Andrea Pubusa
Mentre mi accingo a leggere il giornale con le notizie della devastante recessione che attanaglia l’Italia e la Sardegna ecco che squilla il telefonino di Gianna. E’ Luisella, una sua vecchia compagna di scuola, sempre simpatica e sorridente. Intuisco che la invita a qualcosa e mi allarmo. Is callonis! Manco a dirlo, l’ennesima sagra della pecora, col solito menù: malloreddus, pecora bollita, formaggio e vino di “proprietà”, ossia un po’ spunto. Sì perché secondo l’antica credenza, cui aderiva convintamente anche mio padre, se il vino ad agosto non è un po’ spunto, contiene bisolfito ed altri intrugli, così da sconsigliarne il consumo. Farfuglio timidamente qualcosa per giustificare un possibile rifiuto. “La pecora dell’altra sagra mi ha lasciato un po’ di acidità di stomaco…poi guidare di notte, alla mia età, in strade prive di segnaletica verticale e orizzontale… è pericoloso“. I miei argomenti non colgono nel segno e così accenno ad un certo programma di rock bands sulcitane a S. Anna Arresi. Ma tutto è vano. Eccomi nella tavoltata n. 5, due isolati dietro la bellissima chiesa di S. Maria di Monserrato di Tratalias, mirabile monumento di arte romanica del XIII secolo, sede vescovile, poi trasferita ad Iglesias a causa delle incursioni saracene.
Come temevo, sono intrappolato in una tavolata fitta fitta di una cinquantina di persone, con molte file dietro ed altre davanti e ai lati. Per me, amante delle grandi praterie, è una situazione angosciosa, un patema claustrofobico. Per di più a fianco non ho i miei amici. La sorte però mi ha fatto incontrare un gruppo di simpatici paesani, che, come un trofeo, esibiscono con orgoglio una mega anguria, da consumare a fine pasto. Ed allora per ingannare l’attesa la butto a parlare di agricoltura. Apprendo così - ma già lo sapevo - che a Tratalias ci sono terreni feritilissimi, per di più irrigui a seguito della creazione di una diga sul rio Mannu. Mi dicono che cinque o sei famiglie avevano in mano tutto. Ma poi, proprio dopo la costruzione della diga, hanno mollato. I figli si sono addottorati e si sono dedicati ad altro. Solo una famiglia pratica ancora con successo l’agricoltura e l’allevamento. Poi con la diga il paese è stato trasferito. Infiltrazioni si è detto. Ma son balle. Solo una piccola parte del paese era investita del problema. Tant’è che molte case sono state ristruttrate dal Comune e non hanno infiltrazioni. Hanno così, almeno in parte e con grandi vuoti, ricreato pezzi del vecchio borgo. Peppino, un amico, mi mostra la casa padronale dov’è nato. “Vorrei ricomprarla, ma il Comune ha detto niet. Per ora non se ne fa nulla. Adesso nel vecchio borgo solo improbabili attività artigiane e turistiche. Poi si vedrà”- “E le infiltrazioni?” chiedo. “Macché infiltrazioni. Fanfani, Segni e Andreotti decisero di trasferire tre paesi, per far girare una bella massa di soldi e rinsaldare un po’ di potere democristiano nel basso Sulcis, come contraltare di Carbonia ed Iglesias, saldamente in mano alle sinistre“.
La mega anguria troneggia sul tavolo, in attesa de is malloreddus, che ritardano. Facciamo ora parlando di vecchie storie di ordinaria politica democristiana d’altri tempi, l’età dell’oro!, quando si spendeva e si spandeva. E così ricordiamo che Palmas, Villarios e Tratalias sono stati spostati per via di infiltrazioni inesistenti o quasi. Chiunque avesse un rudere nella vecchia bidda aveva diritto ad una casa nel nuovo paese (in realtà un anonimo quartiere di case popolari), senza tante verifiche. Narrano di un notabile DC della zona che si è fatto una casa in ciascuno dei tre nuovi paesi procurandosi una catapecchia nei vecchi. Interessante, ma is malloreddus si fanno attendere. ed allora, abbozzo un timido tentativo d’inversione del menù. Perché, in attesa, non facciamo fuori l’anguria? Del resto, osservo, secondo una accreditata teoria dietologica, meglio la frutta prima per riempire lo stomaco e non so per quale altro beneficio. Ma i miei commensali son contadini, appartengono alla vecchia scuola. Sorridono e glissano. No l’anguria alla fine, prima malloreddus, pecora e formaggio. Non so più che dire, abbiamo passato in rassegna la storia antica di Tratalias, quando era sede vescovile e quella moderna dell’egemonia democristiana. Non so che fare. Mi vien voglia di spostarmi nel vicino ristorante, ma sono incastrato. Poi Gianna mollerà la sua vecchia amica, con la quale, in quel preciso istante, parla amenamente della maestra e delle amichette della scuola elementare? No, meglio sopportare e aspettare.
