Partiti senza popolo: verso repubbliche oligarchiche?

21 Ottobre 2014
1 Commento


  Pietro Maurandi

L’impianto della Costituzione repubblicana vede nelle forze politiche organizzate uno strumento fondamentale per l’esercizio della democrazia, una forma di mediazione fra le istituzioni che governano e il popolo che viene governato. Per lungo tempo in Italia i partiti sono stati realmente il tramite fra istituzioni e popolo. Grandi o piccoli, recenti o antichi, si incaricavano di raccogliere le istanze dei cittadini e di farle confluire in programmi organici, che esprimevano un’idea della società e in definitiva una propria concezione del mondo.
Naturalmente i partiti avevano molti difetti, ciononostante erano effettivamente strumenti non solo di raccolta del consenso ma di elaborazione di idee e di rappresentanza di interessi diffusi, con cui le istituzioni erano chiamate a misurarsi.
La vita interna dei partiti era improntata a una democrazia sostanziale. Anche il più prestigioso dirigente a volte era costretto a confrontarsi con le posizioni del più oscuro militante. Si confrontavano gruppi e persone anche aspramente, a volte su problemi di scarso peso, ma in generale su opzioni importanti per la vita delle comunità.
C’era molta ritualità in quei meccanismi, non mancavano manovre, intrighi, mascalzonate, gruppi di potere, ma complessivamente il senso del confronto su idee e programmi era diffuso e funzionava da collante fra i militanti e da punto di riferimento per gli elettori. Il centralismo democratico, teorizzato dai comunisti e praticato da tutti, funzionava quando il gruppo dirigente era capace di fare sintesi, cioè di far entrare idee, proposte, interessi in un quadro coerente con la visione del mondo del partito. A volte prendevano delle cantonate pazzesche, ma erano anche quelle frutto di un confronto autentico a vari livelli, di esperienze maturate in diversi ambienti sociali, a stretto contatto con i problemi dei cittadini. I gruppi dirigenti e i leader emergevano da questo coacervo di formazione e di selezione e diventavano la classe politica del paese.
Insomma, i partiti erano fatti di popolo, cioè di cittadini che, pur essendo di parte, esprimevano programmi e visioni del mondo portati al vaglio della lotta e del confronto democratico. Era un modo concreto per esercitare la sovranità che secondo la Costituzione “appartiene al popolo”.
Oggi le cose stanno in modo radicalmente diverso. Non voglio occuparmi qui del perché e del come i partiti sono diventati altra cosa, ma di quello che sono diventati.
E’ sempre più difficile identificare idee e programmi di un partito che durino più di qualche anno. Anche le grandi opzioni ideali, quelle che identificano la destra e la sinistra per esempio, diventano piuttosto fumose ed evanescenti. I partiti, quelli vecchi e quelli giovani, sono diventati scatole vuote. Non che manchino i programmi, per quanto caduchi e instabili. Qualcuno i programmi li elabora e li scrive, manca il confronto interno su idee e opzioni, che diventino terreno di lotta e di azione. Insomma manca la partecipazione e la passione del popolo.
Per questo sorgono e si diffondono organizzazioni e movimenti che si mobilitano su questioni specifiche, nella convinzione che attraverso queste forme e non attraverso i partiti gli interessi in campo possono essere meglio difesi e portati all’attenzione delle istituzioni.
I dirigenti dei partiti non sono più espressione di idee e interessi collettivi ma gruppi di riferimento del leader, per sostenerlo o per contrastarlo. Insomma amici o avversari del leader, il partito diventa il partito del leader. Così abbiamo il partito di Renzi, quello di Berlusconi, di Grillo, di Vendola. I gruppi dirigenti non esistono, sono ridotti a componenti dello staff del leader. Aiutati da una legge elettorale indecente, sono i leader che decidono chi sarà eletto nelle assemblee legislative, e inevitabilmente lo decidono sulla base del tasso di fedeltà dimostrato. Insomma nei partiti senza popolo i leader sono diventati i padroni. Quando, per una ragione o per l’altra il leader entra in crisi, il partito si frantuma e si disfa come neve al sole.
Questa situazione non può non avere effetti sulla vita politica e sull’attività delle istituzioni. I governi, nei loro programmi, nella loro formazione e nella loro attività, sono il risultato di accordi fra i leader, di un equilibrio fra essi raggiunto, che vengono trasmessi ad apparati che si incaricano di diffonderli e di sostenerli. Le alleanze non sono il frutto di scelte definite sulla base di un accordo programmatico organico, ma nascono da un patto, più o meno esplicito, fra i leader, dai contenuti fumosi e di breve termine. Le istituzioni allora perdono vigore e diventano la mera cassa di risonanza di accordi e di obiettivi dei leader, limitandosi a recepirne gli effetti.
Insomma non solo i partiti hanno cambiato natura, è l’impianto della democrazia repubblicana che è saltato, pronto a diventare un’altra cosa. Partiti senza popolo sono forse la premessa per repubbliche oligarchiche.

1 commento

  • 1 Aldo Lobina
    21 Ottobre 2014 - 08:02

    Ma le repubbliche oligarchiche non sono democratiche: la rappresentanza, i poteri di rappresentanza sono la sostanza del mandato popolare. Quando esso è affievolito, quando il potere politico passa nelle mani di uno solo o di pochi finisce la democrazia appunto e con essa la res publica.
    Mi fa paura sentir parlare del Partito della Nazione. E’ il verso che Renzi vorrebbe dare al PD e con esso all’Italia. Che ha conosciuto nella tragica storia del secolo passato un altro partito della nazione, quello delle camicie nere!
    Se anche nei nostri comuni i sistemi di elezione di sindaco e giunta, i “premi di maggioranza”, il funzionamento stesso dei consigli comunali, chiamati solo a ratificare decisioni oligarchiche, spingono di fatto verso una deriva priva di una dialettica ragionata, non meraviglia affatto che il Parlamento sia il simulacro di se stesso. Non meraviglia affatto che paesi e Paese senza progetti vadano essi stessi alla deriva.
    Allora si capisce come i partiti, i sindacati, i movimenti in questa logica perversa siano un intralcio. Meglio il partito della nazione, sole che sorge libero e giocondo.
    L’unica vera riforma sarebbe quella di restituire dignità di rappresentanza a tutte le voci pensanti, nella speranza che dalla riflessione, dallo studio e dalla proposta compiuta possa rinascere uno Stato democratico, a partire dalle realtà più piccole, quelle comunali.
    Questa sarebbe una bella rivoluzione: visto che siamo andati a privilegiare sistemi leaderistici, insensatamente maggioritari , e che abbiamo un parlamento eletto non dai cittadini - come vuole la Costituzione – ma dai partiti. Che si sono ridotti a macchine elettorali per assecondare il capo di turno.

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