La libertà contraddetta

31 Luglio 2014
1 Commento


Alessandro Pace 

Da La Repubblica del 15 luglio 2014 un appunto di un autorevole costituzionalista sulla libertà di coscienza dei membri del Parlamento in relazione al richiamo alla “disciplina” di Renzi e dei suoi pretoriani.  
   

Leggo su Repubblica che oggi Matteo Renzi si presenterà all’assemblea del gruppo dei senatori del Pd, per un discorso “da coach”. «Poi — annuncia il vice capogruppo Giorgio Tonini — ci sarà un voto, e sarà impegnativo per tutti. Perché esiste l’articolo 67 della Costituzione sulla libertà dei parlamentari dai vincoli di mandato, ma esiste anche la coerenza dei comportamenti. Ognuno si assumerà le proprie responsabilità». «Nessuna minaccia di espulsione, ribadisce Tonini, ma chi accusa Renzi di portare avanti un progetto autoritario ed eversivo si troverà a fare i conti con le sue stesse parole».
Eppure circa un mese fa, quando vennero sostituiti d’autorità, nella commissione Affari costituzionali del Senato, i senatori Mauro e Mineo, fu garantito loro e agli altri 14 “dissidenti” che, per i lavori in aula, diversamente da quelli in commissione, l’art. 67 sarebbe stato rispettato. Una tesi, questa, evidentemente contraddittoria, perché se l’art. 67 deve essere rispettato quando c’è in gioco la libertà di coscienza del parlamentare, il rispetto dovrebbe essere dovuto non solo in aula ma anche in commissione.
A quel ragionamento contraddittorio, ora si aggiunge quello parimenti contraddittorio del senatore Tonini, secondo il quale la libertà dei parlamentari dai vincoli di mandato è bensì garantita dall’articolo 67 della Costituzione, ma i parlamentari risponderanno per i loro comportamenti.
Un modo di ragionare alquanto datato, che si riscontra infatti in talune dichiarazioni costituzionali a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, le quali, se da un lato riconoscevano la libertà di parola e di stampa, dall’altro ne consentivano però la punizione dei pretesi abusi. Ma le proclamazioni di libertà delle Costituzioni della metà del secolo XX — come la nostra — hanno un ben diverso spessore e una indiscutibile maggiore efficacia.
In forza delle loro proclamazioni, dal riconoscimento di un diritto segue infatti l’impossibilità giuridica di conseguenze pregiudizievoli, siano esse penali, civili e disciplinari.
Ho già in altra sede sottolineato come la presentazione, da parte del Governo, del disegno di legge costituzionale di riforma del Senato e dei rapporti tra Stato e Regioni sia stato un errore, perché ha finito per ricondurre alla logica dell’indirizzo politico di maggioranza la stessa revisione costituzionale, che risponde invece ad una logica ben diversa e assai più alta.
Ebbene, le conseguenze pregiudizievoli di questa errata impostazione sono ora sotto i nostri occhi. Si giunge a minacciare i senatori Pd (a dover “fare i conti” con le loro stesse parole) se, per difendere i valori della vigente Costituzione, dovessero dissentire dalla riforma Renzi. Con il che, per il senatore Tonini, la riforma Renzi, ancorché tuttora approvata solo in commissione, varrebbe di più della Costituzione italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
Duole constatare che, mentre si fanno avanti i garanti della futura riforma, tacciono i garanti della Costituzione vigente.

 

1 commento

  • 1 Aldo Lobina
    31 Luglio 2014 - 09:00

    Il mandato dei parlamentari è svincolato dai partiti di provenienza, dal programma e addirittura dagli elettori. I nostri padri costituenti fecero questa scelta, comune anche ad altre costituzioni , considerando il parlamento come “assemblea deliberante di una nazione , con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”.
    I figli di una legge elettorale porcellina sono solo figli putativi del popolo. Generati dal porcellum, al porcellum debbono rispondere: si chiami Renzi o Berlusconi.
    C’è una schizofrenia di rappresentanza che la Corte Costituzionale aveva cercato di sanare. A dispetto della stessa ecco il patto del Nazareno e le decisioni che riguardano la stessa Corte Costituzionale e la più alta carica dello Stato, sottomessa, di fatto, nei disegni eversivi della Carta a chi in un dato momento “vince” le lezioni, pur non rappresentando la maggioranza dei cittadini elettori.
    Addomesticare i poteri dello Stato alle malsane pretese di un governo che pretende subordinazione delle Camere ai suoi progetti è cosa di gravità inaudita.
    C’è una notevole confusione di ruoli. In materia costituzionale non spetterebbe al governo indirizzare riforme di revisione che debbono vedere invece il parlamento pilotare il destino delle stesse per un approdo sano. Il governo governi nei limiti della Costituzione, senza pretendere di cambiarla ad ogni Renzi di turno.
    Ma la nostra democrazia è malata. Il parlamento sotto scacco, il senato in agonia: Renzi e Berlusconi la punta bifida dell’iceberg.

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