Gianfranco Sabattini
Paul Bloom, psicologo di Yale, in un articolo apparso sulla “Boston Review”, ha dato il là ad un dibattito ispirato dall’origianria pubblicazione del saggio “Empaty”, di Roman Krznaric. Il dibattito è ridondato anche in Italia, come testimoniano i recenti articoli di Massimo Recalcati e di Giancarlo Bosetti, apparsi su “la Repubblica” di domenica 5 ottobre. Malgrado il diverso orientamento culturale dei due autori, i due articoli mettono in dubbio le virtù dell’empatia: più critico Recalcati, in “Critica della ragione empatica”; più possibilista e meno tranchant Bosetti, in “I rischi politici dell’altruismo non razionale”.
Ciò che delle posizioni di Recalcati e Bosetti, rispetto all’empatia, è poco condivisibile è il fatto che le loro valutazioni sono formulate senza la necessaria distinzione della sfera dei rapporti intersoggettivi, cui le valutazioni devono essere correttamente ricondotte; i loro giudizi sull’empatia sono espressi in termini così astratti da non consentire di capire se sono riferiti alla “sfera del sociale”, oppure alla “sfera del privato” dei rapporti umani. La mancata distinzione delle coordinate dei rapporti consente a Recalcati di considerare l’empatia come un sentimento esprimente “la capacità di una persona di comprendere e di far risuonare dentro di sé i pensieri e i processi psichici di un’altra persona”; e a Bosetti di considerarla un sentimento che spinge emotivamente l’uomo ad “avvicinarsi ai propri simili, a preferire persone di bell’aspetto, a sviluppare forme di altruismo che si rivolgono superficialmente a quello che di più colpisce attraverso i media”, o, in altre parole, al significato che all’empatia viene attribuito e propagandato da un’opinione pubblica plasmata e strutturata dai mass-media.
Se ha senso parlare dell’empatia come di un sentimento emotivo che spinge l’uomo a identificarsi con l’altro nell’ambito della “sfera dei rapporti privati”, è fuorviante, se non errato, estenderlo anche alla “sfera dei rapporti pubblici”. All’interno di quest’ultima area dei rapporti interindividuali, l’empatia cessa di essere un sentimento più o meno emotivo, sino a risultare ridotto, spesso, a ideologia vincolante sul piano etico del comportamento umano; ciò perché, all’interno dell’area dei rapporti pubblici, l’empatia ha un fondamento obiettivo, in quanto consente di percepire stati di bisogno che, pur avvertiti a livello soggettivo, hanno un fondamento reale ed intersoggettivo. Nell’ambito della sfera pubblica, infatti, l’empatia prefigura una “condizione minima comune” che, se si pretende di proiettarla nell’ambito dei rapporti privati, può trasformarsi in un sentimento irrazionale, con molti “rischi politici”.
La natura oggettiva e intersoggettiva dell’empatia nell’ambito della sfera pubblica non deriva tanto dalla pretesa di un soggetto di identificarsi negli stati esistenziali di un altro, ma dalla presenza di rapporti diretti di reciprocità tra soggetti che si trovano a vivere la loro esistenza privata all’interno di un “contenitore istituzionale comune”, rapporti, questi, che attengono alle modalità con cui sono percepiti gli stati di bisogno comuni o sociali, quali quelli connessi, ad esempio, al bisogno di equità distributiva, alla formazione educativo-professionale o alla cura della salute individuale. Questi stati di bisogno se non soddisfatti in termini empatici, ridondano negativamente all’interno della sfera dei rapporti privati, a causa del fatto che i singoli, tutti i singoli, non sono messi su un piano di parità nello sviluppare le loro specificità personali, rispetto alle quali un eccesso di comportamento simpatetico sarebbe disfunzionale.
Per rendersi conto della diversa natura del ruolo dell’empatia all’interno delle due “sfere” dei rapporti intersoggettivi, occorre considerare che ogni soggetto, in quanto facente parte di un insieme più ampio, si trova nella condizione di percepire stati di bisogno soggettivi identici a quelli dei restanti componenti ul gruppo. In questo caso si ha perciò la percezione di uno “stato di bisogno indivisibile”, comune a una collettività di soggetti, percepito e dunque soddisfatto col comune concorso di tutti, in quanto ciascuno avverte non solo il proprio stato di bisogno, ma anche quello degli altri, in quanto stato di bisogno comune percepito da tutti. L’intercognizione degli stati di bisogno di tutti i componenti la collettività origina, infatti, una “comunione di stati di bisogno”, la quale trova il suo fondamento nei rapporti diretti e di reciprocità tra tutti i componenti la comunità.
Quanto sin qui detto, con riferimento alla sfera pubblica dei rapporti intersoggettivi, non può essere riferito anche alla sfera dei rapporti privati, poiché all’interno di quest’ultima il sentimento empatico può “oscurare” del tutto l’autonomia valutativa di ogni soggetto, riguardo alla libertà di soddisfare incondizionatamente i propri stati di bisogno. Perché ciò non avvenga, occorre che le modalità con cui gli stati di bisogno soggettivi sono soddisfatti non siano totalmente estranee ai componenti, in quanto singoli, la comunità, perché unici interessati ad orientare ed a controllare le decisioni riguardanti la soddisfazione dei propri stati di bisogno privati; pena l’omologazione di tutti ad un “unum” che corrisponde, come avviene nei regimi autoritari, alla cancellazione di ogni specifica differenza esistente tra i singoli soggetti.
La democrazia, perciò, non è “anti-empatica per definizione”, come afferma Recalcati; tutto dipende dal tipo dei rapporti intesoggettivi che si considerano. Solo nella sfera dei rapporti privati le differenze, per definizione, non sono abolite; anzi, esse sono presidiate dal fatto che, invece, per definizione, le differenze sono abolite nella sfera dei rapporti sociali, in quanto è la soddisfazione dei comuni stati di bisogno a preservare le differenze “come dato inassimilabile” nella sfera dei rapporti privati; in questo modo, all’interno di quest’ultima sfera, “l’altro resta l’altro”, evitando così che si realizzi tra i soggetti l’intimità alienante della quale parla Recalcati. Le differenze individuali, perciò, nella sfera del privato possono essere garantite e presidiate, solo se sono assicurate dalla realizzazione delle condizioni necessarie: ovvero, la soddisfazione omogenea di tutti gli stati di bisogno sociali avvertiti empaticamente dai componenti l’intera comunità.
L’empatia, intesa correttamente, può peggiorare, come afferma Bosetti, il funzionamento delle democrazie; non tanto perché a chi governa la brevità del mandato elettorale impedisce “di occuparsi dei consensi che una scelta di oggi avrà in un futuro lontano”; quanto, piuttosto, perché chi governa pretende di soddisfare gli stati di bisogno privati mancando di valutare empaticamente ciò che sarebbe necessario realizzare a livello della sfera dei rapporti pubblici. Nel caso dell’esempio di Bosetti, chi governa spesso sbaglia, non perché compie le sue scelte in funzione della cattura del consenso elettorale espresso sulla base di valutazioni soggettive, quanto perché, mancando di distinguere le due sfere dei rapporti intersoggettivi, non valuta empaticamente gli stati di bisogno connessi all’esigenza di assicurare condizioni di equità intragenerazionale ed intergenerazionale, strumentali alla salvaguardia delle differenze individuali nella sfera del privato.
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