La Grande guerra tra opposizione mancata e nuova coscienza

8 Agosto 2014
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Giuseppe Caboni 

 

 

 

Ecco la seconda “puntata” del saggio di Giuseppe Caboni “Noi e la guerra, sulle orme di Lussu (la prima parte è stata pubblicata il 6 u.s.).

 

 

La mancata opposizione

 

Un capitolo importante delle analisi che ancora devono essere sviluppate è quello delle ragioni della mancata opposizione alla guerra da parte delle forze socialiste e democratiche.

È vero che il massimo avversario della guerra, il grande socialista francese, Jaurès, venne assassinato, e che in Germania Rosa Luxembrurg e gli altri dirigenti spartachisti vennero perseguitati e incarcerati. Ma la realtà grave è che nei tre convegni internazionali dei socialisti europei di quegli anni non si elaborò una linea di opposizione al conflitto forte e decisiva.
E Lenin - unico dirigente di primo piano che partecipò agli incontri - sostenne, con una linea che ebbe poi positivi sviluppi solo in Russia, che dalla guerra sarebbe nata la risoluzione proletaria, e quindi aveva un senso relativo il contrastarla.
Eppure l’Europa era ad un bivio storico, come quello ben descritto da Borges in un suo racconto, che infatti viene richiamato da molti storici; ed entrambe le direzioni erano possibili, percorribili: i socialdemocratici tedeschi avevano prevalso alle elezioni, divenendo il primo partito del Paese; l’Europa avrebbe potuto passare dalla “bella epoque” ad un periodo di prosperità e relativa pace sociale e fra i popoli. Ma gli stessi socialisti tedeschi scelsero la via della “convenienza” nazionale, votarono i crediti di guerra e qualcuno finì per gridare “deutschland, deutschland über alles!!!!

 

Ma nasce una coscienza nuova

 

Ma l’esperienza della guerra fu anche occasione è causa di un formidabile salto di coscienza per grandi masse di proletari, piccoli borghesi, intellettuali, su tutti i fronti, europei e internazionali.
I contraccolpi politici che ne scaturirono furono enormi: in direzioni opposte, come casi estremi, vi fu la rivoluzione sovietica guidata da Lenin e la radicalizzazione a destra dell’autocrazia borghese spagnola che sarà alla base “dell’alzamiento” e della guerra civile degli anni ‘30.
Lo capì Unamunno, spedito come corrispondente di guerra dalla Spagna centrale sul fronte italiano: parlerà dell’estraneità alla guerra dei nostri proletari in divisa; e ne descriverà gli esiti evidenziandone le forti analogie con la psicologia di massa inglese nei confronti del fenomeno bellico.
Ma la nostra attenzione deve concentrarsi soprattutto sul grande salto di coscienza dei sardi negli anni della guerra, i sardi quasi tutti operanti nella Brigata Sassari.
Emilio Lussu è stato il maggior protagonista e interprete di questa vicenda.
Il suo interventismo giovanile, diceva, è stato interpretato male. Intanto, sosteneva, “noi non eravamo tesi a definire conquiste territoriali e d’altro genere: ma piuttosto a combattere per la giustizia e la libertà, contro l’autoritarismo e l’autocrazia”.
Ma addirittura, continuava, il nostro interventismo giovanile scaturiva anche da cause banali, come il fatto che il nostro professore di diritto amministrativo, Forti, che non sopportavano, era neutralista.
Ma soprattutto, come scriverà a Salvemini, alla prima concreta esperienza di guerra, alla vista delle morti di massa, delle distruzioni immani, dell’incompetenza e dell’irresponsabilità di molti generali, maturò una radicale rivolta morale e politica contro la guerra e le classi che la scatenavano.
“ I 1000 contadini ungheresi che trovammo morti in una trincea da noi conquistata erano poveri lavoratori come noi: da qui ebbe origine la mia prima coscienza socialista e internazionalista”.
La vicenda della Brigata Sassari fu quindi anche un grande laboratorio politico, da cui i soldati e i loro ufficiali più avveduti maturarono istanze di democrazia e riscatto sociale. Classismo e internazionalismo in formazione. Necessità di scalzare le classi privilegiate e oppressive al ritorno nei propri villaggi, diritto alla terra e ai diritti civili.

 

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