Gianfranco Sabattini
All’annuale Assemblea Ordinaria dei Partecipanti, che si è tenuta a Roma il 30 maggio scorso, il Governatore del massimo istituto di credito italiano, Ignazio Visco, ha letto le tradizionali “Considerazioni finali” riguardanti l’attività dell’istituzione da lui governata, ma anche l’andamento dell’economia nazionale rispetto all’area europea e mondiale, senza mancare di formulare alcune preoccupazioni, con l’indice rivolto “timidamente” alla classe politica italiana, perché siano adottate misure di politica economica orientate a sostenere i labili segnali di ripresa della crescita e dell’occupazione, con provvedimenti idonei a migliorare la produttività del sistema-Paese.
La parte più importante delle “Considerazioni” di Visco concernono, da un lato, le innovazioni occorse nell’assetto proprietario della Banca d’Italia, che ha riguardato l’ammodernamento della sua organizzazione e dei sistemi gestionali, nonché il contenimento dei costi operativi; dall’altro, le iniziative assunte dalla stessa Banca d’Italia per rafforzare il finanziamento dell’economia reale da parte del sistema del credito nazionale.
La riforma dell’assetto proprietario della Banca è stata realizzata conformemente al “modello di partecipazione dell’industria finanziaria”, comune a molte altre Banche centrali del mondo. Essa ha consentito il superamento dei tratti organizzativi anacronistici consolidatisi nel corso dei decenni, ma anche di porre rimedio a un deficit organizzativo che, già da tempo, la Banca d’Italia avrebbe dovuto compiere in conformità a specifiche direttive europee. Inoltre, la riforma ha sancito in modo definitivo l’impossibilità, per i partecipanti al controllo della Banca, di influire sull’esercizio delle sue funzioni istituzionali, ha reso più trasparente il processo di distribuzione degli utili ed ha chiarito, univocamente, i diritti economici e patrimoniali degli azionisti, escludendoli da ogni diritto sulle riserve valutarie e auree, in considerazione della loro funzione pubblica. Il valore del capitale delle Banca è stato rivalutato dai 300 milioni di lire, fissati nel 1936, ai 7,5 miliardi di euro ed il potenziamento della consistenza patrimoniale è stato così realizzato senza alcun onere per la finanza pubblica.
La riforma ha evitato indebiti trasferimenti di ricchezza a vantaggio degli azionisti; questi ultimi, ora godono del solo dividendo a valere sull’utile netto, fino a un massimo del 6% del capitale. I vantaggi crescenti nel tempo, resi possibili dai loro diritti sulle riserve statutarie, sono stati così sostituiti da dividendi soggetti a un limite massimo fisso. Inoltre, il pericolo che i processi di concentrazione intervenuti nella ristrutturazione di alcuni azionisti bancari, che alimentavano il convincimento di possibili ingerenze nell’esercizio delle funzioni istituzionali delle Banca d’Italia, è stato neutralizzato dalla riforma con l’ampliamento della “platea dei potenziali sottoscrittori del capitale”: ponendo un tetto del 3% al possesso di quote e “misure incisive” per promuovere e favorire la ridistribuzione delle partecipazioni, così da ricondurle nel tempo entro quel limite.
Riguardo alla riforma dei sistemi di gestione e al contenimento dei costi operativi, la Banca centrale ha raggiunto l’obiettivo sottoponendo a revisione le componenti della spesa e migliorando l’efficienza, raggiungendo l’ulteriore obiettivo di migliorare la qualità dei servizi e la professionalità del personale. La riduzione dei costi di gestione e il miglioramento dell’efficienza sono stati ottenuti nonostante l’ampliamento dei compiti e delle responsabilità connessi, per un verso, alla collaborazione dei Governatori di tutte le Banche Centrali dell’eurosistema con la Banca Centrale Europea; per un altro verso, con l’allargamento della politica di vigilanza che dovrà essere organizzata e svolta, a seguito della costituzione dell’Unione bancaria europea, sulle banche ordinarie, identificate come “rilevanti”, cioè in grado di influire con la loro attività gestionale sull’andamento dell’economia reale, sulla base di criteri specifici, tra i quali il più importante è stato individuato nella dimensione. Per l’Italia, la Banca centrale prevede che “rilevanti” possano essere tutti i quindici intermediari attualmente sottoposti all’esercizio di valutazione approfondita dei bilanci.
Riguardo, infine, alle iniziative della stessa Banca d’Italia per rafforzare il finanziamento dell’economia reale, il Governatore ha sottolineato che la politica monetaria nell’area dell’euro “ha di fronte sfide in parte diverse da quelle affrontate negli ultimi due anni”; l’attività economica è tornata a crescere nel 2013, ma solo in alcuni Paesi dell’eurozona e a ritmi molto diseguali. Nel breve periodo, ha precisato il Governatore, la Banca potrà solo contribuire a sostenere la domanda interna, ma il ritorno a una crescita maggiore e stabile richiederà misure di politica economica a livello nazionale ed europeo, sottolineando comunque che la riduzione del rapporto tra debito e prodotto resta la “sfida ineludibile” per il nostro Paese, in considerazione del fatto che crescita economica ed equilibrio del bilancio pubblico non possono che essere perseguiti congiuntamente.
Il miglioramento del debito pubblico e l’abbassamento della sua incidenza sul prodotto interno lordo saranno tanto più necessari se si considera che il credito complessivo all’economia italiana è ancora in calo; le restrizioni dell’offerta di credito hanno colpito e continuano a colpire in misura maggiore le piccole e medie imprese, mentre il principale ostacolo al miglioramento dell’offerta di finanziamenti è tutt’ora costituito dall’”elevato rischio di credito”, considerato che i prestiti bancari deteriorati, al netto delle svalutazioni già effettuate, sono pari al 10% di quelli complessivi, mentre le sofferenze ammontano al 4%. Per contenere il rischio di credito, secondo Visco, occorre un allargamento delle cartolarizzazioni e il superamento dei tratti strutturali del sistema produttivo italiano, quali la piccola dimensione e la natura familiare della proprietà. Negli ultimi tempi, tuttavia, ha osservato il Governatore, il flusso delle sofferenze ha iniziato a ridursi; perché tale tendenza posa conservarsi, le banche per liberare le risorse necessarie al finanziamento dell’economia reale dovranno ridurre la consistenza delle partite deteriorate.
Il Governatore, ha concluso la lettura delle sue “Considerazioni” osservando che nel governo della moneta l’obiettivo centrale è la stabilità dei prezzi, in quanto la politica monetaria non può di per sé determinare i “sentieri di crescita”; ma le condizioni monetarie stabili, che ne rappresentano il presupposto, sia la BCE che il suo Consiglio direttivo si sono impegnati a garantirle.
Importanti e giuste sono tutte le “Considerazioni” del Governatore; ma cosa dire di quanto sta invece emergendo sui mercati finanziari al di là e al di qua dell’Atlantico? Ovvero, com’è possibile pensare di poter contribuire all’incremento della crescita con la sola stabilità monetaria se, a livello di politica economica (non solo in Italia), manca una politica industriale credibile? Non è casuale che, in mancanza di tale politica, la maggiore liquidità con cui le più importanti Banche centrali del mondo hanno inteso di contribuire a superare la crisi recente abbia solo stimolato attività di investimento in “prodotti finanziari” che, alla lunga, anziché creare nuova ricchezza e nuova occupazione, creeranno solo bolle speculative e favoriranno il riproporsi della crisi e dell’instabilità sociale che inevitabilmente renderà problematica l’attività politica dei Paesi che ne subiranno gli esiti negativi.
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