L’impresa, il lavoro e il cuneo dell’art. 18

12 Ottobre 2014
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L’annuncio dello scio­pero del 25 Otto­bre richiede di chia­rire il signi­fi­cato dell’art. 18, su cui anche l’articolo di Gianni Fer­rara, pur pre­ge­vole per la parte eco­no­mica, lascia un «vuoto». Resta infatti ine­spresso il ruolo della magi­stra­tura, garante della con­ti­nuità del diritto di lavo­rare, come respon­sa­bi­lità sociale fatta valere dal «terzo potere» dello stato, con­tro il sistema delle imprese e il dispo­ti­smo padro­nale in fab­brica. Che si vuole ripri­sti­nare revi­sio­nando la Costi­tu­zione e i suoi valori sociali, pro­prio abo­lendo la cen­tra­lità della magi­stra­tura, su cui si tace.

Il signi­fi­cato dell’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori è nella natura ed ori­gine della norma: le lotte ope­raie «libe­rando» la Costi­tu­zione da 20 anni di «blocco», impo­sto dai con­ser­va­tori, per­mi­sero di attuarla, in tutti i campi (lavoro, sanità, Regioni, ecc.). Espres­sione, quindi, «di potere» e «di lotta».

Enfa­tiz­zarlo come espres­sione di «civiltà» o «diritti», impe­di­sce ai lavo­ra­tori di pren­dere coscienza stret­ta­mente di classe, che l’articolo 18 – non a caso datato al 1970 — è stato intro­dotto per espri­mere la con­ver­genza dei prin­cipi sociali, su cui si fonda l’autonomia sin­da­cale, col ruolo poli­tico demo­cra­tico del legislatore.

Volto a coniu­gare i prin­cipi sociali e poli­tici che carat­te­riz­zano la Costi­tu­zione ita­liana con i suoi Prin­cipi Fon­da­men­tali. Sic­ché, è a causa della sua revi­sione che si tenta di rile­git­ti­mare anche for­mal­mente il potere dispo­tico dell’impresa, supe­rato dai valori costituzionali.

Infatti, in que­sta fase domi­nata dall’equivoco con­cetto di «glo­ba­liz­za­zione» dell’economia, si vuol far per­dere di vista alla classe ope­raia che l’impresa rimane comun­que un isti­tuto di potere a livello innan­zi­tutto nazio­nale. Come dimo­stra (anche) la pre­oc­cu­pa­zione della stessa Con­fin­du­stria e dei suoi alleati di abo­lire l’articolo 18.

E ciò pro­prio per­ché con tale arti­colo, il potere ordi­na­to­rio della magi­stra­tura di rimuo­vere i licen­zia­menti ille­git­timi, è lo stru­mento di pro­lun­ga­mento del potere sin­da­cale al livello poli­tico, mediante la con­nes­sione tra due poteri sta­tali, come il potere legi­sla­tivo (Legge 300 del 70, S. d. Lavo­ra­tori) e il potere giu­ri­sdi­zio­nale di ordi­nare all’impresa il rein­te­gro del lavo­ra­tore e di con­dan­narla al risar­ci­mento del danno ille­git­ti­ma­mente da lui subito.

Come si vede, l’articolo 18 inter­fe­ri­sce, in una pro­spet­tiva demo­cra­tica oggi arre­sta­tasi, sia con il diritto dell’impresa sia con il diritto del lavoro e sia con il diritto sin­da­cale: cosa che sfugge anche ad Alleva, alla Cgil e alla stessa Fiom, impe­gnate in una difesa dei «diritti» dei lavo­ra­tori che è resa vana nel (e dal) misco­no­scere che l’articolo 18 coin­volge i poteri dello stato, del sin­da­cato e dell’impresa, per pie­gare il mer­cato – a favore dei lavo­ra­tori come corpo sociale e nei diritti che ne deri­vano – mediante il rico­no­sci­mento isti­tu­zio­nale della forza di pres­sione con­giunta dei poteri demo­cra­tici dello Stato e del sindacato.

Occorre quindi che non solo i par­titi ma anche il sin­da­cato – e qui il pen­siero va a quella parte di sin­da­cato che mostra una mag­giore cri­ti­cità e volontà di lotta — ponga la mas­sima atten­zione al «rove­scia­mento» in corso della forma di governo par­la­men­tare e ad una legge elet­to­rale a favore del pro­por­zio­nale inte­grale, se si vuole che la rap­pre­sen­tanza sin­da­cale possa ancora e come all’epoca dell’emanazione dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, svol­gere il ruolo asse­gna­to­gli dall’articolo 39 della Costituzione.

* Movi­mento nazio­nale anti­fa­sci­sta di difesa e rilan­cio della Costituzione

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