi è col PD o FI governa se ha un voto in più, chi non bacia la pantofola a lor signori sta fuori, anche se prrende 76 mila voti come Michela Murgia.
La censura più radicale alla legge riguarda, però, la presenza femminile in Assemblea. Ora in Consiglio ce ne sono solo sei, meno che nel parlamento iraniano. Bisogna ammettere che son pochine e che un Consiglio siffatto non rappresenta la Sardegna in cui l’elettorato femminile è pari alla metà. Roba da medioevo profondo! Se la Corte costituzionale accogliesse questa censura, si dovrebbe tornare alle urne, verrebbe travolto l’intero Consiglio. Certo la censura è forte: pretendere che ci sia una disciplina delle preferenze che favorisca la scelta delle candidate è un’innovazione di rilievo. Tuttavia essa è già nell’ordinamento. Alle elezioni europee in caso di espressione di tutt’e tre le preferenze disponibili, l’elettore doveva indicare almeno una preferenza ad un genere diverso dalle altre, pena l’annullamento della terza preferenza.
Cosa può accadere oggi? Il Tar rinvia ancora per questioni procedurali, ma è improbabile perché un rinvio, per completare le notifiche, c’è già stato. Oppure respinge il ricorso, e tutto finisce lì, salvo appello al Consiglio di Stato. Oppure ancora rinvia gli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in attesa della decisione della Consulta. Ed è questo l’obiettivo dei ricorrenti, primo firmatario Marco Ligas, direttore del Il Manifesto sardo, sulla scia di quanto già disposto dal Tar Lombardia, che ha rinviato alla Corte costituzionale la legge regionale lombarda su ricorso dell’Avv. Besostri.
Staremo a vedere. Frattanto c’è da registrare un fatto importante. La Regione, che inizialmente non si era costituita in giudizio, ora lo ha fatto. Pigliaru ha un’involuzione manifesta: difende la legge-truffa, la fa così sua benché cucinata alla fine della passata legislatura dal PD e dal PDL, che hanno inteso l’istituto regionale come “cosa nostra”. E’ un pessimo segnale, anche perché da Pigliaru ci si aspettava il contraario: una nuova legge elettorale che cancelli le nefandezze di quella vigente. E’ questo in fondo ciò che vogliono quei 25 elettori democratici che hanno impugnato le elezioni regionali del febbraio scorso e la legge che le ha disciplinate.
La decisione del Tar Sardegna ha anche una valenza nazionale. Renzi sta approntando una legge elettorale molto simile al porcellum già annullato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1/1914. Un rinvio alla Corte delle legge regionale sarda dopo quella lombarda, può indurre a più miti consigli chi si propone di fare leggi elettorali pro domo sua. Oggi al Tar Sardegna si gioca una partita importante in difesa della democrazia sarda e del Paese.
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