Andrea Pubusa
Antonio Porcella, già presidente del Tribunale di Cagliari, ci ha lasciato in silenzio nei giorni scorsi. La sua vita è stata funestata dalla morte prematura di due figli, che negli ultimi anni ne hanno fiaccato la pur forte fibra.
Antonio l’ho conosciuto, quando, ancora ragazzo, ho preso a frequentare il Palazzo di giustizia. Avevo iniziato la pratica forense con un prestigioso avvocato, morto prematuramente, Giampaolo Frau, alle cui cure mi aveva affidato il mio prof. e Maestro di diritto amministrativo, Franco Ledda, che - forse perché avevo radici contadine - mi aveva preso a benvolere. Ricordo sempre la prima volta in cui entrai nell’aula d’udienza dove c’era Antonio Porcella (1969-1970). Giampaolo Frau, indicandolo, mi disse: “quello al centro è un grande magistrato, ha scritto una monografia su La tutela dei legittimari, in cui sul tema sposta la frontiera della dottrina“. Rimasi colpito da questo elogio così largo in una persona molto misurata ed esigente. Ma non ebbi difficoltà ad avere la riprova della fondatezza di quel giudizio, leggendo il volume (Giuffrè, 1969), che tratta con finezza uno dei temi più impervi del diritto civile, su cui solo grandi giuristi hanno osato cimentarsi, pezzi da novanta come Mengoni, Cicu e Salis.
Quel libro avrebbe potuto aprirgli la via della cattedra, ma Antonio si sentiva magistrato e nonostante l’insegnamento di Diritto del lavoro tenuto per tanti anni ad Economia e Commercio, preferì, quando gli impegni al Palazzo di giustizia divennero più assorbenti, lasciare il prestigioso incarico universitario. Voleva dedicarsi interamente all’esercizio della giurisdizione.
Ad Economia, dove ho mosso i primi passi nella docenza sotto la guida di Umberto Allegretti, ho avuto modo di conoscerlo meglio e di apprezzarne non solo l’alta cultura giuridica, ma la profonda umanità e il grande equilibrio, ch’egli seppe sempre usare anche nelle vicende universitarie, pure allora non esenti da contrasti e da qualche vicenda non esaltante.
Al Palazzo di giustizia Porcella aveva un’indiscussa autorevolezza. Per capirci faceva il paio con Nuto Pilurzu. Era un punto di riferimento non solo per i magistrati progressisti, che organizzò in Magistratura democratica, ma per tutti, così come Nuto era un riferimento per tutto il Foro.
La imparzialità di Antonio era proverbiale. Ed anch’io ebbi ad averne una prova, seppure nell’immediato non piacevole. Una volta, quando presiedeva la Sezione del Lavoro del Tribunale toccò a lui decidere un appello molto delicato relativo ad un lavoratore che, a causa di una malattia cronica, aveva superato il c.d. periodo di comporto. Non nego che allora in cuor mio, da difensore del lavoratore, feci affidamento sul suo orientamento, sempre a favore del mondo del lavoro, per vincere la causa. Ma anche in quel caso prevalse l’applicazione corretta del diritto. Con una sentenza di 40 pagine fitte fitte, Antonio dimostrò che quel lavoratore non poteva essere riassunto e che i suoi problemi dovevano essere risolti non dall’azienda, ma dallo Stato con le sue istituzioni di sicurezza sociale.
Infine un altro ricordo che delinea la statura di Antonio. Quando nel nostro Paese esisteva ancora la sinistra ed io contavo qualcosa nel PCI sardo, dovendo scegliere le candidature per il Parlamento, in seno ad un gruppo di compagni venne avanzato in modo riservato il nome di Antonio. Allora il Partito comunista apriva molto all’esterno nel mondo delle professioni e dell’intellettualità, e volava alto nella scelta dei candidati, sopratutto se indipendenti di sinistra. E la candidatura di un personaggio come Porcella significava elezione certa. Mi proposi subito per un sondaggio informale. Non mi era difficile parlare con Antonio, passava tutte le mattine, puntuale come un orologio, davanti a casa mia, recandosi a piedi al Palazzo di giustizia. Così gli trasmisi il messaggio. Altri scalpitavano per essere destinatari di un siffatto invito (sull’oggi stendiamo un velo pietoso). Lui ringraziò per il pensiero, ma declinò fermamente e senza prender tempo l’offerta. Mi disse semplicemente che era e si sentiva magistrato, riteneva che la sua postazione d’impegno democratico fosse il Palazzo di giustizia, dove non solo con le sue sentenze, ma con la sua autorevole azione di magistrato democratico, senza inutili presenzialismi o ostentazioni, interveniva in tutte le questioni grandi e piccole attinenti alla giurisdizione. Come non vedere anche qui la consonanza con Nuto Pilurzu, anche lui per molti di noi naturale rappresentante di Cagliari in Parlamento, che preferì fare della difesa dei lavoratori nelle aule di giustizia il suo permanente impegno di comunista.
Alla fine degli anni ‘60 primi anni ‘70, ad un giovane, quale ero allora, che si affacciava alla vita forense capitava di incontrare personaggi come Antonio e Nuto. Questo fa comprendere più di ogni altro discorso l’ottimismo di quegli anni e le difficoltà di oggi. Ma la lezione di Antonio Porcella ci stimola ancora, nonostante le oscurità di questa fase storica, a non mollare nell’impegno in difesa della democrazia e della Costituzione.
1 commento
1 Cosimo Cucchiara
16 Aprile 2017 - 14:48
Un grande giurista, nei suoi scritti si ha modo di conoscerlo meglio e di apprezzarne l’alta cultura giuridica ormai rara in Italia
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