Rosamaria Maggio
Nel Bel Paese si finanzia la Società Motorola con 11.000.000 di euro di fondi pubblici e la Regione Sicilia si accorge di aver corrisposto indebitamente 14.000.000 di euro ai medici di base per pazienti deceduti. Nel Bel Paese si tagliano 8.000.000.000 di euro di spesa per Istruzione, Università e Ricerca.
I finanziamenti alla Motorola hanno garantito 370 posti di lavoro destinati a ricercatori industriali. L’indebito siciliano ha consentito ai medici isolani di mantenere invariati i loro redditi. Gli 8.000.000.000 di minore spesa nell’istruzione e ricerca, taglieranno in 4 anni 131.900 posti di lavoro nella scuola e non verrà garantita la ricerca all’università. Quindi se la ragione dei tagli si basa su considerazioni di efficienza della spesa pubblica, abbiamo sicuramente altri settori nei quali cercare gli sprechi di cui il caso Motorola e la Regione Sicilia sono solo due dei tanti..
In ogni caso occorre dare qualche numero anche sulla spesa per istruzione in Italia per sfatare i luoghi comuni e le cattive informazioni che circolano in materia.
Dai dati ISTAT, MPI, MIUR, OCSE e Bilancio dello Stato emerge che dal ‘97 al 2007, la spesa per istruzione è scesa dal 3% al 2,8% del Pil, il numero di alunni è aumentato del 2% ed il numero dei docenti è diminuito nello stesso decennio del 2,3%. E.Barbieri, già consigliere del Ministro Fioroni nello scorsa legislatura, dimostra nel suo articolo dal titolo“Tagli e pretesti”, pubblicato sul sito del CIDI (www.cidi.it ), analizzando i dati del Bilancio del Ministero, che la spesa per il personale della P.I., è pari al 73,8% della spesa pubblica totale per istruzione e non al 97%.
Se poi vogliamo pensare che la ragione economica non sia la sola a giustificare la manovra, allora dobbiamo entrare nel merito dei provvedimenti che a loro volta dovrebbero essere diretti ad incidere su aspetti deficitari del sistema scuola.
E che cosa vediamo?
Vediamo che i nostri governanti, anziché fare una analisi seria dei problemi della scuola e dell’università italiana tale da giustificare, di fronte a debolezze e mancanza di qualità del sistema, dei cambiamenti, nel giro di poche settimane dal loro insediamento, intervengono pesantemente su tutto il segmento dell’istruzione con modalità che fanno inorridire esperti e addetti ai lavori, ma anche gli stessi economisti.
Dal punto di vista politico potrebbe essere giusto cambiare qualcosa che non funziona e ciò non riguarda sicuramente la scuola dell’infanzia e la scuola elementare.
Prendendo infatti in esame i risultati della indagine PIRLS-IEA, (Progress in International Reading Literacy Study – International Association for the Evaluation of Educational Achievement), sulla comprensione della lettura dei bambini di nove anni, resi pubblici il 28 novembre 2007 a Boston, (la Gelmini li avrà letti?,) risulta che fra i 40 paesi partecipanti, l’Italia si è collocata nella fascia alta con un punteggio di 551 (media internazionale 500).
Risultiamo cioè fra i primi 8 paesi al mondo e secondi a livello europeo dopo il Lussemburgo. Risulta altresì che le capacità dei nostri bambini sono migliorate rispetto alla precedente indagine del 2001. Infine la scuola dell’infanzia gioca un ruolo importante nella preparazione dei bambini alla scuola primaria. Infatti mentre la media internazionale dei bambini che frequentano la scuola dell’infanzia è pari al 45%, i bambini italiani sono circa il 70% che, considerati i risultati, deve essere considerato un indicatore importante.
Se poi i risultati successivi, con riguardo agli adolescenti (v. risultati Ocse –PISA), precipitano e nelle superiori ed all’università si registrano alti livelli di dispersione, occorrerà prestare attenzione a questi segmenti.
Ma anche su questo fronte i rimedi sembrano più gravi del malanno. Nella scuola media e superiore può pensarsi di migliorare la qualità e motivare i ragazzi allo studio riducendo il tempo scuola ed aumentando gli alunni per classe? In questa corsa alla privatizzazione dell’istruzione, si sviluppa l’idea che essa debba essere fornita a domanda, e che in fondo ogni famiglia o ragazzo debba essere lasciato libero di scegliere.
Lo studio costa fatica e non è una novità. La scuola deve essere una spazio importante della giornata del ragazzo laddove l’alternativa è la strada o la televisione o un Computer nella migliore delle ipotesi. Deve essere uno spazio di apprendimento anche ludico, ma anche uno spazio di responsabilità, di incontri e scambi amicali, ma anche di impegno e per far ciò ci vogliono scuole aperte tutti i giorni fino a sera, con mense, laboratori musicali, linguistici, scientifici, informatici e palestre.
Ci vogliono insegnanti motivati e preparati, che svolgano una professione con competenza e che abbiano tempo da dedicare ai singoli ragazzi. Come si può individualizzare il lavoro se le classi possono avere più di 30 studenti?? Per far questo ci voglio investimenti sia in strutture ed attrezzature che in risorse umane.
Forse ci basterebbero i denari dati a Motorola e quelli recuperati dai medici siciliani!!!
2 commenti
1 Cristian Ribichesu
20 Novembre 2008 - 07:53
La Scuola deve essere finanziata proprio per migliorare il gap socio-economico che l’Italia sta registrando rispetto agli altri paesi Ocse. Il miglioramento delle lezioni può passare solo attraverso una riduzione degli alunni per classe nelle situazioni urbane, al contempo aumentando il numero degli insegnanti che, differentemente da quanto comunicato da chi vuole difendere la legge Gelmini, non è superiore a quello degli altri paesi comparati. Mi permetto di dire che in Italia ci sono sprechi anche da altre parti, e proprio da poco in Parlamento è stata proposta la riduzione dei finanziamenti ai partiti, proposta bocciata. A livello locale, poi, vengono finanziati circa 30 milioni di euro all’anno per i laboratori extracurricolari, importanti ma non risolutivi nei confronti della dispersione scolastica. Bene, forse la Regione potrebbe usare parte di quei soldi e, in concertazione con lo Stato, proporre una stabilizzazione di un dato numero di docenti. Aggiungo dei dati.
Da la Repubblica del 2 gennaio 2008, un confronto internazionale del 2003, in rapporto alla spesa pubblica, su 9 punti percentuali della media Ocse l’Italia spendeva 7,4, meno di Francia, Inghilterra, Svezia, Finlandia, Stati Uniti, Canada, Giappone. Dal Dossier per la Scuola della rivista Tuttoscuola: dal 1990 al 2006 la spesa per l’istruzione sulla spesa pubblica si è ridotta dal 10,3% al 8,8%; 27.500 euro,tredicesima inclusa, è lo stipendio lordo di un insegnante di scuola secondaria suoeriore dopo 15 anni di insegnamento, 20.000 in meno rispetto al collega tedesco e 12.500 rispetto alla media Ocse (40.000 euro l’anno). Per la Sardegna, rispetto alla diminuzione della popolazione studentesca (nella “Nuova” la responsabile della Cgil scuola della provincia di Sassari, Caterina Mura, parlava di dati con un aumento degli studenti), bisognerebbe considerare la registrazione del 41% di dispersione scolastica, tra il 2001 e il 2006, da “La Stampa” del 29 novembre 2006, alunni che invece bisognerebbe “riportare” a scuola. Per sottolineare l’importanza delle classi non numerose, vi indico la lettura del programma americano STAR (Student-Teacher Achievement Ratio), studio lanciato nel 1985 dallo Stato del Tennessee (ma ne sono stati fatti atri anche in Europa).
Cordialmente
Cristian Ribichesu
2 Cristian Ribichesu
20 Novembre 2008 - 16:23
Vi invito alla lettura e visione di un testo e di un video attraverso questo link
http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/economia/costi_della_politica_la_casta.php
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