Don Pietro Borrotzu
Riportiamo ampi stralci dell’intervento svolto a Gesturi, in occasione della marcia per la pace, da Don Borrotzu, che rilancia i temi della Carta per il lavoro di Zuri
La povertà affligge un enorme numero di popoli della terra e crea gravi disagi e condizionamenti anche ad una elevata percentuale di abitanti della nostra isola.
Il G8 è la sigla inventata per indicare i grandi della terra e i loro appuntamenti. Il prossimo anno la Sardegna, a La Maddalena, ospiterà uno di questi eventi: i grandi si incontreranno in una regione, dove oltre 300.000 abitanti vivono in condizione di grave povertà e dove 95.000 famiglie non riescono ad onorare quotidianamente le loro responsabilità di garantire ai loro membri il cibo necessario e una vita dignitosa.
Lor signori fanno il G8 dei grandi? Noi vogliamo fare il “G8 dei poveri”. I nomi e le espressioni servono per comunicare e per capirsi e può anche andare bene per individuare l’evento. Ma in realtà il G8 è solo quello dei “grandi”. Noi abbiamo pensato ad un’altra espressione, che ponga invece chiare e nette distinzioni. Il nostro è il P1000, dove la lettera “P” indica già la condizione dei piccoli e dei poveri, senza ulteriori specificazioni; dove la cifra “1000” indica il numero enorme degli individui e dei popoli che soffrono gravi disagi a causa della povertà, a fronte di un piccolo numero che detiene e sfrutta in modo egoistico beni e risorse, che appartengono a tutti, e dove la cifra “1000” indica ancora l’enormità del problema e la sua tendenza ad aggravarsi.
Con i nostri ragionamenti e le iniziative abbiamo sottolineato, e ancora oggi lo diciamo, che il “lavoro è la chiave essenziale della questione sociale”, in Sardegna e nel mondo. E’ il lavoro che crea le condizioni per una crescita, uno sviluppo, un riscatto personale, familiare e sociale. Per la Pace.
Al contrario le difficoltà di accesso all’esperienza lavorativa, la perdita del lavoro, la sua precarietà creano disuguaglianze, ingiustizie, sfruttamento, disagio sociale.
Al riguardo, abbiamo ancora ben presenti le parole del Papa nella sua recente Visita Pastorale alla Sardegna, soprattutto quelle rivolte ai giovani: “…voi costituite il futuro pieno di speranza di questa Regione. Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli. Non ignoro, tuttavia, anche le difficoltà e i problemi che incontrate.
Penso, ad esempio, alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dall’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali, prima ancora che sociali”.
Sono concetti che più volte abbiamo espresso e siamo grati al Papa di averli ricordati a tutti.
Il Papa ha citato una nostra espressione: “meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”. Purtroppo qui spesso mancano entrambi: il pane e la giustizia. Anzi osiamo dire che se ci fosse la giustizia ci sarebbe anche il pane.
Nella nostra iniziativa abbiamo voluto inserire anche elementi legati ad un’idea di sviluppo sostenibile, cioè rispettoso dell’uomo e della natura; della natura, per poter sviluppare l’attenzione all’uomo. Rispetto ad una mentalità consumistica che punta a costruire, consumare, distruggere e lasciare segni di degrado e di impoverimento, Gesturi, come già Zuri nel settembre scorso, rappresenta un percorso alternativo: si può ricostruire la propria abitazione, la propria storia, il tessuto sociale, valorizzando e sostenendo le risorse locali, le piccole storie, ricche di compostezza e di dignità. Perché questo sia possibile è necessario far funzionare il principio della sussidiarietà, attraverso cui le caratteristiche e le capacità dei piccoli siano sollecitate, sostenute e liberate.
Tutto questo deve avvenire in un rapporto di collaborazione, che è suggerito dall’interdipendenza tra gli individui e i popoli.
Nel nostro paese e anche in Sardegna si fa sempre più urgente la riflessione sulle modalità e la qualità dell’accoglienza da riservare agli “stranieri”.
E’ evidente che nella nostra società è diventato difficile aprire concretamente la porta della propria casa al forestiero che bussa.
Noi qui riuniti vogliamo misurarci in qualcosa di più impegnativo: percorrere le vie dell’accoglienza e dell’ascolto fino ad arrivare all’integrazione e alla concittadinanza. “Non vogliamo essere immigrati per sempre”, dicono alcuni nostri amici che ormai parlano la lingua italiana meglio di noi. E non possiamo dargli torto. La nostra manifestazione mette in evidenza anche la povertà di essere considerati senza patria nel proprio paese di abitazione, di lavoro, o addirittura di nascita.
Insieme con il premio Nobel Shirin Ebadi vogliamo pensare sognando. Sogniamo una società giusta, equa, solidale, pacifica, ma vogliamo che il sogno non resti tale.
Metteremo in campo tutte le energie per sollecitare i governi e i grandi della terra ad attuare politiche di inclusione e di solidarietà, di pace e a combattere ogni forma di povertà, di esclusione, di ingiustizia, di guerra.
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