Mentre penso alle possibili vie di fuga, ecco che arrivano is malloreddus conditi col brodo della pecora. I ragazzi dello staff (sì staff non comitato o simili, staff è più figo, fa più efficiente e professionale) portano i piatti velocemente, ma siamo tanti e gli ultimi si lamentano a vedere gli altri mangiare. Vorrebbero un sincronismo, che lo staff non riesce ad assicurare (questo disguido si capirebbe se fosse “comitato”, ma essendo “staff”, questi inconvenienti non dovrebbero esistere!). Tutti commentano: i miei vicini dicono che is malloreddus son buoni per via del grasso del brodo della pecora, loro sono d’estrazione contadina; Anna, cittadina e intellettuale, invece sente un’insopportabile pesantezza per via del grasso. Insomma, i cittadini sono per il magro, i contadini per il grasso. Io, manco a dirlo, sto coi campesinos.
Is malloreddus, buoni o no, finiscono in un battibaleno, ma la pecora non arriva. I miei vicini di tavolo si lamentano. Un giovane dello staff, per allentare la tensione, dice ridendo che le pecore sono ancora al pascolo nei campi vicini, ma nessuno ride. Rilancio l’idea dell’anguria, ma farla fuori a metà pasto proprio non c’azzecca. Riprendiamo il discorso dell’antica sede vescovile, delle incursioni saracene e delle grandi manovre di Segni, Fanfani e Andresotti. Is callonis! Ho anche un forte mal di gamba e sono visibilmente dolorante nel fisico e, data la situazione, nello spirito. E così Peppino viene e mi invita al post-sagra, una cosa intima a casa sua, un assaggio di casu marzu e buon carignano del luogo. Ringrazio, ma, l’idea della fuga, mi suggerisce prodenza. “Vediamo, sai guidare a tarda notte, dopo aver bevuto…con queste strade senza segnaletica…“. Dopo un’ora di cazzeggio, con lo staff immobile, si riparte con la pecora, spezzattino, morbido per alcuni, con molte ossa e poca polpa per altri. Grassa al punto giusto per i campesinos troppo per i cives. Io sto coi primi, ovviamente.
Mentre le opposte correnti di pensiero sulla pecora si fronteggiano, ecco che irrompe un giovane ad animarci. Canta a squarciagola “volare” del Mimmo nazionale con decibel alle stelle. Non si può più parlare. Vabbè che si cazzeggiava. Io, che da sempre sono per la capra, illustravo ai miei vicini le sublimi qualità di questo splendido animale: mirabile da vivo, quando s’inerpica superbo nelle rocce, e a tavola con quel selvatico penetrato nelle carni per la pastura di macchia e non di prato. Ma l’animatore c’invita a sollevare le mani e a batterle, cantando. Operazione impossibile con le mani impegnate a tenere l’osso della pecora, mentre, con stile pastorale, lo si spolpa con cura certosina (rectius: canina). Ma quello continua a gridare e gli amplificatori a sparare decibel all’impazzata. Io, sia per il mal di gamba, sia all’idea di aspettare un’altra ora per il formaggio a parlare dell’antica sede vescovile, delle scorribande saracene e delle folli spese democristiane, faccio uno scatto, lancio un generale saluto alla bella compagnia e salto via dalla tavolata n. 5. Scappo. Avrei tollerato un ballo sardo, ma l’animatore, tipo villaggio turistico per scemi, non lo sopporto. No, proprio no. I campesinos, miei vicini coi quali avevo simpaticamente legato, cercano di trattenermi: “fra un po’ apriamo l’anguria“. Ma la mia fuga per le stradine senza segnaletica del basso Sulcis è inarrestabile e si ferma solo quando mi butto nello sdraio a guardare la luna piena sul mare a P. Pino. L’incubo è finito. La sagra della vitella a Piscinas l’ho già scansata. Spero in qualche serata culturale, teatro, poesia, musica. Ma il jazz a S. Anna è annullato (se ne riparlerà a Natale) e a Is Pigas incombe la sagra de sa figu morisca… Is callonis!
1 commento
1 Andrea Murru
8 Settembre 2014 - 07:40
Mette d’accordo campesinos e cives l’agnello cotto allo spiedo, anche senza “su lardu stiddau”; lo si digerisce bene nonostante Fanfani, Andreotti e Segni. In alternativa, il capretto, sempre cotto allo spiedo che in tanti ritengono migliore rispetto all’agnello.
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