Gianfranco Sabattini
L’antropologo di Harvard Michael Herzfeld, intervistato di recente da Marino Niola per “la Repubblica” dei giorni scorsi (Il familismo è morale, il Sud non se ne vergogni), ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato reazioni non del tutto consone ai fini dell’intendimento del suo discorso se riferito, ad esempio, all’area del Mezzogiorno d’Italia; infatti, senza mezzi termini, egli ha fatto tabula rasa di alcune tesi classiche ed espresso giudizi di valore sulla cultura meridionale da destare non poche perplessità. Così l’intervista, più che favorire la comprensione dei problemi delle aree tradizionali sul piano culturale e stagnanti su quello economico del tipo di quella dell’Italia meridionale, offre, al contrario, un esempio di uso politico e non conoscitivo di una scienza sociale qual è l’antropologia.
Herzfeld, alla domanda su cosa sia per lui il “familismo amorale”, ha risposto che di per sé il familismo esprime solo un sistema etico; nel senso che il “troppo fortunato” libro di Edward Banfield degli anni Cinquanta, ha avuto rispetto alle problematiche meridionali un “approccio da missionario protestante”, giudicando la società meridionale sulla base di criteri ad essa esterni. Bisogna ricordare che “familismo amorale” è un’espressione con cui molti italiani hanno familiarizzato alla fine degli anni Cinquanta, dopo che Banfield, sociologo americano, aveva pubblicato un saggio intitolato “Basi morali di una società arretrata”: uno studio sul campo dei comportamenti e dei valori condivisi delle popolazioni del Mezzogiorno che, secondo il saggio, spiegavano gran parte dell’arretratezza culturale e della stagnazione economica dell’intera area.
La risposta offerta da Herzfeld desta perplessità in quanto nella aree tradizionali e statiche, come il Mezzogiorno del dopoguerra e per certi versi anche in quello dei nostri giorni, i soggetti sono motivati a conservarsi all’interno di un “equilibrio di povertà”, cioè di una condizione che per John Kenneth Galbraith indica una prevalenza nelle aree arretrate di motivazioni culturali e valori condivisi diversi da quelli propri di aree più moderne ed economicamente avanzate. In queste ultime, a differenza di quanto accade nelle aree più tradizionali, i soggetti sono motivati ad accettare il mutamento culturale ed economico, utilizzando tutto ciò che il contesto sociale rende loro disponibile a tale scopo.
Poiché, nelle aree moderne ed economicamente avanzate, le particolari motivazioni culturali ed i valori condivisi sono alla base dell’accettazione del mutamento, si è ritenuto, acriticamente, che le stesse motivazioni dovessero essere presenti, come calate dal cielo, anche all’interno dei contesti più tradizionali, per la loro modernizzazione. In realtà, nelle aree tradizionali, le motivazioni culturali ed i valori condivisi dei soggetti in esse insistenti rifiutano gli esiti della relazione circolare virtuosa tra “variabili esistenziali” e “variabili sociali” propria delle aree moderne ed economicamente avanzate. All’interno delle aree tradizionali, gli standard esistenziali, prossimi o livellati alla soglia della pura e semplice sussistenza, impediscono la condivisione di qualsiasi forma di propensione al cambiamento.
Ciò accade perché nelle aree arretrate, un qualsiasi allontanamento dall’equilibrio di povertà espone il contesto sociale ad una ingiustificata instabilità, per cui quando questa si manifesta dalla struttura stessa della comunità tradizionale insorgono e si impongono “forze sociali” che impediscono all’instabilità di perpetuarsi e che ripropongono invece il mantenimento dell’equilibrio di povertà. E’ in questo schema logico il motivo di fondo per cui forme di applicazione a scopi conoscitivi del familismo à la Banfield comportano un errore di metodo; ciò perché l’applicazione si basa su una valutazione delle motivazioni e dei comportamenti propri dei contesti sociali tradizionali sulla base di paradigmi che rispetto ad essi sono del tutto esogeni.
Tenuto conto di queste considerazioni, il familismo amorale di Banfield, quindi, non consente tanto la formulazione di un giudizio morale negativo in astratto dei comportamenti e dei valori condivisi della popolazione di un determinato contesto tradizionale; semmai, la messa in evidenza del fatto che le motivazioni culturali ed i valori condivisi di tale contesto non sono meno razionali di quelli prevalenti all’interno dei contesti culturalmente ed economicamente avanzati; nel senso che, sia le motivazioni culturali, che i valori condivisi non sono meno morali di quelli prevalenti all’interno dei contesti sociali avanzati, quali quelli scelti come paradigmi di riferimento da Banfield.
Tuttavia, pur accettando la critica portata all’interpretazione del familismo amorale di Banfield dall’antropologo Herzfeld, non bisogna pensare che l’interpretazione data da quest’ultimo a proposito del familismo amorale sia più consona sul piano conoscitivo di quella del primo. Come la valutazione di Banfield pecca della presunzione della superiorità assoluta delle motivazioni culturali e dei valori condivisi propri dei contesti moderni, quella di Herzfeld pecca, a sua volta, di relativismo assoluto; sino a rifiutare qualsiasi uso di “parametri astratti” con cui esprimere una valutazione dell’appropriatezza delle tradizioni delle comunità locali afflitte da una mancata propensione al cambiamento e all’innovazione. Secondo Herzfeld, quanto quei parametri esprimono in negativo per le condizioni in cui versano i contesti tradizionali, a livello locale costituiscono la base di norme sociali condivise. Una simile affermazione, dal punto di vista di una possibile comprensione della dinamica comportamentale e valoriale che sarebbe necessaria per promuovere un processo di modernizzazione dei contesti tradizionali, comporta però che l’”assolutismo valoriale” di Banfield non sia meno significativo del “relativismo valoriale” di Herzfeld.
In altri termini, se la prospettiva di Banfield comporta una valutazione negativa dell’area del Mezzogiorno per via dei paradigmi estranei all’area da lui assunti in termini assoluti, quella di Herzfeld presenta i limiti conoscitivi riconducibili al relativismo assoluto dei suoi paradigmi. Entrambe le prospettive, perciò, appaiono inidonee a cogliere i problemi dei contesti sociali tradizionali come quelli del Mezzogiorno d’Italia: perché li interpretano in termini statici e non in termini dinamici come invece dovrebbe essere.
Ai limiti di entrambe le prospettive (quella di Banfield e quella di Herzfeld) è riconducibile il fallimento delle politiche pubbliche attuate per favorire la modernizzazione e la crescita del Mezzogiorno, perché entrambe le prospettive sono state inidonee ad indicare una possibile e valida “via di fuga” del Mezzogiorno dal suo equilibrio di povertà”. Cosa che, forse, stato possibile se la prospettiva di Banfiled fosse stata espressione di “paradigmi valutativi più flessibili” e quella di Herzfeld di “paradigmi valutativi meno relativi”.
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22 Dicembre 2015 - 15:00
Codesto articolo è oggettivamente redatto nel migliore
dei modi, così come l’intero sito (https://www.democraziaoggi.it) in generale.
Sono un vostro lettore, non mollate.
un post da spulciare è presente a questo link
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