Emilio Spanu
Obama ha vinto. E’ lui il nuovo presidente della più grande potenza mondiale. Il presidente numero 44, il primo presidente di origini afroamericane. E questa è la notizia più rilevante, oltre ad essere il motivo per cui qualcuno, sottovalutando la straordinaria crescita culturale e di mentalità del paese, riteneva non fosse possibile che Obama venisse eletto presidente degli Stati Uniti. In queste ultime settimane, nonostante sondaggi che non lasciavano spazio a dubbi, son stati tirati fuori casi del passato, il famigerato Bradley-effect su tutti, ritenendo possibile che nel 2008 la gente intervistata telefonicamente dai sondaggisti si vergognasse di dire che non avrebbe votato Obama, per poi scegliere McCain nella cabina elettorale. Era difficile crederlo, e infatti si è dimostrata una teoria totalmente sbagliata.
Gli americani hanno scelto senza alcun dubbio Barack Obama quale loro nuovo presidente, con un distacco di grandi elettori quasi pari a quello che si verificò nell’elezione tra Bill Clinton e Bob Dole nel 1996. A livello di numero di votanti, in questa elezione, nonostante si pensasse ci sarebbero state cifre da record, non si è andati molto al di là rispetto al 2004. Bush contro Kerry vinse con 3 milioni di voti di scarto, 62 a 59, Obama vince con un margine più ampio, 64 a 56, ma il totale dei votanti rimane comunque invariato. Quello che cambia è chiaramente il target di persone che si è recato alle urne. Bush vinse nel 2004 grazie a una straordinaria mobilitazione dell’elettorato più conservatore, furono gli evangelici a fare in modo che Bush rimanesse alla Casa bianca, nonostante la straordinaria mobilitazione democratica per un candidato certo non eccezionale, come è stato John Kerry. Quest’anno la destra conservatrice non si è mobilitata, John McCain , prima di diventare il candidato del Great Old Party alla presidenza, ha infatti più volte attaccato la destra religiosa e le sue posizioni sui temi etici, nonostante molte marce indietro elettorali, sono sempre state piuttosto vicine a quelle liberal. Per questo motivo si è resa necessaria la scelta di un candidato vice-presidente vicino alle posizioni della destra conservatrice. Il problema è stato che Sarah Palin, dopo un qualche entusiasmo iniziale, si è dimostrata una candidata troppo inesperta e troppo conservatrice, spaventando eccessivamente i moderati e gli indipendenti, che hanno infatti scelto il senatore dell’Illinois. Non è comunque stata Sarah Palin l’unico errore della campagna di McCain, troppe son state le sue indecisioni, troppo vaghi i programmi e sopratutto si son dimostrati errori gravi gli eccessi negli attacchi a Obama, condotti in certe parti della corsa. Gli americani chiedevano progetti, sopratutto sul piano economico, e Obama, pur non scendendo troppo nello specifico, è riuscito a dare risposte migliori di quelle tirate fuori da McCain. Il reduce del Vietnam ha infatti parlato, come sempre, di una generica riduzione delle tasse ma la sua campagna si è più che altro concentrata nel far passare Obama per un socialista, per il suo programma di redistribuzione della ricchezza nazionale. Nessuno ci ha mai veramente creduto alla favola dell’Obama socialista, così come in pochi hanno creduto all’Obama mussulmano o all’Obama amico dei terroristi.
Si è scritto ampiamente che in questa elezione i voti determinanti sono stati quelli dei neri e dei giovani. Probabilmente è vero, anzi è giusto, i neri hanno votato Obama al 95%, ma i neri andati alle urne sono stati circa 15 milioni, e il loro voto è sempre stato in grande maggioranza democratico. Credo che però sia importantissimo evidenziare anche e sopratutto l’importanza dei voti dei latini. Se in questa elezione c’è stato lo spostamento dalla parte democratica di alcuni stati che solitamente votavano in massa per il GOP, lo si deve sopratutto al voto latino. New Mexico, Florida, Nevada, Colorado sono quattro degli stati, che nel 2004 votarono repubblicano, e che sono tradizionalmente più vicini al GOP, in cui questa volta ha prevalso Obama. E sono stati in cui c’è una forte minoranza latina. Se, effettivamente, i latini dovessero passare dalla parte dei democratici, ci potrebbe essere quella rivoluzione nella geografia politica americana che non si pensava potesse succedere così presto. I democratici sono in teoria imbattibili nel nord est, il “New England”, dove hanno qualche problema solo in New Hampshire, nella zona dei grandi laghi, quindi in Michigan, Wisconsin, Minnesota e Illinois, e poi nei tre stati del pacifico, California, Oregon e Washington. Il resto era repubblicano e, in parte continua e continuerà a esserlo. Il midwest non sembra poter diventare terra di conquista e le vittorie in Indiana e il quasi pareggio in Missouri, sembrano figlie più della debolezza di McCain, che di un effettivo spostamento verso i democratici della popolazione. Negli stati latini invece lo spostamento può esserci e quindi sin dalla prossima elezione potrebbe esserci una situazione di vantaggio iniziale per i democratici. E non sono esclusi spostamenti futuri anche in roccaforti repubblicane come Arizona e addirittura Texas. Ma Obama non ha certamente vinto solo grazie alle minoranze, ha infatti vinto in stati come l’Iowa, bianco al 96% e il Minnesota, bianco quasi al 90%. Se la vittoria in Minnesota, uno degli stati più favorevoli ai democratici, non fa notizia, quella in Iowa è più esemplificativa di come Barack Obama sia riuscito a conquistare anche ampi strati della popolazione bianca e tendenzialmente conservatrice, senza la quale questa vittoria non sarebbe stata possibile.
