Insediamenti o pace

7 Settembre 2014
Nessun commento


 

Una delle vicende più dolorose dell’estate è connessa alla ripresa della guerra guerreggiata di Israele contro i palestinesi. Ecco un interessante editoriale apparso sul Manifesto di lunedì scorso sulla politica israeliana. 

Qual­cuno pen­sava a una nuova poli­tica israe­liana? Sor­presa! Il governo mili­tare della Cisgior­da­nia informa che per ordine di Tel Aviv, nella regione di Gush Etzion, non lon­tano da Geru­sa­lemme, 400 ettari saranno dichia­rati terre di pro­prietà nazio­nale e diven­te­ranno la base per una nuova colo­nia, un nuovo osta­colo al pro­cesso di pace.

I media indi­cano la dimen­sione dell’appropriazione, ma il pro­blema vero non è quello: le terre con­fi­scate sono impor­tanti per­ché con­tri­bui­ranno alla con­ti­nuità ter­ri­to­riale degli inse­dia­menti di Gush Etzion, al nord di Hebron, una con­ti­nuità che assi­cu­re­rebbe il col­le­ga­mento con Geru­sa­lemme. In altri ter­mini, l’annessione di que­ste terre è un passo dra­stico, desti­nato a iden­ti­fi­care la pos­si­bile mappa dell’annessione di terre pale­sti­nesi a Israele, se per caso si potesse arri­vare a un accordo di pace sulla base della ben poco chiara for­mula «due popoli due Stati».

Lo abbiamo già scritto tante volte, ma è oppor­tuno sot­to­li­nearlo ancora: a par­tire dal 1967, ogni nuova abi­ta­zione, ogni nuova colo­nia nei ter­ri­tori occu­pati è stata una chiara mani­fe­sta­zione dell’intenzione di creare una nuova mappa, basata su un’altra forma di annes­sione dei ter­ri­tori occu­pati quell’anno. A poco a poco, la destra ha allar­gato l’obiettivo a un altro più riso­luto: ogni nuovo inse­dia­mento deve ren­dere impos­si­bile una pace basata sul ritiro dai ter­ri­tori che sareb­bero desti­nati agli ebrei per dise­gno divino..
Pochi giorni fa, il primo mini­stro Neta­nyahu ha par­lato di «nuovo oriz­zonte poli­tico», e non pochi – anche in Europa – hanno pen­sato che final­mente la lezione della pro­ble­ma­tica guerra che Israele sta con­du­cendo da 50 anni fosse stata com­presa. Ma molti dimen­ti­cano che Neta­nyahu potrebbe vin­cere le olim­piadi mon­diali delle dichia­ra­zioni pro­pa­gan­di­sti­che. Quando il pre­mier israe­liano parla della pace, quello che ha in testa non ha niente a che vedere con una pace vera. Quando parla di «due Stati», in realtà parla di Israele e di una serie di can­toni deboli, sotto il con­trollo di Israele. Quando parla di nuovi oriz­zonti, ha in testa un’improbabile alleanza fra le forze più retro­grade dell’area. Nei sogni di Neta­nyahu, Ara­bia sau­dita e gruppi isla­mici costi­tui­scono già la grande alleanza – con diversi paesi arabi – che legit­tima l’esistenza di Israele per­met­tendo allo Stato ebraico di per­pe­tuare l’oppressione dei pale­sti­nesi e la loro ridu­zione a pro­blema mar­gi­nale, secondario.

Il momento scelto per l’annuncio della deci­sione è un altro frutto della guerra. In una prima fase, il primo mini­stro israe­liano godeva di un enorme appog­gio popo­lare; nei primi giorni della crisi, quasi il 90% degli israe­liani appro­vava il suo modo di gestire la que­stione. La destra era con­vinta che fosse arri­vato il momento di far pre­ci­pi­tare il pro­cesso, impe­dire l’unità pale­sti­nese e distrug­gere Hamas; gli pseudo-moderati erano con­vinti che la guerra fosse ine­vi­ta­bile per colpa di Hamas ed erano felici che Neta­nyahu non si volesse impe­la­gare in un’operazione di terra che poteva avere ter­ri­bili con­se­guenze. Poi l’euforia nazio­nale è sce­mata; dopo 50 giorni, tanto san­gue ver­sato non è valso un trionfo netto. Così adesso l’azione del povero pre­mier è appro­vata solo dal 35% degli israe­liani.
Qual è il nemico del grande poli­tico? In primo luogo, il suo stesso par­tito, che in mag­gio­ranza si trova alla sua destra. E poi il mini­stro degli esteri Liber­man e il mini­stro dell’economia Benet, i quali durante la guerra attac­ca­vano quasi ogni giorno Neta­nyahu avan­zando richie­ste e pro­po­ste così estre­mi­ste da appa­rire più deli­ranti della stessa poli­tica uffi­ciale israeliana.

Il pro­blema per Neta­nyahu non è come tro­vare la via del dia­logo con i pale­sti­nesi, ma come ricon­qui­stare la lea­der­ship della destra, come essere più estre­mi­sta degli estre­mi­sti. La guerra, come e per­ché è ini­ziata? L’abbiamo già scritto: l’unità pale­sti­nese era un vero peri­colo, non per­ché Hamas voglia la distru­zione dello Stato di Israele, ma per­ché senza unità non ci può essere una vera pace. Neta­nyahu ha biso­gno di una Hamas estre­mi­sta, e non può accet­tare l’unità pale­sti­nese per­ché l’estrema destra di Israele non vuole la pace.

Il pre­mier fa parte di una coa­li­zione nazional-fondamentalista. I suoi alleati sono raz­zi­sti e fon­da­men­ta­li­sti che vogliono l’annessione, non la pace. Se è neces­sa­ria la con­fi­sca delle terre, lo faranno. Se è neces­sa­rio espel­lere e mas­sa­crare, lo faranno. Invece di stare ad ascol­tare i saggi slo­gan del governo israe­liano, invece di arren­dersi al timore nei con­fronti del fon­da­men­ta­li­smo dell’Isis, come si sta facendo in Europa, è tempo di met­tere insieme le forze per fre­nare il pro­cesso, per fre­nare gli errori gros­so­lani di un governo che spinge gli abi­tanti di Israele e quelli di tutta la regione verso una situa­zione sem­pre più tra­gica.
Sarà così pos­si­bile fre­nare anche un fon­da­men­ta­li­smo isla­mico bar­baro che in gran parte è crea­zione dell’Occidente.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento