Ruolo e funzione della Patria e dello Stato nella prospettiva mazziniana

15 Settembre 2014
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Gianfranco Sabattini

Di recente è comparso in libreria un breve scritto di Leone Ginzburg, antifascista militante nelle file del Partito d’Azione, morto in carcere per le torture subite nel 1944, per la sua attività di resistente al fascismo; lo scritto, il cui titolo è “La tradizione del Risorgimento”, raccoglie in poche pagine, come sottolinea nella “Prefazione” Maurizio Viroli, lo spirito che ha animato il Risorgimento nella prospettiva predicata da Giuseppe Mazzini. Il patriota genovese è il protagonista risorgimentale che Ginzburg apprezza più di ogni altro, non solo come “profeta”, ma anche come “guida” politica. Mazzini ha, sì, educato gli italiani ad un patriottismo fondato su un concetto di patria; questa, però, non esprime un’entità territoriale, ma un contenuto “concretamente ideale”.
Secondo Mazzini, il popolo, tutto il popolo, divenuto cosciente con la conquistata della sua autonomia e della sua libertà, è il sovrano assoluto di una forma di Stato di tipo repubblicano; questo è, nello stesso tempo, nazione e patria, ovvero espressione politica di un popolo indipendente da ogni forma di dominio, unito da una comune visione del mondo e da un comune sentimento posto a fondamento dell’uguaglianza e della solidarietà tra tutti i componenti della comunità nazionale
Da ciò Mazzini ha derivato l’idea che i diritti civili e politici, quali il diritto al lavoro e all’educazione, potessero essere garantiti solo dalla propria patria. Questa, per il pensatore genovese, non implicava alcun significato esclusivo e nazionalistico; essa costituiva piuttosto un presidio a sostegno della libertà e dignità dell’uomo e dell’intera umanità. Con ciò, il patriottismo di Mazzini non riconosceva valore politico all’unità e all’omogeneità etnica di un popolo; lo riconosceva invece alla lealtà alle regole e al modo di vita delle singole nazionalità, ognuna con la propria storia e cultura.
Al riguardo, Mazzini ha affermato che chi considera la parola patria “sinonimo di un gretto geloso ostile nazionalismo“ commette un errore irreparabile; la patria, per Mazzini e per tutti quelli che condividevano il suo ”insegnamento” incoraggiava l’impegno a difendere la libertà degli altri popoli: “Dovunque voi siate - era l’ammonimento che Mazzini rivolgeva ai patrioti – in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed amore, non a voi solamente, ma alla vostra Paria”.
Sul piano politico, sottolinea Ginzburg, Mazzini, pur fermissimo avversario dell’opportunismo, “ha avuto una singolare attitudine ad isolare e mettere a fuoco, di volta in volta, il problema più importante e più urgente da risolvere”, stabilendo momentanee alleanze, ma conservandosi sempre fedele ai suoi valori tenuti in serbo per l’avvenire; Ginzburg ricorda come il grande patriota non abbia esitato “a inibirsi deliberatamente, a varie riprese, l’apostolato repubblicano, perché lo stato dell’opinione pubblica del nostro paese e la situazione diplomatica rendevano prossimamente attuabile l’unità italiana sotto la bandiera monarchica della casa Savoia”. Mazzini, infatti, si è sempre tenuto fedele, malgrado fosse costretto a momentanee alleanze con chi sosteneva idee politiche opposte alle sue, agli ideali repubblicani; lo Stato repubblicano-democratico era l’istituzione con cui la libertà di ogni singolo soggetto poteva essere garantita e salvaguardata, subordinata però al fine collettivo del “progresso” dell’intera comunità, da realizzarsi con la partecipazione di tutti al governo del bene comune. Il progresso non consisteva solo nell’acquisizione di miglioramenti materialistici a livello di ogni singolo soggetto e il suo manifestarsi non era legato alla sola soddisfazione dei bisogni esistenziali individuali, ma era anche strettamente connesso all’importanza dell’equità distributiva, dell’istruzione e dell’educazione, quali strumenti di liberazione dei componenti l’intera comunità.
Mazzini ha anticipato, dunque, il dibattito moderno attorno alla non appropriatezza della considerazione esclusiva dei parametri economici quali promotori del progresso di una comunità, disgiunti dalla realizzazione di un’equa distribuzione dei suoi esiti. Il patriota genovese non riduceva l’equità a semplice attività ridistribuiva; egli sosteneva che, in una “comunità armoniosa”, una distribuzione degli esiti del progresso poteva essere considerata equa e strumentale all’ulteriore progresso, solo quando fossero stati avvantaggiati coloro che stavano peggio. In questa comunità armoniosa, tutti i soggetti che la componevano necessitavano anche dell’empatia, ovvero di una sensibilità che avesse permesso loro di pensarsi nelle veci degli altri. Se i singoli componenti di una comunità armoniosa fossero stati privi di questa sensibilità, lo Stato repubblicano e democratico, inteso come partecipazione di tutti al governo del bene comune, sarebbe stato destinato a rimanere solo una mera aspirazione.
La rimozione di ogni forma di disuguaglianza sociale e di subalternità era posta da Mazzini alla base dell’organizzazione repubblicana e democratica dello Stato; tutto il resto seguiva necessariamente: i diritti non potevano essere separati dai doveri, i singoli individui ed i gruppi sociali dalla comunità di appartenenza, la libertà dei singoli dalla libertà dell’intera comunità. Si trattava di un’organizzazione della comunità che includeva le istanze di fondo per il superamento dei limiti delle disparità sociali, economiche e politiche proprie della comunità capitalista.
Fedele alla sua interpretazione del repubblicanesimo democratico, Mazzini riteneva che il progresso dei cittadini non potesse crescere sul tronco dell’omogeneità etnica e culturale; egli estendeva questa concezione pluralistica dal livello delle relazioni tra le nazioni ed i popoli a quella tra tutti i gruppi sociali organizzati all’interno di ogni nazione, dove la lealtà nei confronti delle regole originate dalla partecipazione politica democratica dei singoli al governo del bene comune fondava la cittadinanza repubblicana, basata sulla valorizzazione di un pluralismo che poteva essere competitivo, senza essere contrappositivo e distruttivo dell’uguaglianza politica e sociale.
Il ricordo degli ideali mazziniani offerto dalla riedizione del libro di Ginzburg induce a sperare che chi attualmente ci governa abbia il tempo e la diligenza di interiorizzarlo, nella speranza che l’Italia possa uscire dalle condizioni in cui ora versa. Il nostro Paese, infatti, può uscire dallo stato di crisi, non solo economica, se gli italiani riusciranno – come osserva Maurizio Viroli – “ad amare le idee di uomini come Leone Ginzburg e a seguirne l’esempio di intransigente devozione agli ideali di libertà e di giustizia”, così come li aveva predicati Giuseppe Mazzini. Sebbene non si debba fare eccessivo affidamento sul “pensiero” e sull’”azione” dei nostri governanti, sarà bene che chi crede nei valori ricordati da Ginzburg non si rassegni a “gettare il guanto”, ma rinforzi il suo impegno a ricuperare l’Italia dei primi decenni del dopoguerra, quell’Italia che il neoliberismo e lo sfrenato individualismo hanno concorso a distruggere, sotto le mentite pretese di volerla modernizzare.
 

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