Ad influire comunque su questa vittoria sono stati la crisi economica e la voglia di cambiare un’amministrazione, quella di Bush, che in questi otto anni non è sembrata mai all’altezza del ruolo in cui si trovava. I repubblicani hanno davvero bisogno di un profondo rinnovamento interno, di stare maggiormente al passo coi tempi, di cambiare l’impressione che la gente ha di loro, perché è per loro sempre più difficile riuscire a conquistare i giovani. E’ tra i giovani infatti che Obama ha vinto, i giovani che hanno votato per lui quasi al 70%. La “global generation”, o se preferite la “colorblind generation”, che comprende i giovani nati tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 sta mostrando un insperato interesse politico e inoltre si tratta di una generazione che non ha alcun problema nei confronti delle minoranze, di qualunque tipo esse siano, per cui votare un nero non solo non rappresenta un problema ma è qualcosa di assolutamente normale. E, se pensiamo che solo fino a pochi decenni fa in America c’era ancora la segregazione razziale, bianchi e neri non potevano frequentare le stesse scuole o usare gli stessi autobus, questa vittoria assume un’importanza storica che è riduttivo definire rivoluzionaria, quantomeno in una prospettiva americana. E si capisce la felicità e le tante lacrime di gioia che abbiamo visto versare dai neri nella notte della vittoria di Obama. Così come non sorprende la gioia di una repubblicana conservatrice come Condoleeza Rice, che si è detta orgogliosa del cammino che l’America è riuscita a fare in questi anni.
Adesso però aspettiamo Obama ai fatti, anche se la fiducia in lui è tanta. Ha poco più di due mesi di tempo per iniziare ad abituarsi al ruolo che dovrà ricoprire, le sfide che lo attendono sono moltissime e difficili e lui dovrà dimostrare di saper interpretare il cambiamento, che è innegabilmente stato il fulcro di tutti questi 21 mesi di campagna elettorale, iniziata nel febbraio del 2007, in una fredda mattina di Springfield, in Illinois.
4 commenti
1 carlo dore jr.
7 Novembre 2008 - 11:17
Grande esordio per il “democratico” Gamarra!
2 godfew
10 Novembre 2008 - 10:53
ottimo articolo. tanto di cappello agli americani che hanno il coraggio di cambiare rotta e di imparare dagli errori commessi, come quello di aver confermato il peggior presidente della storia degli stati uniti.
ora speriamo in una politica internazionale meno aggressiva, anche se le prime battute di obama sull’iran mi hanno lasciato un po perplesso…
3 Dessy
11 Novembre 2008 - 23:26
le aspettative nei confronti di Obama sono alte, ora speriamo diventino qualcosa di concreto
4 Alinti
13 Novembre 2008 - 18:31
Molto interessante la tua analisi del voto. Non sono informato come te ma credo che abbiano influito molto una lunga serie di fattori. Obama ha catalizzato l’attenzione dei giovani riuscendo a comunicare con loro attraverso i loro mezzi e con grande carisma. Inoltre la situazione americana non era certo buona, il presidente uscente era ai minimi storici e McCain poteva essere visto un po’ come la continuazione di un certo modo di fare politica. Meglio forse cambiare pagina. Infine, e molto importante, la crisi economica.
Adesso tocca a Obama ma le troppe aspettative che si sono create intorno a lui potrebbero essere dannose, in fondo non ha promesso miracoli ma molti cominciano ad aspettarseli. Di certo rispetto al Bush saprà colloquiare col resto del mondo, e questo è già tanto. Rispetto a Bush e McCain punta molto di più sulla difesa dell’ambiente e sulla ricerca di fonti di energi più pulite. Rispetto a Bush e McCain è più attento ai problemi dei più poveri, promettendo una copertura sanitaria per tutti.
Ma la scena più bella è stata vedere dei giovani neri, a Chicago, in lascrime, che per la (forse) prima volta nella loro vita si sono sentiti davvero orgogliosi di essere americani, anzi forse per la prima volta si sono sentiti davvero americani al 100%. E questo è già un bel risultato.
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