Tanto vale vivere

3 Novembre 2014
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Gianna Lai

Nonostante a Cagliari il sindaco e la sua amministrazione snobbino la cultura e mortifichino chi la fa, c’è chi non molla e va avanti con iniziative di pregio. Come la rappresentazione dell’altro giorno all’Alkestis di Rita Atzeri, per la regia di Marco Parodi.
Ecco una recensione di Gianna Lai.

Già nell’ingresso in sala, il palco si offre allo sguardo incuriosito dello spettatore, come se anche a noi fosse consentito di entrare in scena, e sedere al tavolino, e guardare la gente dal basso, e sostare sotto il riflettore che delimita il quadro. Fino a quando la luce, attenuandosi lentamente, si spegne quasi, per ridare movimento al sipario collocato sullo sfondo, e mettere in risalto la figura della protagonista, e i versi della poesia che l’accompagnano.
‘Tanto vale vivere’, Dorothy Parker e i suoi personaggi femminili al Teatro Alkestis, per la regia di Marco Parodi, produzione Il crogiuolo. Nel suono della parola, nell’espressione del volto, nel tono della voce, l’attrice Rita Atzeri si fa buona interprete dell’ironia del testo, e dà forza alla contrapposizione fra i personaggi, come fosse materiale interlocutore, lì presente, quel cinico e crudele amante: un divertente iniziale tentativo di resistenza, tale da non far del tutto prevedere la capitolazione finale della donna. E sembra dipanarsi sul filo della stessa storia tutta la serie degli episodi, la musica che non interrompe la continuità dei testi, la poesia a suggellare il passaggio da un personaggio all’altro. Grazie anche alla personalità dell’interprete, che si presta a cambiare atteggiamenti e forme della recitazione, se deve rappresentare l’ipocrita resa della donna al razzismo del marito, o gli stereotipi di un rapporto tra amiche, duramente segnato dalle solite ‘affettuose’ forme del condizionamento psicologico. O se deve rivolgersi direttamente al pubblico, quando alterna al dialogo col possibile interlocutore, l’ira sdegnata per la propria incapacità a dire di no ad un invito sgradito. Niente viene risparmiato nella denuncia di convenzioni e regole risibili, che resistono al cambiamento dei tempi, ed anche la tenera ragazza abituata a bere, può giocosamente dissimulare il suo disagio, lasciandosi tentare da un bicchierino, e poi da un altro bicchierino ancora, come fosse la prima volta.
In chiusura la storia di una telefonata che non arriva, e che fa intendere come i sentimenti delle persone possano essere messi a dura prova se manca la forza di poterli dominare. E ne emerge una quotidianità coinvolgente, un pensiero provocatorio, che induce a fare i conti con noi stessi: storie e narrazioni cui l’interpretazione teatrale, nell’impegno dell’attrice e del regista, dà nuova espressione, nuova vita, collocandole in una contemporaneità che sembra ancora sfuggire alla nostra comprensione.
 

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